COMUNICAZIONE DIVINA  PARTE 13  Apparenti contraddizioni nella comunicazione divina  - Renzo Ronca 5-10-19

 

 

 (segue) 

Ognuno ha in se stesso traumi paure e desideri, istinti comprensibili ed incomprensibili (come la pulsione di morte) che galleggiano nel nostro inconscio e ogni tanto si mostrano causandoci emozioni forti non sempre gradevoli e comprensibili. Noi tendiamo a rimuovere a soffocare queste emozioni, ma il Signore –per alcuni più di altri- sembra invece lasciarle disseminate nel corso della crescita. Perché lo permette? Una risposta l’abbiamo già data nelle puntate precedenti a proposito della ”dell’angelo di Satana” che tormentava l’apostolo Paolo, ed era affinché l’apostolo (che aveva ricevuto rivelazioni sublimi) non si insuperbisse. Questo principio vale sempre anche per noi.

 

Ma oltre alla nostra umiliazione positiva, cioè quello stato d’animo che ci permette di rimanere umili e quindi di non esaltarci, vi è anche l’educazione alla gestione dei “nostri demoni”. Il Signore ci libera dal male, ma stranamente a volte lascia qualche ombra.

Se permette in noi l’apparire saltuario di qualche ombra grigia che potrebbe tentarci affascinarci o spaventarci a livello spirituale, allora, pur rimanendo sempre nella comunicazione di fede con il Signore, dobbiamo imparare a difenderci. Ma come è possibile convivere con queste cose maligne se l’anima nostra ne ha orrore ed aspira invece alla purificazione spirituale?

 

Questo credo sia uno tra i punti più difficili da accettare per un cristiano. Si tratta della contraddizione tra carne e spirito, che proseguendo nel nostro processo di avvicinamento a Dio, presenterà conflitti sempre più laceranti.

Eppure, finché resteremo carnali, cioè su questa terra, non saremo mai perfetti come anela l’anima nostra. Occorrerà aspettare il rapimento (se saremo ancora in vita) o la resurrezione (se il corpo terreno sarà morto nella speranza).

 

L’apostolo Paolo stesso, come accennammo già altrove, si trovò di fronte a questo problema esistenziale: Rom 7:21 “Mi trovo dunque sotto questa legge: quando voglio fare il bene, il male si trova in me. 22 Infatti io mi compiaccio della legge di Dio, secondo l'uomo interiore, 23 ma vedo un'altra legge nelle mie membra, che combatte contro la legge della mia mente e mi rende prigioniero della legge del peccato che è nelle mie membra. 24 Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?”

 

In pratica finché vivremo sulla terra sarà presente in noi anche una “carnalità” che per natura ha interessi opposti allo spirito, ovvero una “antispiritualità” che farà da contrappeso al desiderio dell’anima di elevarsi e correre subito da Dio:

Filippesi 1:21 “Per me infatti il vivere è Cristo, e il morire guadagno. 22 Ma non so se il vivere nella carne sia per me un lavoro fruttuoso, né posso dire che cosa dovrei scegliere, 23 perché sono stretto da due lati: avendo il desiderio di partire da questa tenda e di essere con Cristo, il che mi sarebbe di gran lunga migliore….”

 

Il dubbio esistenziale molto serio e profondo che ne scaturisce, per un cristiano, è il seguente: non sarebbe più conveniente andare subito con Dio, visto che con Lui si sta tanto bene?

 

E’ anche su questi conflitti dell’anima e del corpo che si sviluppano le attrattive e le paure. L’ingannatore tenterà facilmente di manipolare gli equilibri mostrando (per es. tramite una depressione) quanto sia “inutile e ingiusto” vivere, spingendoci così a pensieri sucidi. Oppure al contrario potrebbe terrorizzarci con incubi di morte per farci concludere che Dio non ci può liberare dalla paura…

Ma se non lasciamo il nostro dialogo con il Signore, riusciremo ad andare oltre queste pulsioni e a comprendere la maturità della fede.

 

Ecco infatti come conclude l’apostolo la sua riflessione sulla vita e la morte: “…ma il rimanere nella carne è più necessario per voi. 25 Questo so sicuramente, che rimarrò e dimorerò presso di voi tutti per il vostro avanzamento e per la gioia della vostra fede, 26 affinché il vostro vanto per me abbondi in Cristo Gesù, per la mia presenza di nuovo tra voi. (Filippesi 1:24-25)

 

In pratica l’apostolo abbassa il suo desiderio personale (essere con Cristo, il che mi sarebbe di gran lunga migliore) e innalza la necessità degli altri (Questo so sicuramente, che rimarrò e dimorerò presso di voi tutti per il vostro avanzamento e per la gioia della vostra fede).  

 

Durante la sua perplessità (Me infelice! Chi mi libererà da questo corpo di morte?”) l’apostolo, per poter arrivare alla consapevolezza finale (Questo so sicuramente, che rimarrò..) avrà pensato, pregato, riflettuto, ascoltato la voce del Signore nel suo cuore.

 

E’ il Signore che gli ha rivelato cosa era bene per lui e cosa sarebbe appunto successo: “Questo so sicuramente…”. Quel “so sicuramente”, per avere tanta sicurezza doveva per forza venire dall’alto. Solo chi comprende a fondo cosa significhi “Per me infatti il vivere è Cristo, e il morire guadagno” può realizzare il vivere in Cristo, che è donazione di Sé. Che poi, in questo tipo di vita identificata con quella di Cristo, esista il morire reale fisico, o il morire a se stessi per amore degli altri, poco importa, sono entrambi relativi. Non è in fondo molto diverso né così tragico come sembra. Se un credente muore realmente nel corpo, rimane spiritualmente vivo in Cristo, che poi incontrerà certamente. Se un credente “muore a se stesso” preoccupandosi più del bene degli altri che della sua stessa vita terrena, vivrà come uno “morto-rinato”; morto all’egoismo umano, rinato per fede nella resurrezione del Cristo. In ogni caso andrà comunque anche lui col Signore.

 

Parlando in modo provocatorio per le persone che non hanno fede, possiamo dire che per noi cristiani, che vorremmo essere in piena comunicazione-consacrazione col Signore, non cambia nulla un anno in più, o un anno in meno di vita terrena. Non sono gli anni terreni da vivere in più, l’obiettivo, il nostro desiderio profondo, ma è la comunione divina nell’eternità assieme a tutti i salvati che formeranno la vera Chiesa. Vivremo in una terra nuova, in cieli nuovi, questa è la certezza che in qs vita terrena ci accompagna. Qualsiasi cosa accada.

 

In un certo senso allora i paradossi le contraddizioni e le paure esistono solo finché ragioneremo con la mente terrena; sono “pensieri di Terra” non “pensieri del Cielo”. La comunicazione con Dio è la vita Sua nel nostro pensiero che si espande, che dal primo momento che ci ha pensati-concepiti-creati non ha mai smesso di portarci sempre più in alto. La nostra mente con Lui è in grado di spaziare molto di più.

 

Conosco persone che hanno avuto una comunicazione così vicina al Signore Gesù tanto da vederLo e so che in quei momenti non esisteva più in loro alcuna domanda umana. Erano rivestiti dalla Sua gloria con tanta intensità da percepire temporaneamente come le risposte a tutto, sintetizzando il tutto come uno stare così bene da non volersene andare più.

 

Ma perché allora rimaniamo in questa vita? Penso che non lo decida la nostra anima credente, la quale sarebbe troppo attratta da Dio e mai tornerebbe da uno stato di comunione come l’estasi. Chi lo stabilisce è solo Dio e noi lo accettiamo volentieri.

Dio Padre conosce i nostri momenti, anche quello della fine, quando avremo compiuto tutto il nostro compito. A volte per amore, per rafforzarci potrà anche spingere la comunicazione oltre ciò che è naturale, facendoci gustare il Suo volto o ascoltare la Sua voce in modi sublimi, però allo stesso tempo se noi ci siamo abbandonati a Lui confidando in tutto per la vita nostra che non è più nostra ma Sua, allora ci indicherà come versare fino in fondo quello che di buono ha investito in noi, affinché anche altri possano arrivare alla conoscenza e sperimentazione di questa “comunicazione-creante”.

Se tutti i credenti se ne fossero andati in cielo appena conosciuto il Signore, chi lo avrebbe testimoniato aprendo le porta della salvezza a chi ancora non lo conosceva? Il progetto di Dio (la formazione del popolo di Dio in cui sta la Chiesa), cerca la salvezza di ogni anima che era stata già da Lui  pensata e concepita (se questa lo vorrà accettare). Solo quanto tutte le anime che il Signore ha preconosciuto avranno avuto modo di fare la loro scelta consapevole, non ci sarà più bisogno né di fede né di comunicazione, perché vedremo direttamente e direttamente sapremo.

 

L’apostolo Paolo capì il senso dell’”angelo di Satana” solo dopo che il Signore in qualche modo glielo rivelò tramite la comunicazione personale. Potremmo supporre che se nella nostra comunicazione-preghiera Gli chiediamo il perché di certe ombre grigie persistenti, lo rivelerà anche a noi. Se sono aspetti che dobbiamo imparare a togliere con maggiore impegno ce lo farà capire, se sono aspetti con cui in qualche modo dovremo convivere pur standone bene distaccati, ce lo farà capire lo stesso.

 

Quella che chiamiamo “comunicazione(trattino)preghiera” in realtà è qualcosa di unico, fluido, trasformante, molto complesso e superiore, di cui poco possiamo renderci conto. Inutile fare complicati discorsi teologici, penso che sia Dio stesso a far vivere questo sublime scambio in modi meravigliosi.

(continua)

 

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