Il dio Pan e gli attacchi di panico

Allegato al  " LA PAURA" di Gabriella Ciampi - psicologa psicoterapeuta - 13-3-12

 

 

 Nella mitologia greca Pan era lo spirito di tutte le creature naturali, di tutta la realtà e la Natura del mondo, e questa definizione lo collega alla foresta, all'abisso, al profondo. Secondo un’altra leggenda era patrono del riposo pomeridiano durante il quale infondeva timore, ansia. Forza vitale e creatrice, in costante attesa degli eventi vitali, viene collegata ad uno stato d’ansia in attesa degli accadimenti, tanto da portare alla percezione dell’incontrollabilità e di un’ansia generalizzata legata all’incapacità di governare lo svolgimento delle cose.

Da Pan deriva la parola pànico. Il panico è una paura incontrollata, ingestibile, che assale la persona e la immobilizza, la mette in uno stato di incapacità ad agire.

Cosa accade esattamente durante un attacco di panico?

Ciò che accade è a vari livelli: neurovegetativo, psichico, psicosensoriale, comportamentale (con intensità che varia da caso a caso). Gli episodi insorgono all’improvviso e sono di breve durata, ma in quei pochi minuti la persona è fortemente impaurita dalle manifestazioni neurovegetative che il proprio corpo esprime: senso di soffocamento, tachicardia, sudori, brividi, vertigini, tremori incontrollati. La sensazione è di paura, timore di perdere il controllo; c’è una percezione alterata di sé e dell’esterno, un senso di irrealtà, estraneità. A livello comportamentale il soggetto svolge un forte autocontrollo per cui raramente i presenti si accorgono del malessere in atto.

Spesso il primo attacco avviene in una situazione veramente drammatica o molto significativa per il paziente (incidente, morte di un familiare, ecc); i successivi episodi invece non sono quasi mai riferibili ad un contesto di ansia, come se avvenissero senza motivo, senza ragione. Talvolta sono scatenati da assunzione di droghe; il 50% avviene durante il sonno e causano un brutto risveglio.

L’attenzione al proprio corpo e a questi sintomi fanno sì che si accentui l’ansia e si inneschi un circolo vizioso che mantiene il sintomo perseverando l’interpretazione catastrofica del proprio vissuto (sto per morire, sto per impazzire, ecc).

La messa in atto di numerosi comportamenti di evitamento (1) e di ricerca di sicurezza impediscono ai pazienti di disconfermare i propri timori erronei, che quindi permangono nel tempo. Il fatto cioè che si cerchi di evitare le situazioni collegate alle crisi (per es. tra le più riferite troviamo i luoghi affollati, stare alla guida della macchina, o prendere l’autobus), oppure ci si appoggi ad un’altra persona per affrontarle, non aiuta a superare questo tipo di ansia ma la perpetua e la rinforza.

Che senso ha l’attacco di panico? A cosa serve?

Quando un conflitto o un disagio viene rimosso dalla coscienza e relegato nell’inconscio, può arrivare un momento in cui comincia a farsi sentire dando origine a sintomi. Talvolta prendono la forma di frequenti attacchi di cefalea, altre volte è la colite o l’afonia, nel caso in cui il sintomo scelga la via somatica (sono moltissimi i sintomi che hanno questa causa, sono le cosiddette somatizzazioni). L’ attacco di panico va letto allo stesso modo, è espressione di uno stato di malessere. Nella mia esperienza clinica ho constatato che si tratta di un malessere spesso legato al senso di costrizione, al sentirsi stanchi di dover avere sempre e soltanto una prestazione al massimo livello, non saper mai dire di no, essere sempre pronti a farsi in quattro per gli altri, non riconoscersi mai momenti di debolezza o limiti o imperfezioni, sentirsi sempre in dovere di dare il massimo ed essere efficienti. In genere accade alle persone realmente capaci, su cui tutti sanno di poter contare. Come se l’attacco di panico fornisse loro “la scusa” per fermarsi, assentarsi, esonerarsi dal dovere, e non riuscire più ad essere efficienti come prima. Come a voler dire “Vedete cosa mi succede a volte? Non potete contare sempre sulle mie capacità, anzi ora sono io ad aver bisogno di aiuto!”.

Cosa fare allora?

La persona che soffre di a.di p. può cercare di capire l’origine di questo sintomo e rivolgersi ad uno psicologo per decodificare il senso del disturbo.

Chi invece ha un familiare o un’amica che ha queste crisi, deve sapere che sostenerlo evitandogli i contesti scatenanti il panico (prendere l’autobus, guidare, stare in un supermercato, ecc) o accompagnandolo, non costituisce né un vero aiuto né una risposta al problema, che va affrontato dall’interessato come detto prima.

(1) Comportamento di evitamento: quel comportamento messo in atto sistematicamente e rigidamente (cioè senza eccezioni) finalizzato ad evitare la situazione che genera il disagio.

 

 

 

 

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