IPOTESI "DIO" IN UN CONTESTO DIFFICILE - Parte 3 

da "SPERIMENTARE GLI IDEALI E’ POSSIBILE? COME SOLLEVARSI DAL QUOTIDIANO PER CONOSCERLI VERAMENTE" -  di Renzo Ronca - 28-6-19

 

 

 (segue)

Nei due scritti precedenti abbiamo parlato di ideali e di limiti degli uomini, i quali, come dei girini in un contenitore di vetro, non sembrano avere nessuna possibilità di completare la loro metamorfosi, in quanto destinati ad una morte prematura. Sempre in maniera inconsueta abbiamo ipotizzato un “ideale” (non sarebbe la parola giusta ma non ne abbiamo corrispondenti)  molto complesso, che abbia vita in se stesso e possa essere percepito da vicino senza corrotto dal nostro sistema. Un ideale molteplice, vivente, una vita superiore, multiforme, che abbiamo chiamato Dio. 

Il modo più accessibile –una specie di chiave per aprire degli spazi sconosciuti-  per noi cristiani è identificarlo (ad esempio come Gesù Cristo, Salvatore, figlio di Dio, Nuovo Adamo, Signore, ecc. i nomi sono relativi)  e studiare le sue comunicazioni soprattutto in forma scritta che chiamiamo Bibbia. Ciò che conta è che questo Essere si presenta come l’unico in grado di svincolarci dalla legge della morte in cui siamo immersi.

Di fronte a questa “offerta” l’uomo è perplesso e non sa se e come credergli/rispondergli. Tuttavia, a prescindere dalla nostra logica, i modi ci sono se li vogliamo seguire.

 

Teniamo presente comunque che prima dei modi da seguire ci sono i problemi nel farlo: il primo problema per l’incontro con questo Essere, siamo noi. Paradossalmente infatti proprio l’oggetto della gratuita salvezza del Signore, cioè l’uomo prigioniero della morte, Gli si rivolta contro e, invece di accoglierlo, nega caparbiamente la sua esistenza.

 

In molti casi questa negazione deriva dal cattivo comportamento delle chiese che hanno usato per secoli ed usano ancora il linguaggio di Dio per scopi di potere personale; in questo modo vedendo i loro interessi e le loro malefatte, molti uomini identificano le chiese con Dio e per questo Lo rifiutano in blocco.

 

Inoltre come abbiamo visto, l’uomo da troppo tempo prigioniero, è così assuefatto ai limiti  di quel recipiente di vetro in cui vive, al sistema di quella prigionia, che pur stando male, pur soffrendo per la sua situazione, non accetta di rischiare quel poco per avventurarsi un una fede incerta. L’uomo prigioniero di questo sistema di cose insomma, è abituato alla sua prigionia e questa abitudine gli dà sicurezza. Se gli togli anche questo, non accettando l’Essere-Dio, non gli rimane niente. Egli pur di non ammettere il vuoto che lo circonda, preferisce riempire quel niente con dei surrogati di ideali; così almeno finalizza i suoi pensieri in un obiettivo alla sua portata, che in fondo crede di poter gestire da solo.

Egli si nutre di illusioni che chiama valori, princìpi, in un contesto che chiama normalità;  ma in fondo non sa assolutamente nulla di tutto ciò e non si accorge nemmeno che quello che lo circonda (princìpi, pensieri e ambiente fisico) si sta deteriorando a velocità esponenziale. In questa spirale di peggioramenti in cui evapora lentamente tutto ciò che ha un senso, basta una eclissi, un terremoto, una stella cadente, ma anche una grandinata più forte delle altre ed ecco che le pseudo-sicurezze si frantumano ed emerge la verità, cioè la sua paura.

L’origine di ogni paura, se scaviamo nell’animo umano, sta nella inevitabile morte.

Per combattere questa paura, non fidandosi di Dio, l’uomo oltre che a inventarsi ideali che regolarmente deludono, ripone la sua fiducia in altri uomini, idealizzando anche loro, da cui si fa governare (a volte questi governanti hanno perso già il senso della realtà, non avendo mai avuto quello della giustizia), i quali governanti, lungi da essere seri ed equilibrati, giocano come sciocchi adolescenti con i bottoni del potere.[1]

 

Ma ragioniamo sulla causa: la chiave sta proprio in questa atavica paura: la inevitabile morte a cui non vogliamo mai pensare. L’uomo la teme ma l’unico modo che ha trovato per combatterla è non pensarci. Un po’ poco per degli esseri che si ritengono molto intelligenti.

 

L’ipotesi “Dio” (e la fiducia in Lui, cioè la fede) consiste proprio in una “non-morte”. Secondo me questa si basa su un ragionamento interessante che, se siamo davvero così intelligenti come pensiamo, non dovremmo scartare: nel girino, come nel bruco, è presente un “programma” di metamorfosi. Il girino, senza sapere come ciò avviene, diventa rana e il bruco diventa farfalla. Non è tanto una scelta tra chissà quante possibilità: è così, possiamo dare infinte spiegazioni, comunque è così: c’è nel loro DNA qualche informazione che permette loro di trasformarsi da una forma precisa fisica vecchia ad un’altra precisa nuova.

 

Ebbene l’uomo è “programmato” per un qualcosa di simile:  nel nostro cervello, nella mente, nel cuore, nel nostro DNA c’è già la grandezza di una trasformazione. Il solo problema è che poi vi è un impedimento e viviamo attualmente in uno stadio intermedio. Da qualche parte vi è una specie di “corto circuito” che impedisce l’applicazione e lo svolgimento del nostro programma esistenziale.

Immaginate il girino che non può uscire dall’acqua o la farfalla che sente in tutti i modi di essere tale, ma che non può uscire dallo stadio di bruco. Pensate ad una donna in cinta che non possa partorire…  Uomo naturale e uomo spirituale… due realtà, due programmi diversi  in un solo corpo. Per questo l‘uomo si chiede sempre chi è: non lo sa, non può rispondere a questa perenne domanda esistenziale. E’ tutti e due: spirituale e carnale; e non è nessuno dei due. La sua vita è un’alternanza di cose di terra e di cose di cielo. Sente che in lui nasce e vorrebbe uscire volare la farfalla, delicata e leggera nell’aria… ma è soffocata dentro un corpo quadrato pesante e posato in terra, che non ci pensa proprio ad aprirsi per liberarla, in un corpo che ha gli istinti e i bisogni degli animali.

Natura spirituale e natura terrena si scontrano, come la legge ordinata e il caos primordiale. Così la nostra mente confusa non sa trovare il senso dell’identità. A volte si sente bruco a volte si sente farfalla… quante tensioni, quante forze agiscono, quali conflitti in una esistenza impedita!

 

L’uomo era nato per una normale metamorfosi che si sarebbe compiuta in un certo modo regolarmente. Non sappiamo esattamente come sarebbe avvenuta, ma nell’uomo c’è ancora il seme di quella trasformazione a cui lo spirito nostro anela. Il bambino nella pancia della mamma è fatto per essere abbracciato dalla mamma e prendere il suo latte e poi per conoscere il papà e poi per diventare adulto e parlare con lui della vita che affronterà con coraggio e fiducia. Ma se strappiamo il bambino prematuramente da quel grembo materno e lo immettiamo in un altro surrogato di pancia, per esempio in un laboratorio di un apprendista medico pazzo,  che non è certo la mamma, chissà se quel bambino vivrà…  La sua eventuale nascita sarà solo un trauma in un contesto ostile in cui faticherà ad adattarsi. I “disadattati” non sono tutti uguali, alcuni sono fragili creature che non riescono ad assumere le caratteristiche bestiali del contesto in cui sono portati a crescere e lottare per difendersi. Che fatica riconoscere la propria identità le proprie origini! Questo bambino trasportato dal medico pazzo nel suo laboratorio, chi riconoscerà come madre? Chi troverà nell’adolescenza come padre con cui parlare del futuro?

 

Eppure quel bambino, per un meraviglioso mistero ereditario, avrà già in se stesso qualcosa dei suoi genitori veri che chiama Dio, che più o meno consapevolmente cercherà sempre nel corso di tutta la sua vita terrena. Però non lo troverà nel sistema in cui cresce, in cui si muove e si relaziona. Questa pulsione o istinto spirituale verso Dio-Genitore è un “malessere esistenziale” di tutti; è una inquietudine di tutti, che agisce sotto la superficie di quello che chiamiamo coscienza e realtà. Potremmo forse dire che agisce nell’inconscio. E’ una specie di nostalgia dolorosa che rimane sempre insoddisfatta.

In parte queste insoddisfazioni ci spingono a cercare a cercare… e non è male, perché così facendo esploriamo sperimentiamo pensiamo elaboriamo…  Ma in parte provocano sofferenza; e così se un istinto spirituale ci spinge a cercare, viene un altro istinto fisico che ci spinge a respingere queste ricerche spirituali, a ripiegarci, così preferiamo ricoprire le insoddisfazioni con “surrogati genitoriali”: ecco che l’Amore maiuscolo verso Dio-Genitore-Completezza viene sostituito con un amore minuscolo verso se stessi o verso altre persone, che seppure necessario, non sarà mai del tutto appagante e idealizzato, deluderà sempre.

 

Ad ogni modo questa inquietudine, questa divisione in noi stessi tra carnale e spirituale secondo me non va soffocata, ma va vissuta come inevitabile fatto della nostra esistenza attuale. Noi SIAMO così. Punto. Inutile comportarsi come se fossimo solo carnali o solo spirituali. Questi eccessi porterebbero prima o poi a notevoli squilibri o sul piano fisico (mangio bevo e vivo solo per godere) o su quello spirituale (mi isolo dal mondo faccio l’eremita e contemplo il cielo). Non sono queste le soluzioni.

(continua)


 

 


[1]

E’ dell’altro giorno la notizia che il capo della prima potenza mondiale stava per “premere il bottone” per un attacco sconsiderato contro una nazione che già di per se stessa è un potenziale vespaio mortale. E non è la prima volta, questo grande capo dell’esercito più grande della terra ha spesso rischiato di scatenare conflitti nucleari mondiali con i suoi atteggiamenti al limite della normalità (famosa è la risposta ad un'altra testa calda che stava per mandare testate nucleari, twittando: “il mio bottone è più grande del tuo”). Questo è il livello di maturità di chi  comanda nel mondo (senza contare gli altri). Pensate in che precarietà viviamo.

 

 

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