Appartenenza, famiglia

Dio diede all’uomo appena creato due fondamenti: il senso della libertà la consapevolezza dell’appartenenza. 

Il senso della libertà penso sia come un’esigenza innata nell’uomo che ha origini fin dalla creazione. Dio ha voluto libere tutte le Sue creature. Nel “programma mentale” degli uomini e di ogni potestà e principati di angeli, dunque, c’è sempre questa aspirazione. Teniamolo presente.

Aspirazione ma anche esigenza, come abbiamo detto. L’aspirazione la senti dentro come un sottofondo, l’esigenza è una spinta più imperiosa a cui non ti puoi sottrarre e in una maniera o nell’altra devi tentare di realizzarla.  Questo significa che in ogni caso l’uomo, in qualunque stadio di crescita e di realtà e di maturità si trovi, tenterà sempre di realizzare la libertà. O per lo meno quello che lui pensa essere “libertà”, a modo suo. (1)

Mentre proseguiamo il nostro discorso, sforziamoci di aprirlo un po’ di più: pensiamo al parallelo “figlio e genitore” con quello di “uomo e Dio”. Siamo già abituati a fare dei paralleli vero? Dio è anche Padre e in questo senso potremmo dire è anche Madre, lo sappiamo. (2)

Noi allora possiamo essere un “insieme con Lui”, tipo una “famiglia”.

Abituiamoci a vedere le cose in terra con un loro possibile rapporto in cielo. (3)

Dio Padre-Madre creò l’uomo libero fin dall’inizio.

Anche un bambino terreno, umano, nasce già con uno spirito che tende a questa libertà. Il buon genitore carnale si augurerà che questo figlio possa mantenere sempre questo orientamento. La libertà mentale di un individuo gli permette di ragionare in tutte le direzioni, in modo sano, equilibrato, e di fare le sue scelte. La felicità futura del bambino quando sarà uomo e a sua volta padre, dipenderà proprio dalla consapevolezza di aver fatto scelte giuste. E questa consapevolezza di aver scelto bene sarà trasmessa al prossimo futuro figlio come senso di sereno e calmo appagamento.

Anche Dio nella creazione era consapevole di aver fatto tutto bene e lo trasmise all’uomo fatto soprattutto nello spirito “a Sua immagine”.

Ad ogni “giorno creativo” della settimana in Genesi, le Scritture ripetono “...e vide che ciò era buono…”.  

Dio nell’uomo mise anche questo senso di creatività, di felicità e di appagamento. L’uomo riceveva questo appagamento come il bambino riceve il latte della mamma. L’uomo all’inizio lo riceveva direttamente da Dio, quasi per “irraggiamento”, essendo a “Sua immagine” o per “trasmissione diretta” (non abbiamo parole adatte per descriverla).

Ma come si sviluppa oggi la sana libertà terrena?

Abbiamo visto che il bambino cresce bene in una famiglia dove è presente l’amore dei genitori. La famiglia, dunque, è l’involucro protettivo in cui il bambino può comprendere il senso della libertà e prepararsi a farne uso quando avrà raggiunto la maturità necessaria. Il sentimento di cura, di protezione, di affetto ed educativo dei genitori sarà dunque il primo terreno entro cui si svilupperà la libertà di un uomo.

Come fece Dio Padre e Madre (Unità complessa rappresentata nella "famiglia" Dio-Padre, Dio-Figlio, Dio-Spirito) così dovrebbe fare, molto più in piccolo, la famiglia terrena.

La libertà di un uomo che è stato ben curato ed amato in famiglia, sarà probabilmente sana e positiva nella società in cui vive.

Ma non è sempre così, anzi a dirla tutta non è quasi mai così. La famiglia oggi è in profonda crisi ed ha perso la propria configurazione, l’identità, perché ha perso “l’immagine irraggiante” del Creatore.

Cosa può trasmettere l’uomo a suo figlio se non ha più in se stesso lo scambio per “irraggiamento” col Padre-Madre Celeste?

La libertà di un uomo, raggiunta senza amore ricevuto o dato, non arriverebbe probabilmente alla buona maturità comportamentale. Il comportamento di questa persona probabilmente, avrebbe delle carenze.

La libertà di un bambino si sviluppa nell’involucro protettivo dell’amore incondizionato madre-figlio. La scoperta della figura maschile poi lo aprirà ad una maggiore responsabilità nel saper gestire le proprie scelte.  Il legame tra genitore e figlio durerà tutta la vita, con alternanze di allontanamenti e riavvicinamenti. Anche quando i genitori non ci saranno più continueranno a vivere, per un complesso meccanismo psicologico di "introiezione", dentro la mente del figlio, il quale dovrà imparare a rapportarsi con il ricordo di loro, in modo sempre più maturo e consapevole.

Ecco allora un nuovo elemento: il ricordo. Teniamolo presente mentre continuiamo, ci servirà. Il ricordo che attivamente gira, rimugina, crea collegamenti mentali, ci rimette in discussione… 

Avevamo evidenziato due spinte insopprimibili nell’uomo: il senso della libertà ed il senso di appartenenza. Vediamo adesso il secondo:

Il senso di appartenenza familiare potrebbe chiamarsi in altre parole “legami di sangue”, appartenenza alla propria “Casa”, come parte di essa. Il senso di appartenenza generico però può essere sentito più o meno dall’uomo. La “consapevolezza di appartenenza” è un sentimento più marcato. Al genitore scatta qualcosa quando vede il figlio in difficoltà o in pericolo ed è istintivamente disposto a fare cose che non farebbe normalmente per il bene del figlio. Anche il figlio in certi momenti particolarmente gravosi può sentire la mancanza della propria famiglia.

Anche con Dio abbiamo un senso di appartenenza che può divenire consapevolezza di appartenenza.

Ecco allora libertà ed appartenenza che si mescolano. 

Ma questi due elementi sono compatibili?

Se un figlio “appartiene” al padre, come farà ad essere “libero”?

Secondo il figliol prodigo “prima maniera”, no, non sono compatibili. Libertà per lui era fare quello che autonomamente si sentiva di voler fare. Infatti, senza ascoltare i consigli del padre se ne andò per conto suo, usando la libertà come autonomia totale.

Secondo il figliol prodigo “seconda maniera”, cioè più “maturo”, si, sono compatibili. Infatti, si rese conto che la sua scelta era sbagliata sia da un punto di vista pratico che spirituale. Per questo tornò con un atteggiamento ben diverso.

Il fatto, dunque, di avere la libertà non significa sempre che sappiamo usarla. Ed il fatto di sentirsi “famiglia”, non significa che abbiamo una consapevolezza familiare.

Per esempio, nella famiglia il padre decide, ma la mia libertà richiede ubbidienza a lui? Certo molto dipende dall’età e da cosa stiamo trattando, tuttavia l’ubbidienza senza capirne il senso è deleteria come la libertà senza avere discernimento. Detto in altre parole, instillare “responsabilità” senza “libertà” è “dispotismo familiare” (non vi è vera unità), invece la “libertà” senz’anche “la responsabilità” è “anarchia familiare” (l’unità viene deframmentata e poi distrutta alla sua base)

Il fratello maggiore del figliol prodigo infatti era uno che ubbidiva, ma non aveva capito niente dell’amore del padre.

Allora cosa dobbiamo fare?

Se rivolgiamo questa domanda a qualcuno, sarà proprio questa domanda “sbagliata” che racchiuderà il senso della nostra immaturità. Infatti, se noi interroghiamo altri uomini per sapere cosa dobbiamo fare, dimostriamo di non saper gestire noi stessi.

In base a chi e cosa siamo, il da fare sarà spontaneo.

Anticipare o posticipare le stagioni della vita è sempre un errore, ma seguire la nostra naturale crescita fisica e spirituale significa fare le cose nel suo giusto tempo.

Se un dodicenne infervorato magari dall’eroe del libro che sta leggendo decide di andare a fare l’esploratore in un luogo sperduto del mondo, noi come genitori non gli diremmo forse che sta sbagliando? Forse la sua intenzione è buona, ma allora potremmo dirgli “se vuoi fare l’esploratore preparati, studia, rafforzati nel fisico, nella geografia, acquisisci esperienza e poi se davvero lo vuoi, vai pure; ma vacci ‘corredato’ dei mezzi giusti per esplorare”. Non è un “no” che direbbe il padre, ma è un aiuto per capire “quando” e “come”.

Se il giovane saprà conciliare bene il senso della libertà con il senso dell’appartenenza familiare (in cui il rispetto del padre e il suo ascolto sono elementi importanti), allora tutto si svolgerà nel miglior modo. Se invece è ribelle o sconsiderato allora sono guai per lui e dolore per il padre: “Un figlio saggio rallegra suo padre, ma un figlio stolto è un dolore per sua madre.” (Proverbi 10:1) 

Tutto questo presuppone comunque di avere un padre. Ma l’uomo terreno è da un certo punto di vista un orfano.

Perché “orfano”? Per capirlo dobbiamo pensare al parallelo spirituale: orfano di Dio. I nostri “genitori spirituali” (parlo per i credenti) cioè Dio-Padre-Madre non sono più fisicamente raggiungibili. Qualcosa successe nell’antichità e noi ci allontanammo dall’Eden, dal luogo dove nostro Padre camminava con noi, parlando con noi.

Ecco dunque subentrare un nuovo elemento: la solitudineLa solitudine come “normale” condizione di non più appartenenza a Dio.

Il senso di paternità-maternità nell’uomo sarà dunque sempre mortificato e cercherà inevitabilmente dei sostituti. Questo è un punto importante. Chi può sostituire Dio?

Il concetto di “amore” nella vita nostra si viene a formare senza più la presenza reale di Dio Padre-Madre. Sarà dunque un “amore” minuscolo e limitato. Cercheremo la pienezza d’amore in altre persone che però non riusciranno mai a riempire la solitudine che ha lasciato l’impronta e la nostalgia di Dio.

La nostra irresistibile sete d’amore cercherà di essere placata con amori terreni che sono dei palliativi, che non soddisferanno completamente la nostra anima. Anche l’amore terreno più bello di un uomo o di una donna perfetti non soddisferà in tutto lo spirito nostro che cercherà l’amore di Dio per sempre. Nessun uomo o donna ti darà l’Amore di Dio.

Il “senso di appartenenza a Dio” è allora una necessità del nostro cuore di unirsi a Lui per ritrovarLo ed essere amato ancora come quando era piccolo nonostante vi sia allo stesso tempo una impossibilità a farlo.

Questa terribile irrequietezza è la “normale” condizione dell’uomo sulla terra. 

Ma succedono due cose, una conseguente all’altra nella parabola del figliol prodigo:

Primo: il giovane tocca il fondo e decide di tornare umilmente, come fosse l’ultimo dei servi del padre, costi quello che costi.

Secondo: il padre gli va incontro. Non lo aspetta seduto dentro casa ma esce da casa e gli va incontro abbracciandolo e facendo festa.

Chi dona la libertà come l’ha donata Dio, ama veramente. Chi ama cede. Chi cede sa accettare, senza imporsi, anche una decisione sbagliata del figlio, perché preferisce comunque lasciarlo libero, per amore piuttosto che costringerlo.

Ma mentre il figlio va via lui soffre, lo pensa, si preoccupa per lui, lo aspetta sempre. E quando il figlio torna non lo giudica, ma continua ad amarlo anche più di prima.

Quando noi ci rendiamo conto di esserci persi nel mondo in amori che non danno niente o in progetti vuoti che ci portano a fondo, allora anche noi possiamo raggiungere la consapevolezza della realtà.

Forse sarà traumatico riconoscere il vuoto dentro a attorno a noi, ma che abbiamo ormai da perdere? 

Allora anche noi possiamo fare così come fece quel giovane. Possiamo decidere di tornare, consapevoli dei nostri errori, costi quel che costi.

Decidere di tornare a Dio è un atto di altissima maturità e consapevolezzaCi vuole coraggio per essere umili, per ammettere di aver preso una strada non soddisfacente. La Scrittura ci ricorda: “Il timore del SIGNORE è scuola di saggezza; e l'umiltà precede la gloria.” (Proverbi 15:33)

Per vedere la realtà del mondo con coraggio, la sua crudezza, la sua disumanità occorre un cuore che abbia sentimenti, sensibilità, permeabilità verso l’esterno, carità, apertura verso l’altro, introspezione, intelligenza ed umiltà.

Avere dei sentimenti in un mondo che non li ha, significa anche dover soffrire.

Leggere la realtà del mondo con coraggio significa aprirsi, pensare, valutare, essere obiettivi e rischiare di lasciarsi “ferire” ed osservare questa “ferita” nel cuore senza provare rabbia o risentimento. 

Quando prenderemo atto del dolore che ci penetra nostro malgrado, il dolore del mondo e quello che abbiamo procurato a noi stessi, allora sarà come un rendersi conto, come uno svegliarsi e constatare un nuovo concetto di realtà.

Perché questo avvenga occorre non solo un cuore, ma un cuore anche con una memoria

Il figliol prodigo si ricordava che quando era nella casa del padre stava bene e vedeva che nel mondo invece, nella sua autonomia orgogliosa, stava male, stava morendo di fame ed era trattato come una bestia.

La memoria di Dio, la memoria della spiritualità interiore, del seme di Dio in noi, ci permette di fare delle considerazioni e di poter finalmente scegliere bene.

L’unica scelta possibile per superare questa solitudine esistenziale, questo desiderio d’amare e di essere amati, sta nel tornare a Dio.

L'evangelista Luca usa delle parole molto belle per descrivere questo momento decisivo:

“ [il figliol prodigo] …rientrato in sé, disse...” (v.17)

Rientrare in se stessi, ritrovare se stessi. L’uomo deve trovare la sua completezza, la configurazione mentale dignitosa di ciò che è e non è. Non è un animale per esempio. (4)

Io mi alzerò… “(v.18)

Alzarsi da terra e alzare i pensieri dal degrado in cui l’uomo senza Dio finisce. Una schiena che si raddrizza nella consapevolezza di essere uomini.

“…e andrò da mio padre...”

Da lì era partito l’errore e da lì deve iniziare la conversione. Il padre è sempre il padre. La decisione comporta un’azione; sarebbe inutile decidere di creder in Dio senza tornare fisicamente da Lui. Non esiste la fede teorica, intellettuale.

 “...e gli dirò...”

Alzarsi, tornare, dire... Come sono importanti questi insegnamenti! Il giovane non dice parole di convenienza, tanto per riavere un tetto e un po’ di cibo, egli mostra una profondità di analisi inaspettata:

“...padre, ho peccato contro il cielo e contro di te: non sono più degno di essere chiamato tuo figlio; trattami come uno dei tuoi servi"

Ho peccato contro il cielo e contro te”. Pensate come è profondo e terribile questo sentimento.

È nel cielo la nostra casa, è il Dio celeste nostro Padre, ed è con Lui la nostra famiglia, la nostra appartenenza. Aver interrotto questa unità padre-figlio è il peccato più grosso che l’uomo abbia mai fatto.

Dopo l’intenzione c’è poi la realizzazione decisa, uguale parola per parola (che nel testo non a caso viene ripetuta) di quanto il giovane aveva pensato. Non basta infatti capire e non basta avere l’intenzione di…  occorre realizzare quanto si concepisce.

Ma è per questo che Dio stesso ci viene incontro; e Lui stesso come Figlio, Lui stesso in Cristo ci indica la strada e ci permette di tornare rinnovando il Suo amore.

“mentre egli era ancora lontano, suo padre lo vide e ne ebbe compassione: corse, gli si gettò al collo, lo baciò e ribaciò.”

Il Padre nostro non ha mai smesso di aspettarci e ci previene con infinito amore.

Ecco che allora in questo abbraccio si fondono finalmente libertà e senso d’appartenenza.

DA QUI INIZIA il cammino vero dell’uomo. Nell’unità ritrovata con Dio padre, nella libertà di un ritorno voluto, nella constatazione d’appartenenza al Padre, l’uomo potrà trovare il giusto rapporto con l’universo e con sé stesso.

R.R. (aggiornato da G.C.)


(1) Se la ricerca della libertà è una buona pulsione; invece, se vi è esasperazione della libertà egoistica, come l'accanimento ai "diritti" a tutti i costi, senza pensare agli altri, allora è possibile squilibrare il senso sano di "libertà" ed innescarne uno perverso, dove chi è più prepotente fa quello che gli pare, rivestendo questa prepotenza con filosofie di falsa libertà. La vera libertà sta nell'autogestione della manifestazione dei nostri pensieri, rapportandola non solo alla moralità dimenticata, ma anche ai limiti delle minoranze. 

(2) Vedi anche la riflessione sul "Padre nostro", il concetto di "Padre" e "nostro" la genitorialità: ISTRUZIONI DI GESU’ AI DISCEPOLI PER LA PREGHIERA - IL "PADRE NOSTRO" (PDF)

(3) L'insegnamento che si trae dalla espressione "…come in cielo così in terra..." è molto più profondo di quanto si pensi. Nell'Apocalisse potremo constatare più volte che vi è un luogo nel cielo (il trono, la casa di Dio) dove vengono prese le decisioni che poi, dopo, nello spazio e nel tempo, arriveranno anche sulla terra.  

(4) Può sembrare ovvio dire che l’uomo non è un animale, ma studiando e constatando il progressivo imbarbarimento del genere umano si può facilmente vedere come la sua natura bestiale stia oggi prendendo il sopravvento. 

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