MA COME PUO’ ESSERE UN  BENE SE CI SENTIAMO ABBANDONATI? - di Renzo Ronca - 25-7-19

 

 

 

 

 

Ricordavo una lettera in cui una signora scriveva: “…sono stata abbandonata dagli uomini e da Dio... non mi venga a dire che c’è del buono in questa vita…”

 

In effetti non c’è dolore più grande che sentirsi abbandonati. Se poi chi ci abbandona è qualcuno che amiamo, ci crolla il mondo addosso e non possiamo trovare pace in questo inspiegabile dolore, quasi impossibile da accettare.

 

Tuttavia se c’è il tempo del dolore, è importante che ci sia  anche il tempo della riflessione. Per quanto in certi momenti sia quasi impossibile pensare in modo obiettivo, quello del ragionamento su una base di fede è un passaggio importante che dobbiamo sforzarci di trovare. Può darsi che quanto ora proverò a dire non sembrerà ammissibile a chi è nel pieno di una crisi, ma penso che poi ricordandolo, potrà sarà utile.

 

Cominciamo a fare la dovuta differenza tra uomini e Dio.

Gli uomini possono deludere, abbandonare, tradire, pentirsi, tornare e magari andarsene di nuovo spezzando il cuore…   ma Dio non è così.

Allora come si spiega che certe volte ci sentiamo abbandonati anche da Dio?

 

E’ vero che esistono fasi della nostra vita in cui il Signore tace, ma anche qui bisogna distinguere. Esiste il silenzio di Dio perché siamo noi a non voler ascoltare, poi esiste il Suo silenzio per  correggerci e per farci crescere.

 

Il silenzio di Dio perché non Lo vogliamo ascoltare – In realtà questo è molto più frequente di quanto possiamo pensare. A volte quando vogliamo qualcosa a tutti i costi e preghiamo il Signore per averlo, siamo certi che quel qualcosa sia un bene per noi; siamo così sicuri che non ci riesce di percepire la volontà di Dio che magari, al di sopra del nostro desiderio, conosce meglio di noi ciò che per noi è bene o male e vorrebbe farcelo capire. Ad esempio pensiamo alle “passioni d’amore”. Questi innamoramenti passionali sono potentissimi e possono stravolgere l’obiettività del nostro ragionamento, ma seguirli potrebbe non essere un bene per noi. Può darsi che il Signore ci parli per farcelo capire, magari servendosi di amici o genitori o altro; ma non c’è niente da fare, da quell’orecchio proprio non ci vogliamo sentire. Nel vedere allora che la ns preghiera non si realizza o che le cose non vanno come vorremmo ce la prendiamo con Dio perché “non ci ha ascoltato”. Ho avuto modo di constatare anche fatti molto gravi in cui qualcuno è talmente legato ad una persona (coniuge o figli), che può perfino lasciarsi morire pur di non accettare che quelle persone si comportino come lui vorrebbe. In questo caso può trattarsi di una caparbia e triste condizione egoistica di una persona che non vuole cedere, costi quello che costi.

 

Il silenzio del Signore per correggerci e farci crescere – Può capitare che davvero il Signore stia in silenzio. Questo vuoto sconcertante potrebbe essere il mezzo per farci riflettere meglio sul da farsi. Il cristiano (il cristiano vero non è mai troppo ribelle) in qs momenti non facili deve ricorrere alla fede sulla base di quanto ha appreso finora: un riprova in se stesso per capire se la strada che percorre è “buona” oppure non lo è. Si tratta di cercare l’attestazione della propria coscienza illuminata dalla grazia. Quando questa attestazione o conferma non si sente più, compare una inquietudine ed una “mancanza di appoggio”. Questa “assenza di Dio” ci fa fermare un momento e ci fa interrogare il cuore e l’anima. Spesso allora ci accorgiamo che questa fermata non è una vera assenza del nostro Signore, ma un momentaneo isolamento per parlarci meglio. E’ come il maestro di scuola che dice delle parole ad un bambino una dopo l’altra, poi ogni tanto sospende l’ultima parola… la lascia in sospeso… accenna l’inizio…  e aspetta che il bambino completi la parola giusta. Così a volte fa il Signore con noi. Non si tratta di assenza di Dio ma solo di un attimo di attesa affinché noi proviamo a trovare da soli il prossimo passo da fare.

 

Tuttavia può capitare un’assenza più duratura del Signore.  Parlavo giorni fa con un mio caro fratello che ha conosciuto periodi molto difficili. Essendo questi anche un notevole studioso e profondo uomo di fede, mi diceva di certi episodi biblici applicati alla nostra vita, tra cui quello della separazione di Gesù dai suoi discepoli:

…è utile per voi che io me ne vada; perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Consolatore; ma se me ne vado, io ve lo manderò.  (Giovanni 16:7)

 

Mentre il mio amico ne parlava si commuoveva per il turbamento che provava nel comprendere i sentimenti di Gesù e degli apostoli in quei momenti: per loro Gesù era tutto, dipendevano da Lui, lo avevano seguito sempre e dovunque; ora Lui stava dicendo che se ne sarebbe andato…  e anche per il loro bene..  aveva accennato a una croce… ora parlava di un Consolatore…  parole confuse nella loro mente. Quello che capivano era solo che Gesù non sarebbe stato più con loro e questo li faceva sentire tristi e smarriti.

Se uno legge tutto il capitolo 16 di Giovanni percepisce la tenerezza il dolore l’amore che si poteva respirare in quel momento.

 

Anche noi alle volte proviamo qualcosa di analogo. Dobbiamo poter passare da uno stato di dipendenza passiva senza molti pensieri ad un altro di maggiore responsabilità. Da figli accuditi e protetti dobbiamo diventare persone mature, in grado di camminare anche da soli, di amare proteggere ed avere cura a nostra volta di altri più deboli di noi.

 

Ogni fase di crescita umana al momento non è mai piacevole, però dopo darà i suoi frutti. Il Signore non ci abbandona mai in realtà, ma cambia il Suo modo di starci vicino. La Sua presenza diventa più intimizzata, più spirituale, più ampia…  Gesù  quando era con i discepoli era “limitato” da un corpo fisico che poteva parlare agire ed operare in una sola regione, ma la  presenza dello Spirito Santo è in grado di arrivare a chiunque in qualsiasi parte del mondo.  E’ come averLo sempre dentro al cuore dovunque siamo, dovunque andiamo.

 

C’è una distinzione utile che possiamo capire: una cosa è la solitudine ed una cosa è l’abbandono.[1] La solitudine, più o meno momentanea, può essere necessaria come passaggio affinché venga assimilato qualcosa che non avevamo capito. L’abbandono invece è l’assenza improvvisa subìta da chi non ha avuto tempo o possibilità di interiorizzare.

 

Nel caso degli apostoli fu un passaggio. Gesù era stato con loro alcuni anni e li aveva preparati a tutto. Anche se in quel momento non avevano capito appieno i Suoi insegnamenti, dopo un breve tempo di vuoto, con l’arrivo dello Spirito Santo alla Pentecoste, avrebbero assimilato e compreso ogni parola sentita.

 

E allora parlando della nostra vita più in generale, ci possono essere dei momenti più duri di altri, in cui ci sentiamo senza più appoggi senza più comprensione né amore; ed è vero, è amaro da mandare giù. Tuttavia questo ci permetterà di maturare.

Certo a nessuno fa piacere crescere a questo modo, con dei cambiamenti  che possono causare sofferenza. Non ci pare giusto e sarebbe molto più comodo restare nella nostra cuccia e lasciare che altri pensino a noi. Ed in effetti sempre più persone fanno così oggi perché in fondo il  matrimonio, le responsabilità, la vita e il futuro mettono paura.

 

Tuttavia questa è la nostra  vita terrena dopo l’allontanamento dall’Eden. All’inizio non era così: L’uomo non era stato creato per la solitudine e l’abbandono, infatti disse:  “Non è bene che l'uomo sia solo” (Gen 2:18).  Sofferenze e tribolazioni sono allora la conseguenza del peccato originale (Gen. 3:16-18), quando l’uomo preferì fidarsi di una creatura al posto di Dio e cercò l’autonomia.

Allora la nostra vita attuale sulla terra, pure se può ancora ricevere la grazia e l’eternità per i meriti di Cristo, scorrerà comunque con qualche inevitabile conflitto.

 

Eppure in tutto questo non dimentichiamoci che il Signore non è lontano e non ci lascia veramente soli, come egli stesso disse: “Vi ho detto queste cose, affinché abbiate pace in me. Nel mondo avrete tribolazione; ma fatevi coraggio, io ho vinto il mondo” (Giov 16:33)

 

Inoltre a differenza dei discepoli di quel tempo, noi abbiamo un motivo in più per rallegrarci: sappiamo infatti che il Suo ritorno è vicino. Coraggio!

 

 

 

 

 

 


 


[1] Il concetto è stato espresso dallo psichiatra Vittorino Andreoli nel programma televisivo di RAI3 “Quante storie”

 

 

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