forza di Dio nella debolezza umana -  2Corinzi 12:1-10 - di T. M. 18-8-18

 

 

1 Bisogna vantarsi? Non è una cosa buona; tuttavia verrò alle visioni e alle rivelazioni del Signore. 2 Conosco un uomo in Cristo che quattordici anni fa (se fu con il corpo non so, se fu senza il corpo non so, Dio lo sa), fu rapito fino al terzo cielo. 3 So che quell'uomo (se fu con il corpo o senza il corpo non so, Dio lo sa) 4 fu rapito in paradiso, e udì parole ineffabili che non è lecito all'uomo di pronunciare. 5 Di quel tale mi vanterò; ma di me stesso non mi vanterò se non delle mie debolezze. 6 Pur se volessi vantarmi, non sarei un pazzo, perché direi la verità; ma me ne astengo, perché nessuno mi stimi oltre quello che mi vede essere, o sente da me. 7 E perché io non avessi a insuperbire per l'eccellenza delle rivelazioni, mi è stata messa una spina nella carne, un angelo di Satana, per schiaffeggiarmi affinché io non insuperbisca. 8 Tre volte ho pregato il Signore perché l'allontanasse da me; 9 ed egli mi ha detto: «La mia grazia ti basta, perché la mia potenza si dimostra perfetta nella debolezza». Perciò molto volentieri mi vanterò piuttosto delle mie debolezze, affinché la potenza di Cristo riposi su di me. 10 Per questo mi compiaccio in debolezze, in ingiurie, in necessità, in persecuzioni, in angustie per amor di Cristo; perché, quando sono debole, allora sono forte. (2Corinzi 12:1-10)

Appare paradossale il fatto che Paolo, uno dei primi e più importanti teologi, colonna portante del Cristianesimo, tra i più noti e attivi Evangelizzatori, parli di debolezza. Siamo abituati a vedere nel discepolo di Tarso, pur con il suo passato pre-conversione burrascoso, il simbolo della forza della Fede. Difficilmente potrebbe essere altrimenti. Eppure, in questa lettera ai Romani, egli rovescia il comune sentire. Cosa significa, allora, che la potenza di Dio si mostra perfetta nella debolezza? Cosa implica essere forti (nella Fede) quando si è deboli? È chiaro che chi è troppo concentrato su stesso difficilmente potrà essere vicino a Dio. L’eccesso di io conduce lontani da Dio. Ma c’è ben di più. Basti pensare alla storia del nostro Signore, morto in croce per redimere il mondo intero. Avrebbe potuto salvare se stesso, come lo provocavano i capipopolo. Ma non lo fece. Anzi, dispensò i miracoli, o i segni come li definisce Giovanni, solo a favore del prossimo, in particolare dei più deboli, mai di se stesso. Morì debole, eppure quanto forza c’era nell’accettare quella morte? Nel bere quell’amaro calice per conformarsi alla volontà di Dio padre? Nella debolezza, nel sapersi abbandonare nelle mani di Dio, risiede la forza della Fede. Nell’affidare a Dio le nostre debolezze, sofferenze e paure sta la forza del Cristiano. Quando siamo deboli, Dio è la nostra forza. Quando tutto sembra remarci conto, la misericordia e la grazia di Dio sono all’apice. La debolezza, se vissuta con Fede, ci spoglia del non necessario per farci conoscere e abbracciare il Necessario. La debolezza non è buona di per sé, ma è una prova dura e necessaria per capire a fondo, discernere e apprezzare il messaggio cristiano.

Scriveva Nietzsche, uno dei più accaniti critici del Cristianesimo: «La specie ha bisogno del sacrificio dei falliti, deboli, degenerati; ma proprio a questi ultimi si rivolse il cristianesimo. Che cos’è la virtù e l’amore per gli uomini nel cristianesimo, se non appunto questa reciprocità nel sostegno, questa solidarietà dei deboli, questo ostacolo frapposto alla selezione?». Nietzsche morirà anche lui debole, sopraffatto da un collasso mentale e altri mali. Ma ciò che il grande filosofo non aveva inteso è che proprio in questo culto della debolezza risiede la forza del messaggio di Cristo. La vera forza non è quella fisica e neppure quella politica o quella del denaro. La grandezza di un uomo risiede nel modo in cui ama e perdona il prossimo, conforta i poveri, si prende cura degli ultimi. Sono il confidare nel Risorto, l’amore, la sensibilità, il sapersi donare che salvano l’uomo.  Ecco, allora, la duplice importanza della debolezza. Se vissuta sulla propria pelle, ci permette di abbandonare il futile, abbracciare il necessario e abbandonarci a Dio. Se vissuta dal prossimo, ci consente di tradurre in azione gli insegnamenti di Cristo.

 

 

 

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