Mani verso il cielo

Il nemico delle nostre anime è qualcuno con cui non sappiamo trattare adeguatamente. È sicuramente più “grosso” di noi, ma in noi c’è il Signore e teoricamente con Lui siamo già vincitori (“Ma, in tutte queste cose, noi siamo più che vincitori, in virtù di colui che ci ha amati.” Romani 8:37).

Ma l’uomo cosa fa esattamente di fronte a un avversario?

In genere ha tre comportamenti:

  1. La fuga;
  2. La lotta;
  3. Il ripiegamento;

Nella realtà possono anche sommarsi o mischiarsi, ad ogni modo ce n’è sempre uno dei tre che risulta dominante sugli altri. La fuga, per esempio, che cos’è? Ricordo che a scuola studiammo la battaglia di Caporetto (24 ottobre 1917). All’epoca avvenne una fuga tremenda perché si ruppero le prime linee, non c’erano più gli ufficiali e si diffuse una paura incredibile. Una delle cause principali della fuga fu la mancanza di capi che avrebbero dovuto gestire la situazione. Quella battaglia rappresentò la più grave disfatta nella storia dell’esercito italiano. Ci mancò poco che il nemico arrivasse giù, fino al Centro. La fuga si fermò in seguito, ma rappresenta comunque un qualcosa di disordinato.

La lotta è di tantissimi tipi. Ci sono varie tipologie di lotta che in questo studio non tratteremo.

Il ripiegamento su sé stessi può essere:

  1. Il ripiegamento positivo è quello in cui noi vediamo che il nemico è un po’ troppo grande e quindi prendiamo un attimo le distanze, senza fuggire, lasciando che queste forze maligne si manifestino in una determinata situazione. Tutto questo però porta noi a riorganizzarci per controbattere, per organizzare una controffensiva. Un po’ come l’atleta che prende la rincorsa per saltare meglio.
  2. Il ripiegamento negativo. Di solito noi siamo invitati dal Signore ad alzare lo sguardo, cioè a sollevare verso l’alto i nostri pensieri guardando verso il cielo. Col ripiegamento, invece, se abbassiamo la testa guardiamo noi stessi, meditiamo in pratica su di noi. Nelle religioni orientali, per esempio, l’ombelico è una delle parti da dove inizia questa disciplina della meditazione. Per quanto bella sia, parte sempre dall’uomo. Nella nostra meditazione cristiana invece, è l’Alto che entra, non siamo noi a meditare noi stessi. È il Signore che dall’alto per primo conosce noi e che ci trasmette la Sua sapienza, che non è assolutamente come quella del mondo. La sapienza di Dio nel Signore Gesù è quella che ci istruisce. Questa è tutta un’altra cosa. Quindi cosa accade dentro di noi? Immaginiamo la nostra persona come un vero e proprio esercito psicologico, mentale ecc. Nella nostra natura abbiamo molte componenti, immaginiamo un esercito che vigila e che cerca di difenderci. E allora come ci si comporta quando c’è questo attacco? Innanzitutto cerchiamo di reagire. Il Signore ci dice di non avere paura e che ci saranno comunque molte contrarietà, molti contrasti. In Giovanni 16:33 leggiamo “Vi ho detto queste cose, affinché abbiate pace in me. Nel mondo avrete tribolazione; ma fatevi coraggio, io ho vinto il mondo».” Il Signore ci dice espressamente che noi avremo pace soltanto in Lui. Dobbiamo considerare che è Gesù a dire queste parole, Lui di sofferenza sicuramente ne capisce, le ha passate tutte! Anche questa consapevolezza di dover passare dei momenti difficili ci è utile. Non dobbiamo immaginare che la vita del Cristiano sia tutta rose e fiori. Ci saranno dei momenti difficili ma il Signore ci dice “Coraggio che questo rientra nel pacchetto della vostra vita con Me”. Allora può capitare che il nostro esercito, cioè la nostra persona, non ce la faccia e sia costretto a ripiegare. Può esistere il caso negativo della “crisi depressiva”. A vederla dal di fuori, questa persona ripiegata su sé stessa, sembra ormai perduta. Non è così. Quando una persona passa questo momento difficile di ripiegamento, anche se la vediamo apatica, dentro ha un’attività molto conflittuale. Si scontrano nel suo intimo delle forze devastanti, molto forti. Queste energie producono a loro volta uno stato di instabilità che può essere in un modo o nell’altro. In quei momenti non si riesce ancora bene a capire quali parti dell’esercito della nostra persona saranno interessate. Ma pensiamo, ad esempio, alla “ragione”. Il nostro modo di ragionare è un po’ il capo del nostro esercito, il nostro “io”. Quando si trova di fronte a qualcosa di difficile, di veramente molto forte, cerca di trovare una scappatoia ma a volte non sa come fare. Ne consegue che ci sono queste forti tensioni che cercano uno “sfogo”, quindi da una parte il nostro esercito può uscire vincitore, dall’altra invece può far scoppiare una bomba che va a colpire il primo nemico che capita. Abbiamo molti esempi di cronaca che ci mostrano cosa accade quando la rabbia prende il sopravvento nell’esercito della nostra persona. Oppure, invece di sfogare sugli altri (contro cui magari non possiamo farlo) ce la prendiamo con noi stessi e questo può condurre al suicidio. C’è una drammaticità e una pericolosità in questa chiusura, in questa apparente apatia che vediamo. Non dobbiamo essere superficiali. Ci vuole una certa capacità per stare accanto a una persona che passa un momento di ripiegamento. Ci vuole solo un grande amore e molta sensibilità. Ovviamente il nemico che ci vede così confusi cerca furbamente di approfittarne. Non ci dà tregua e insiste, proprio perché la situazione possa esplodere. A lui va bene se uccidiamo qualcuno o noi stessi. Lui ci gioca sulla nostra confusione interiore. Il suo scopo infatti è quello di distruggerci. Per evitare che lui prenda il sopravvento nella nostra mente, dobbiamo fare in modo che la nostra instabilità cambi. Queste forze contrastanti, praticamente, pervertono tutto il nostro equilibrio. Per questo dobbiamo stare molto attenti.

Dio sa che prima di ogni altra cosa abbiamo bisogno della Sua guida. Per questo cerca di farci sollevare lo sguardo, infatti lo scopo è di non guardare sempre a testa bassa noi stessi. Come quando abbiamo una ferita e ci stiamo sempre a pensare, più lo facciamo e più ci fa male ma se improvvisamente ascoltiamo un po’ di musica la ferita non ci fa più male. Sembra una banalità, ma in certi casi sono riusciti a fare delle operazioni senza nemmeno fare l’anestesia ai pazienti. Tutto questo per dire che il Signore sa come fare e ci porta verso un’elaborazione lenta, ordinata, orientata. Per questo inizia quel momentaneo distacco da sé stessi e dal mondo, in modo da non essere più concentrati su quella cosa che ci procura sofferenza. In questo silenzio, nella preghiera, nasce una buona volontà in questo barlume di luce che pian piano ci fa scorgere i giorni non più solo come dolore.

Dio ci benedica.

R.R. (estratto da: 168 - RIPIEGAMENTO SU SÉ STESSI E SPERANZA CRISTIANA RIUNIONE PIC – 20 MAGGIO 2023)

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