Bollettino libero cristiano evangelico  dell'Associazione ONLUS  "Piccola Iniziativa Cristiana" a cui tutti possono partecipare utile per la riflessione e lo studio biblico

 

DAL BABY-BLUES ALLA DEPRESSIONE POST PARTUM

Allegato allo scritto "La tristezza", di Gabriella Ciampi - psicologa psicoterapeuta

 

 

Dopo il parto si può presentare un disturbo dell’umore che può variare per intensità e durata: un certo stato di disagio psico-fisico può farsi sentire nella puerpera, in una forma lieve (cosa che viene considerata una reazione tipica e abituale) o in una forma più grave,  condizione meno frequente e da tenere più sotto controllo.

Nella forma più lieve si tratta di un disturbo dell'umore, detto anche  “baby blues” o “maternity blues”, che si presenta nella prima settimana dopo il parto, e può durare da poche ore ad alcuni giorni. I sintomi  fisici si esprimono in disturbi del sonno, senso di tristezza, mancanza di energie, inappetenza,  stanchezza eccessiva anche dopo aver riposato; mentre a livello psicologico si nota uno stato di ansietà,  paura e preoccupazione, confusione, eccessiva attenzione ai cambiamenti fisici, nervosismo e tristezza. La neomamma è portata facilmente al pianto, è iperattiva, irritabile, ipersensibile e  interagisce poco con il suo bambino. Parliamo qui di una normale reazione emotiva ad un evento stressante, quale é il parto. Secondo alcuni studiosi in questo disturbo giocano un ruolo importante le modificazioni endocrine successive al parto, una instabilità  emotiva pre-esistente alla gravidanza, la difficoltà ad elaborare  la separazione dal bambino che prima era nella pancia ora non più.

Nella forma più grave parliamo di depressione post partum. Questa insorge  a distanza di alcuni giorni, settimane o addirittura mesi dal parto e dura anche un anno; se la neomamma vive questo stato così prolungato di disagio è bene non sottovalutare la situazione e conviene attivarsi rivolgendosi ad uno psicologo (presso il Consultorio familiare della ASL per es.).

I sintomi sono più gravi e implicano frequenti mal di testa, intorpidimento, palpitazioni e iperventilazione, mentre quelli psicologici  comportano la sensazione di vuoto, la percezione di essere inadeguate, di non poter far fronte alle situazioni, una preoccupazione eccessiva per la salute del bambino, pessimismo, difficoltà di concentrazione, perdita di interessi personali, pensieri bizzarri o di suicidio. In alcuni casi possono anche manifestarsi sintomi gravi quali attacchi di panico, ostilità verso gli altri, fobie, allucinazioni, incubi, paure eccessive, senso di estraneità, paure irrazionali per il bambino.

Purtroppo la cronaca ci ha dimostrato cosa può arrivare a fare al suo neonato una madre molto depressa, nonostante i segnali di allarme (i sintomi) che non dovrebbero sfuggire alle persone che vivono con lei.

Le condizioni individuali che vengono messe in rapporto con la depressione p.p. sono per es. un elevato livello di ansia caratteriale e/o durante la gravidanza, un atteggiamento ambivalente nei confronti della maternità, non aver scelto la gravidanza; un peso rilevante è poi rappresentato dalla mancanza di una persona di fiducia con cui parlare, l’aver problemi di coppia o condizioni economiche critiche. Vediamo quindi che fattori individuali, relazionali, affettivi e sociali si intrecciano e diventano fattori di rischio, fattori cioè che predispongono alla depressione.

Diversamente agiscono i fattori di protezione: avere la possibilità di appoggiarsi al coniuge, poter confidare le proprie normali paure ad un’amica, farsi aiutare per attenuare l’ansia o usare una tecnica di rilassamento (la stessa imparata al corso di preparazione al parto), sono riferimenti utili per proteggersi dalla depressione e riprendersi velocemente dopo il parto. Soltanto così protetta può dedicarsi serenamente ed esclusivamente all’accudimento del neonato con quella dedizione esclusiva funzionale allo sviluppo del bambino. Come dice un grande pediatra psicoanalista, Donald Winnicott, “la madre di un neonato è l’unica persona adatta ad assistere quel neonato; solo lei può raggiungere quella condizione speciale di preoccupazione materna primaria senza essere ammalata”  (ciò prescinde dalla maternità biologica includendo anche la madre adottiva o altra figura di attaccamento) (1).

 

 

 

(1)   D. Winnicott Dalla pediatria alla psicoanalisi ediz. Psycho 1975

 

 

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