portone chiuso

DOMANDA:  -Mi sono soffermata su questa frase: "Nel nome del nostro Signore Gesù Cristo, essendo riuniti assieme voi e il mio spirito, con il potere del Signor nostro Gesù Cristo, ho deciso che quel tale sia dato in mano di Satana a perdizione della carne, affinché lo spirito sia salvato nel giorno del Signor Gesù." (1Co 5:4-5) - Mi chiedo: qual è il significato da dare all'espressione: "a perdizione della carne"? Potete aiutarmi a capire?-

RISPOSTA:  la risposta alla domanda è difficile, ma l'idea che mi sono fatto è la seguente: l'individuo che si era macchiato di quel peccato era evidentemente non disposto a riconoscerlo, e quindi non se ne era neanche pentito (in ciò forse incoraggiato da atteggiamenti comunitari un po' troppo tolleranti). Dunque, la comunità doveva prenderne le distanze ed estrometterlo dagli incontri. Da un lato, perché una condotta come la sua fosse ufficialmente e chiaramente riconosciuta come sbagliata (e quindi non inducesse nella comunità atteggiamenti "comprensivi" che avrebbero in qualche modo inquinato la verità dell'evangelo). Dall'altro lato, perché quel credente degenere non potesse cullarsi nell'illusione di poter conciliare le proprie voglie con la vocazione da parte di Dio; infatti non ci può essere comunione fra Dio e il peccato (intendendo soprattutto il peccato insistito e incancrenito, che resiste ad ogni forma di correzione).

La "perdizione della carne", in questo senso, potrebbe essere la semplice fuoriuscita fisica di quel credente degenere dal contesto comunitario. Come sappiamo, la fuoriuscita fisica non implica certo un giudizio spirituale definitivo su una data persona; è infatti possibile che una condizione di relativo isolamento possa mettere l'interessato nelle migliori condizioni per ben comprendere la sua posizione.

Certamente sarebbe peggio (per lui e per la chiesa) se si tentasse di soprassedere a questioni spirituali che invece sono importanti; infatti, mischiando cose fra loro inconciliabili (la fede in Cristo ed il peccato, come dicevo), non si creano le condizioni per una possibile e chiara presa di coscienza.

Dare quel tale "in mano di Satana" è un'espressione forte (potremmo dire iperbolica) che, secondo me, sta a sottolineare un fatto: la comunità, estromettendo l'impenitente, rinuncia così ad esercitare su di lui ogni tipo di azione pastorale. Ma, in fondo, questa estromissione è anche l'ultima ed estrema forma di predicazione nei suoi confronti. E' come dirgli: "Caro fratello, se non ti rendi conto della gravità della tua condotta non possiamo farci nulla. Però sappi che, così stando le cose, la comunione che potresti avere con noi è solo apparente, e non ti gioverebbe certo davanti a Dio. E' meglio che tu rifletta sulla tua condizione. Quando sarai pronto, saremo pronti a riaccoglierti".

Aggiungo, a margine, che qui si percepisce chiaramente lo sforzo dell'apostolo Paolo di difendere in tutti i modi il "terreno santo" che la chiesa costituisce (o dovrebbe costituire) davanti a Dio e davanti al mondo.

E' un tema, questo, che oggi sarebbe molto arduo affrontare, nel clima "squilibrato" in cui ci troviamo. A volte, infatti, in certi ambienti cristiani, si tende a demonizzare tutto; altre volte, invece, tutto è lecito, tutto è permesso… E' quindi importante riscoprire la reale essenza del peccato, e ristabilire i giusti confini che non dovrebbero mai essere valicati. Ma questo è un tema difficile, specialmente se affrontato in un contesto comunitario, dove le sensibilità e le esperienze individuali sono così diverse.

 

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