PAGINA 5  DI ES4

 

LIBERTA'  E MATURITA’ DI FEDE

 (da “Il Ritorno” n.16)

 

LA LIBERTÀ SI ACQUISTA GRADATAMENTE

Già parlammo di "Vigilanza nella libertà" (Appunti ES1, parte IX, cap.4), tenteremo ora di ampliare il discorso. La libertà è forse il dono più grande che Dio abbia dato all'uomo, ma anche il più difficile da gestire. La libertà non gestita infatti corrisponde al "faccio ciò che mi piace, ciò che  a me sembra giusto, come voglio e quando voglio". Un concetto più maturo potrebbe invece dire: "nella volontà di Dio trovo l'espressione più ampia della mia libertà". Infatti quando l'apostolo dice "posso ogni cosa" aggiunge subito dopo "in Colui che mi fortifica" (Filippesi 4:13). Quando all'inizio coscientemente accettiamo Gesù come Signore (battesimo) è vero che i nostri peccati vengono cancellati e siamo potenzialmente liberi, ma siamo pur sempre dei bambini che muovono i primi passi. E' l'inizio del cammino; dobbiamo imparare tutto. Siamo già liberi (dal peccato) ma praticamente dobbiamo imparare ad immergerci nello  Spirito di Dio che ci trasforma GRADATAMENTE. Il nostro agire esteriore dunque, le nostre azioni nel mondo, cambiano assieme al nostro cambiare interiore, vanno di pari passo. Prima si cambia dentro, poi di conseguenza, anche fuori.

Non basta aver sentito il Signore una volta per poter essere uomini nuovi. Nella rinascita si presuppone anche una crescita. Gesù è stato forse la Persona più libera di tutti, eppure della propria libertà ne ha fatto un mezzo d'amore di salvezza per altri. Una offerta di sé. La libertà che è in noi è all'inizio sospinta solo dal nostro istinto umano, che è egoistico. Solo con la maturità spirituale, derivante dal continuo rapporto con Dio, arriviamo a comprendere che ogni gesto della nostra vita di cristiani è missione, è versare amore in un mondo distratto che ricambia col suo contrario.

POSSIAMO FARE TUTTO? RESPONSABILITÀ NELLA LIBERTÀ

Non è sbagliato sentirsi (ed essere) liberi di poter fare tutto, ma chi è maturo nella fede si domanderà subito dopo se il nostro agire potrà far inciampare il fratello, se lo confonderà o se addirittura potrà fargli del male. In questi casi la propria libertà passa in secondo piano rispetto alla delicatezza dell'altro.  "«Tutto è lecito!». Ma non tutto è utile! «Tutto è lecito!». Ma non tutto edifica.  Nessuno cerchi l'utile proprio, ma quello altrui." (1 Cor. 10:23-24)

La RESPONSABILITA' è una componente fondamentale della libertà. Il bambino nelle scuole materne ed elementari non è libero: deve essere seguito in tutto; gli si deve dire cosa fare, quando e come farlo. Certo è per il suo bene, ma crescendo lui l'avverte come un fardello molto pesante che lo può soffocare. Nell'adolescenza conosciamo le crisi esistenziali dove è veramente difficile sottostare alle regole. E' un po' il passaggio che c'è per i cristiani tra il peso della legge e la maturità spirituale nella libertà. Nelle università non ci sono più le interrogazioni assillanti, i compiti in classe, l'obbligo fi essere sempre presente e di portare la giustificazione... c'è maggiore libertà. Eppure domandate ad un qualsiasi studente universitario che abbia un minimo di responsabilità quanto in effetti sia libero! Paradossalmente la sua libertà sembra diminuita rispetto a quella che aveva prima  nelle scuole superiori. Allora fatti i compiti prendeva e usciva con gli amici; c'era un professore che gli insegnava in base ad un programma, non doveva far altro che seguirlo (magari sbuffando) .... ma ora quel professore è dentro la sua persona, è una figura introiettata che in se stesso giudicherà quanti compiti fare e quanto tempo avere a disposizione per gli amici.. Non è facile gestire la propria libertà. Siamo costretti a pensare, a valutare, a decidere continuamente.

TESTIMONIANZA E LIBERTÀ

E che dire in campo cristiano quando alla responsabilità si aggiunge anche la TESTIMONIANZA? Quante volte ci farebbe più comodo infischiarcene degli altri e comportarci come ci pare! In Ezechiele 33 si parla del profeta come "sentinella". In un certo senso anche noi alle volte siamo chiamati a testimoniare ciò che ci viene mostrato. La nostra testimonianza in merito, per esempio al peccato o a certi insegnamenti evangelici, può portare la vita o la morte spirituale in chi ci ascolta  Non è cosa da poco. Dire o non dire? Alle volte dire significa assumere una posizione precisa, magari rischiare di perdere un'amicizia... ma che amicizia sarebbe quella che si mantiene senza Dio? Secondo me, nolenti o volenti siamo comunque dei testimoni cristiani in tutte le azioni della nostra vita. I nostri figli ci osservano con attenzione e prendono da noi quei modi che faranno propri, proprio come lo studente prende dal suo insegnante. Persino azioni apparentemente insignificanti possono assumere significati importanti: prendiamo una cerimonia sociale e religiosa come il battesimo o la comunione cattolica, il matrimonio, un funerale... Non sono temi da prendere alla leggera. Dobbiamo essere in grado di sapere cosa vogliamo esprimere con le nostre azioni o partecipazioni. Una festa è una festa, una preghiera è una preghiera, una liturgia è una liturgia. Diversa è la partecipazione ad un funerale  da quella ad una cresima. Partecipare a tutto solo perché siamo liberi di farlo potrebbe significare testimoniare confusione, non  solo esprimere la propria libertà.

LE INTENZIONI ED I FATTI

Questo punto è molto difficile da approfondire. Assomiglia un poco alla fede ed alle opere: può bastare la sola fede? Possono bastare le sole opere? Se è vero che siamo salvati per sola fede (“Voi infatti siete stati salvati per grazia, mediante la fede, e ciò non viene da voi, è il dono di Dio,  non per opere, perché nessuno si glori”. Efesini 2:8-9) è anche vero che "la fede senza le opere è morta" (Giac. 2:20; 2:26). Così non possono bastare le sole nostre buone intenzioni. Ciascuno di noi cristiani è animato da buone intenzioni, ma la realizzazione pratica di queste buone intenzioni manda a effetto davvero quanto è nel nostro desiderio? CAUTELA E DISCERNIMENTO sono indispensabili. Alle volte tutti combiniamo qualche guaio, e ci viene spontaneo dire "ma io non volevo fare questo". Già. Però è successo. Ora senza colpevolizzare nessuno chiediamoci: perché succedono queste cose? Perché non ci fermiamo a pensare  un poco di più prima di agire? In 1 Cor. 8 l'apostolo parla di libertà nel mangiare i cibi (come sapete per i giudei molti cibi, come la carne di maiale o altro erano proibiti); ora apriamo il discorso ad una interpretazione più ampia: noi cristiani siamo liberi nelle azioni, ma questa libertà ha un limite che noi stessi dobbiamo saperci trovare in rapporto all'amore, alla sensibilità alla necessità dell'altro prima, e di noi dopo.  "Badate però che questa vostra libertà non divenga un intoppo per i deboli." (1Corinzi 8:9). L'intenzione di un certo nostro agire, dunque, non può essere esente dalla riflessione attenta del momento e di ciò che può portare negli altri la nostra volontaria o involontaria testimonianza. Ogni gesto è vivere e testimoniare qualcosa. Prendiamo un capo di stato: quando il presidente va a visitare dei soldati o dov'è stato un terremoto o partecipa ad una cena, non è mai un fatto privato: egli con la sua presenza testimonia che lo Stato è tra i soldati, nel terremoto, nella festa. Tutto questo ha lo scopo di incoraggiare, di incitare, rafforzare lo Stato intero. Nella famiglia perché dovrebbe essere diverso? Se un padre partecipa ad una manifestazione per la pace non esprime solo un suo gesto personale, ma per la famiglia rappresenta (che lo voglia o no) un esempio. Prendiamo un altro esempio "difficile": la comunione cattolica ha per base di fede la reale presenza nel pane del corpo fisico di Gesù e nel vino il suo sangue (transustanziazione), nel caso degli evangelici è più un atto simbolico, pure se attuato con raccoglimento e solennità. Sono due posizioni diverse. Ora senza giudicare in questa sede quale sia giusto, la domanda è: io che mi sento libero, posso partecipare indifferentemente all'uno o all'altro? Non è facile dare una risposta, ne converrete. Qualunque sia la decisione merita un certo discernimento, una riflessione. Noi con la nostra presenza indichiamo, testimoniamo o avalliamo qualcosa. Se ciò che facciamo non è chiaro e si presta ad ambiguità è come parlare le lingue senza interpretarle, a che serve?

E qui entriamo in un altro punto importante. Noi esprimiamo ciò che siamo.

UN CRISTIANO È DAVVERO RESPONSABILE DI CIÒ CHE È?

Anche questa è una domanda difficile. Ciò che siamo si manifesta a poco a poco, nella misura in cui egli si lascia permeare dalla verità di Dio che lo rende davvero libero. Un cristiano può essere responsabile o non esserlo affatto, così come può conoscere certe verità oppure non conoscerle dipende da quanto vive assieme a Cristo: Infatti analizziamo un momento Giovanni 8:31-32:

"Gesù disse allora ai Giudei che avevano creduto in lui:" «Se dimorate nella mia parola, siete veramente miei discepoli;  conoscerete la verità e la verità vi farà liberi». Questa è una frase densa di significati e molto profonda; forse contiene tutto il programma del Vangelo: notate all'inizio Gesù si rivolge a chi aveva già creduto in Lui. Non siamo dunque nella fase di chi non conosce il Signore, ma in quella di chi lo conosce, e come si vedrà subito, non basta il conoscerlo. «Se dimorate nella mia parola.." E' tutto qui il punto sostanziale: per essere veramente discepoli di Gesù, cioè dei cristiani anche di fatto, per poter conoscere quella verità che poi ci renderà liberi, è necessario dimorare nella Sua parola. Solo SE dimoriamo nella sua parola avverrà tutto il resto.

C'è stata una predica interessante nella nostra chiesa su questo "dimorare in Cristo" (Pino i tralci). Noi dove dimoriamo di solito? La pianticella che dimora nel terreno , mette le sue radici, poi porterà il frutto. Ci vuole il giusto tempo. Bisogna dimorare, abitare, stazionare. Ora una persona che conosce il Signore, ma che va al culto solo per un'ora alla settimana (quando possibile, sempreché non abbia impegni più importanti) riesce a dimorare nella parola di Dio? Io non lo credo. La parola ha bisogno di essere accolta, pensata, riflettuta, "ruminata" a lungo; ed ha bisogno continuamente di essere rinnovata. E' l'acqua del nostro vivere, il cibo di cui si nutre la nostra anima. Attingere acqua solo per un'ora la settimana forse non ci farà morire, ma certamente non  ci farà crescere. Il nostro corpo per poter vivere bene deve potersi nutrire almeno due volte al giorno: lo spirito nostro forse di più.

SPAZI REGOLARI GIORNALIERI

Vi è un meccanismo importante di cui dobbiamo essere al corrente: è semplice nella sostanza ma può apparire complicato spiegarlo: teniamo presente questa verità:

"Or il Signore è lo Spirito, e dov'è lo Spirito del Signore, vi è libertà. E noi tutti, contemplando a faccia scoperta come in uno specchio la gloria del Signore, siamo trasformati nella stessa immagine di gloria in gloria, come per lo Spirito del Signore." (2 Corinzi 3:17-18). Ora per contemplare come in uno specchio è necessario soffermarsi. La contemplazione è uno stato particolare in cui senza ostacoli si lascia entrare l'oggetto contemplato nelle nostre profondità, lasciando che produca gli effetti che vuole produrre, senza interferire...  Per arrivare a questo occorre certamente una preghiera regolare, fatta ogni giorno, che ci metta in contatto col Signore, che apra i nostri cuori a Lui e ci permetta alla fine di riposare in Lui, tranquilli, lasciandoci appunto trasformare.

Ma attenzione, guardiamo i nostri tempi settimanali, facciamo pure un piccolo schema: quanto tempo dedichiamo al Signore? Avanti proviamo a scriverlo e a sommarlo. Ora mettiamo il risultato sulla bilancia a due piatti (tipo quella della giustizia, avete presente?) quanto tempo spendiamo per il mondo e quanto tempo per il Signore? Il risultato è deludente vero? Ma noi non vogliamo scoraggiare nessuno, il nostro scopo è un altro: è arrivare a delle consapevolezze e a dei ridimensionamenti del nostro io per continuare  il cammino con maggiore entusiasmo di prima.

ATTENTI, LA TRASFORMAZIONE PUO’ ESSERE AL CONTRARIO

La considerazione che vorrei porre è questa:

1- meditando la frase comprendiamo che lo Spirito di Dio ci trasforma;

2- abbiamo detto che per trasformarci è necessaria una continuità di preghiera, una presenza assidua del nostro cuore in Dio;

3- ma che succede dentro di noi quando questa assiduità non c'è?

Senza rendercene conto andiamo alla deriva; senza la presenza costante dello Spirito di Dio perdiamo il processo di santificazione ed avviene un fenomeno particolare: una trasformazione inversa, al negativo potremmo dire. L'uomo è una composizione meravigliosa sempre in movimento sia nel corpo che nello spirito. Non si può arrestare la crescita o l'invecchiamento delle cellule così come è inarrestabile un processo di elaborazione interiore spirituale. Solo che nello spirito possiamo evolverci o involverci; espanderci o rimpiccolirci; progredire, crescere oppure tornare indietro e degenerare. L'abitudine a distaccarci da Dio (magari presi da mille cose anche importanti come il lavoro o i doveri familiari) per periodi abbastanza lunghi (una settimana è un periodo lunghissimo) innesca un meccanismo di recessione evangelica, di imbarbarimento cristiano, di "normale dimenticanza" della presenza di Dio. La cosa orribile è che di solito noi non ci rendiamo conto della Sua assenza se non quando è tardi. Vediamone un esempio biblico:

L’ESEMPIO DI DAVIDE

L'ottimo fratello pastore Massimo Zangari ci ha parlato di Davide. Era benedetto, grande, ripieno dello Spirito di Dio, quando, consapevole delle proprie debolezze umane e del suo bisogno di santificazione diceva "O Eterno investiga il mio cuore...", ma commise i peccati più abietti quando un poco alla volta si dimenticò di coltivare questa assidua comunione con l'Eterno. Quando non siamo in Dio, siamo da qualche altra parte, e dove si può andare senza Dio? Se non guardiamo in alto possiamo guardare solo in basso. Non era col Signore, Davide, quando girovagando annoiato per la casa vide dalla finestra e desiderò la moglie di un altro. “Una sera Davide, alzatosi dal suo letto, si mise a passeggiare sulla terrazza del palazzo reale; dalla terrazza vide una donna che faceva il bagno. La donna era bellissima” (2Samuele 11:2) - Arrivò all'adulterio, all'inganno e persino all'omicidio. Ma lo capì? Capì di essere lontano da Dio? Se qualcuno gli avesse chiesto la sua posizione "interiore" lui avrebbe detto "io sono il re d'Israele, libero nel mio agire e credo nell'Eterno". Non poteva capire;  era distante da Dio. Una distanza avvenuta forse per gradi, forse per noia, forse per seguire i problemi della corte.. chissà. Ciò che era realmente Davide lo capì solo quando Dio stesso gli mandò il profeta Nathan (2 Sam. 12), e neanche subito, ma solo quando questi gli disse chiaramente: "tu sei quell'uomo!" (v.7) E' qui che irrompe in Davide la verità, la consapevolezza di ciò che era. Rimane colpito e resta in silenzio; poi alla fine dice "Ho peccato contro l'Eterno" (v.13).

Ora attenzione, il punto non è solo il nostro peccato personale, perché Dio può perdonarci e sa come toglierlo se il nostro cuore è davvero pentito (infatti dice al re nella sua mortificazione: "L'Eterno ha rimosso il tuo peccato, tu non morrai", ma l'accento è posto sulla sua azione in rapporto agli altri: "Tuttavia, poiché facendo questo tu hai dato ai nemici dell'Eterno occasione di bestemmiare...." (v.14)

Ecco su cosa dobbiamo riflettere: le nostre azioni possono fare del male o del bene. Davide non intendeva certo dare occasione di  bestemmiare ai nemici; tuttavia è questo quello che accadde.

Per fortuna le nostre azioni sono meno drammatiche e per fortuna non abbiamo responsabilità come quelle di un re, però dobbiamo imparare anche nel nostro piccolo che possiamo trovarci, involontariamente, lontani da Dio. Alle volte per inavvertenza o per eccessive preoccupazioni non frequentiamo più la casa di Dio, preghiamo meno sia da soli che in chiesa....  non capiamo più il fratello quando ci parla.... attenzione!

Quanto tempo è trascorso dall'ultima volta in cui abbiamo detto: "Investigami, o Eterno, e mettimi alla prova; purifica col fuoco la mia mente e il mio cuore"?   (Salmo 26:2)

 

PG.  PRECEDENTE

PG.  SUCCESSIVA

INDICE-ES4