Statuina di un uomo che pensa

Proseguendo uno scritto precedente [1] in cui era detto tra l’altro: 

[…]

  • Primo, diminuire l’intensità e le quantità delle fonti in ingresso. Questo significa scoprire il silenzio.
  • Secondo, il raccoglimento, vale a dire la capacità di radunare i nostri pensieri, (quelli veramente nostri, non quelli indotti dal condizionamento mediatico).
  • Terzo, l'ascolto; ascolto prima delle cose piccole (nella natura ad esempio, in apposite passeggiate), poi delle cose di Dio (organizzando brevi momenti regolari di lettura di passi evangelici).
  • Quarto, il pensiero; vale a dire dobbiamo re-imparare a pensare, a formarci concatenamenti logici su argomenti in modo ordinato, senza troppe distrazioni.
  • Quinto, l'elaborazione; vale a dire cominciamo a rimuginare su quanto abbiamo udito e quanto abbiamo pensato, in modo poi da TRARNE UNA RISULTANTE.

[…]

Proviamo a riprendere da questo QUINTO PUNTO: stavamo parlando della elaborazione, in cui possiamo “rimuginare” certi contenuti in modo da trarne una risultante.

Ciò che non abbiamo espresso in maniera chiara è che rimuginare su un contenuto biblico, richiamarlo alla mente nei momenti adatti di preghiera al fine di meditarlo bene, è una cosa buona, ma fissarsi su qualcosa in base alle nostre emozioni al nostro personale concetto di “giustizia” e rimuginarci sopra, può essere davvero dannoso. 

Un esempio di rimuginìo positivo è stato quello di Nicodemo, [2] perché il suo obiettivo era conoscere Dio, e le parole di Gesù lo avevano indirizzato in questa direzione; per questo gli fu rivelato il senso della nuova nascita. Nicodemo, dottore della legge, membro del sinedrio sembra una brava persona onesta, sinceramente attratta dal carattere degli insegnamenti di Gesù; tuttavia Nicodemo era anche preoccupato di non far sapere agli altri di questo suo interesse, infatti andò da Gesù di notte a porgli delle domande (Giov 3:1-21). All’inizio Nicodemo “non sembra aver capito le metafore spirituali usate da Cristo” (Diz. GBU); però probabilmente le parole del Signore gli saranno rimaste in mente e le avrà richiamate più volte alla coscienza. La seconda volta che lo incontriamo infatti (Giov 7:50-52) mostra più coraggio nel difendere il Cristo prima che fosse ascoltato.  Infine nella terza volta che viene menzionato (Giov 19:39-40) “portò un generoso dono di spezie per ungere il corpo di Gesù”; questo, da come vedo io, lascia supporre che in Nicodemo vi sia stata una lunga elaborazione di certi contenuti evangelici e che alla fine trovò il coraggio di uscire allo scoperto rendendo omaggio al Signore, proprio in un momento in cui tutti lo avevano disprezzato e considerato morto.

Un esempio di rimuginìo negativo è stato quello di Caino. Infatti come dicemmo già: “Le emozioni scomposte, non elaborate, che derivano da una prima impressione, come quella di chi è convinto di aver ricevuto una ingiustizia, possono essere molto pericolose una volta che diventano azione. Personalmente credo che se Caino avesse dato una minima importanza alle parole di Dio e si fosse fermato a pensare, magari chiedendo il perché della non accoglienza della sua offerta, Dio glielo avrebbe spiegato. Nell’abbattimento e nella irritazione, il rimuginìo dell’insoddisfazione e dell’apparente ingiustizia subìta, amplificata da Caino giorno per giorno, senza dare spazio alle parole di Dio, lo portarono all’esplosione dell’omicidio.” [3]

Le esplosioni di questo genere, come leggerete nei fatti di cronaca sembrano aumentare sempre più; per questo dobbiamo vigilare molto.

L’attività maligna dell’avversario non si limita a scagliarci contro gli altri, ma quando trova inibizione su questo, può ritorcersi contro noi stessi come nella depressione grave, magari amplificando un senso di colpa o di disperazione su cui potremmo fissarci. È un meccanismo psicologico perverso come nella paura, che certe volte, se impostiamo male alcune modalità di pensiero, in questo rimuginare provoca dei danni seri: «O impazzisco o muoio, pensiamo... È più o meno questo il meccanismo che cronicizza la paura fino a farla diventare una malattia. Magari partiamo da una preoccupazione reale o verosimile, da un evento che ci ha spaventati, ci rimuginiamo a lungo, la preoccupazione cresce ed assume le dimensioni di un pericolo diffuso, sempre più imminente, e la paura monta. Per difenderci cerchiamo di ridurre il raggio delle nostre azioni e dei nostri pensieri, e più riduciamo lo spazio al resto, più la paura si espande». [4]

In pratica rimuginare in questo modo sbagliato significa andare avanti e indietro all’interno di una scatola, con la mente tornando sempre a battere “dove il dente duole” e ci si sente preoccupati, ansiosi, poi oppressi, poi angosciati, poi rabbiosi come chi non ce la fa più. Questo è il momento più difficile perché potrebbe spingere le persone più sensibili e fragili persino verso il suicidio, perché l’avversario è un assassino fin dall’inizio (Giov 8:44). 

Il caso di Giobbe. Ma anche “sul chiedere il perché” dobbiamo stare molto attenti. Come diceva una cara sorella in un nostro incontro comunitario di preghiera, a volte come Giobbe ci chiediamo troppi perché, e scadiamo in uno sterile esame legalista del nostro personale concetto di giustizia, sulla base di ciò che ci sembra di conoscere della Bibbia; e magari facciamo questo criticando anche Dio, che in certe nostre prove ci può sembrare “ingiusto”. Invece dobbiamo stare attenti a non eccedere: potremmo anche non avere mai le risposte da Dio come vogliamo noi; questo non toglierebbe nulla a Dio o alla Sua santità o al Suo amore per noi. Potremmo non sapere mai in questa vita terrena il perché di certe nostre prove, proprio come non lo seppe Giobbe, perché leggendo bene il libro, ci accorgiamo che non gli fu rivelato. [5] Tuttavia come a Giobbe, potrebbe essere rivelata anche a noi la presenza diretta di Dio. In quella presenza misteriosa e potente, Giobbe ridimensionò la sua statura, tolse probabilmente qualche residuo di orgoglio e tacque, perché la presenza di Dio è tutto per la nostra anima, che non chiede nulla di più.

Il Signore ci aiuti in questa nostra accettazione difficile e completi Lui stesso la nostra crescita.

R.R.


[1] INVITO PRATICO A RISCOPRIRE SE STESSI IN MODO CRISTIANO - 171 CM

[2] Rimuginìo positivo come Nicodemo: vedi il nostro 524) I TEMPI PER ASSIMILARE LE RIVELAZIONI BIBLICHE – PREDISPOSIZIONE DA PARTE DELLO SPIRITO SANTO

[3] Rimuginìo negativo come Caino: Vedi il nostro DA ADAMO A CAINO (prima parte) – 319 UT

[4] Da uno scritto nel nostro sito della  psicologa psicoterapeuta Dott.ssa G. Ciampi: 94) PAURA DI AVERE PAURA

[5]il problema della sofferenza di Giobbe, in realtà, anche nell'epilogo, pur con la sua visione consolatoria, resta irrisolto; […] non arriva a giustificare il dolore, che rimane mistero inspiegabile.” [ da Presentazione di un articolo di Bruna Costacurta a cura di Andrea Lonardo]; “Nella sua risposta, Dio accondiscende al confronto personale, ma non risponde esplicitamente alla questione posta da Giobbe, quella della giustizia divina e del riconoscimento della propria innocenza  […]  La fede di Giobbe trova il suo approdo nella certezza di una comunione che nessuna prova può interrompere  […] Non esistono formule teologiche che possano racchiudere ed esaurire il mistero di Dio.   […]      La rinnovata benedizione di Giobbe non cancella tutto quello che egli ha sofferto e il dolore che lo ha segnato nella carne. Il conforto dei familiari e dei conoscenti non annulla il senso della solitudine provato in precedenza e i nuovi figli non possono far dimenticare la perdita dei primi. Il senso del finale del libro e di tutta l’opera – annota l’esegeta – è l’incontro personale di Giobbe con YHWH. Giobbe è insoddisfatto delle risposte degli amici e cerca un’esperienza profonda e diretta col divino. Nel momento della teofania, Giobbe avverte al massimo la sua vicinanza col mistero di YHWH. Percepisce la propria limitatezza, l’impossibilità di comprendere il grandioso disegno del mondo e, a maggior ragione, il suo Creatore. In questo incontro, Giobbe intuisce un volto inedito di Dio e una modalità di amministrare la giustizia diversa da quella umana […] ”  [da un commento di R. Mela su ‘Giobbe: il contestatore credente’ di Stefano Mazzoni];

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