Chi dunque sa fare il bene e non lo fa, commette peccato. (Giacomo 4:17) - di Filippo - 8-8-18

 

 

Come accade già da qualche anno, io e mia moglie, trascorriamo le vacanze estive in una località di mare della Sicilia orientale. Solitamente frequentiamo una spiaggia libera, poco affollata, ma particolarmente suggestiva per il panorama che si riesce ad osservare da lì.

Diversamente dagli anni precedenti, quest’anno abbiamo avuto la brutta sorpresa di constatare che, in alcuni punti, si trovava in uno stato di abbandono quasi totale. Bastava allontanarsi di qualche metro dalla lunga passerella di legno, che dà accesso alla spiaggia, per accorgersi della presenza di una considerevole quantità di rifiuti e detriti, sparsi quasi dappertutto.

Per tutti i giorni di permanenza, come la restante parte dei bagnanti, siamo stati costretti a setacciare i punti più puliti, dove piazzare gli ombrelloni e stendere i nostri teli.

Mi ricordo che il secondo giorno, siamo rimasti piacevolmente incuriositi dal comportamento di una bagnante: passeggiava a qualche metro dalla battigia e raccoglieva con se i rifiuti più grossolani che incontrava lungo tutto il suo percorso, dopodiché li andava, man mano, a depositare negli appositi bidoni dell’immondizia.

Il suo senso civico è stato “semplicemente” ammirevole. Poteva starsene tranquillamente nel suo “angolino” a prendere il sole, come tutti. Invece, si è mostrata sensibile e solidale nel rispetto dell’ambiente e della natura.

Quella donna, con il suo “piccolo” gesto, ha dimostrato il rispetto per il prossimo, il gruppo, la comunità. Il suo senso di responsabilità ci ha fatto capire che bisogna darsi da fare ed agire, secondo le proprie possibilità: lei, approfittando delle sue lunghe passeggiate, non avrebbe mai potuto ripulire tutta la spiaggia, ma il suo percorso sì. E quello l’ha fatto.

Ho voluto raccontare questo episodio perché mi ha fatto riflettere molto da un punto di vista cristiano.

Siamo in molti a lamentarci per tutte le cose che, secondo noi, non vanno, ma in pochi a mettere in campo tutte le nostre capacità, affinché le cose possano veramente migliorare. Spesso tutto nasce da un senso di giustificazione che ci diamo nel prendere le nostre decisioni. Potrei fare mille esempi, ma non voglio andare tanto lontano; giusto per stare nell’argomento, prendiamo ad esempio il mio atteggiamento di fronte all’episodio appena citato: “Ma non è possibile…guarda in che stato è la spiaggia, paghiamo le tasse per avere questo trattamento…è una cosa indecente…ma dove sono gli addetti che si dovrebbero occupare di pulire la spiaggia?”.

Cos’è che ho fatto? Qual è stata la mia reazione? Trasferire la responsabilità ad altri (e magari, a limite, ci potrebbe anche stare), ma peggio, darmi una giustificazione nel non fare niente: “tanto non spetta a me, quindi perché devo fare quello che mi “costerebbe” fatica. No… adesso faccio così: se possibile sposto il problema da un’altra parte, nel frattempo do la responsabilità a qualche altro e magari mi giustifico, nel non riuscire a cambiare le cose, perché fingo a me stesso di non averne le competenze o le capacità.

E’ un po’ come è successo al sacerdote ed al levita quando incontrarono, lungo la loro strada, l’uomo derubato e malmenato. Benché si fossero entrambi resi conto che quell’uomo aveva palesemente bisogno di aiuto, passarono oltre; cioè, giustificandosi, ognuno di loro avrà pensato: “ma chi me la fa fare ad intervenire? E se i briganti, dopo che hanno percosso quest’uomo se la prendono anche con me, quando mi avvicino per aiutarlo? E poi…chi lo conosce? Chi mi rimborserà le spese per curarlo?

Tutto questo si traduce in poche parole: mancanza di compassione, mancanza di amore.

Uno dei sinonimi della parola compassione è partecipazione; uno dei contrari è indifferenza.

Certo, esistono persone che non sanno distinguere tra bene e male, ma io mi riferisco e mi rivolgo a tutte quelle persone che sanno fare il bene e non lo fanno. La Scrittura è chiara in merito: “Chi dunque sa fare il bene e non lo fa, commette peccato”. (Giacomo 4:17).

Chi sa fare il bene, si deve ricordare anche di questo passo della Scrittura: "Poiché dobbiamo tutti comparire davanti al tribunale di Cristo, affinché ciascuno riceva la retribuzione delle cose fatte quand'era nel corpo, secondo quel che avrà operato, o bene, o male". (2Cor 5:10).

Noi, in quanto cristiani, siamo chiamati al bene; Il bene, però, non può essere un sentimento che va e viene secondo i nostri comodi; è inutile fare del bene solo a chi ci fa del bene e rendere male a chi ci fa del male.

Senza l’intervento di Dio nelle nostre vite, difficilmente però potremo fare del bene altruistico senza un nostro tornaconto, perché il nostro cuore è ingannevole ed instabile, in quasi tutte le sue vie.

La nostra fede in Dio (che è il Sommo bene), diventa viva solo quando il Signore trasforma il nostro cuore, in modo che da esso scaturisca il bene, secondo la Sua volontà.

Dai nostri frutti saremo capaci di dimostrare a quale albero apparteniamo.

 

 

 

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