Bollettino libero cristiano evangelico  della "Piccola Iniziativa Cristiana" a cui tutti possono partecipare utile per la riflessione e lo studio biblico

 

LA CONVERSIONE: UN MISTERIOSO MUTAMENTO INTERIORE AD OPERA DI DIO SOLO – la parabola del figliol prodigo - Il nostro servire deve inserirsi umile senza protagonismi -

 "Evangelizzare in internet 2 livello n.4" - di Renzo Ronca 20-9-09

 

[imm: figliol prodigo Rembrandt]

 

 

 

 

Parliamo oggi della famosa parabola del “figlio prodigo” in Luca 15:11-32. Prendetela e tenetela davanti mentre parliamo così potrete seguire i riferimenti.

Non è difficile intravedere nel padre del racconto lo stesso Padre celeste. Soffermiamoci per ora solo sul comportamento di uno dei due figli, quello che si allontana. Questi decide e chiede al Padre “quanto gli spetta” (v.2).

La decisione spavalda e un poco strafottente di questo giovane assomiglia molto a certe frasi dei nostri figli: “…anche se non sei d’accordo io sono grande abbastanza per decidere il mio futuro, la vita è mia e me la voglio gestire come mi pare.”

Non so se veramente a quel giovane spettasse qualcosa “di diritto”, perché nella concezione giudaica la volontà del padre è sempre determinante; quindi suppongo che il padre avrebbe potuto benissimo dirgli: “se vuoi andartene vai pure, ma siccome agisci contro la mia volontà non ti spetta proprio niente”. Tuttavia questo padre non parla, non lo maledice, non risponde nemmeno. La benedizione (e la maledizione) di un padre era tenuta in gran conto a quel tempo ed il giovane rischia parecchio nella sua incosciente ribellione. Il padre non glielo impedisce, ma divide i suoi beni e lo lascia andare. Immagino il suo cuore affranto.

Pensiamo ai beni ricevuti non solo come beni materiali, ma anche beni caratteriali, talenti, doni dello Spirito di Dio.

Il giovane partì per un paese lontano, e vi sperperò i suoi beni, vivendo dissolutamente.” (v.13) Vivere lontano da Dio non è mai guadagno ma solo perdita. I talenti di Dio, con Dio, più li spendi e più si moltiplicano,[1] ma i talenti spesi autonomamente non si ricaricano, finiscono in breve tempo lasciandoti vuoto ed inutile. Infatti: “Quando ebbe speso tutto, in quel paese venne una gran carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno”(v14)  Sta iniziando la salutare crisi esistenziale del giovane. Ha “speso tutto” di sé, ogni sua risorsa. Si rende conto di avere bisogno di qualcuno, ma è ancora troppo orgoglioso per tornare indietro “Allora si mise con uno degli abitanti di quel paese..” Unirsi ad estranei non è una buona idea, eppure lo facciamo continuamente dividendo filosofie ed apparenti guadagni su percorsi non consigliati dal Signore. L’accordo con quella persona estranea consisteva nel “pascolare maiali”, gli animali più impuri per i giudei. Il simbolo è anche da intendersi in attività sporche, degradanti. Il giovane era così “affamato” che “avrebbe voluto sfamarsi con i baccelli che i maiali mangiavano, ma nessuno gliene dava” (v16). Il giovane tocca proprio il fondo: mangiare almeno quello che mangiavano i maiali… ma nemmeno questo poteva fare. La sua è una fame insaziabile di Dio che non vuole o non può confessare. Potremmo dire che è proprio messo alle strette, non ha più vie di fuga: o diventa peggio dei maiali o si arrende e ammette il suo errore. “Allora, rientrato in sé, disse: "Quanti servi di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame!” (v17) Bene, meglio tardi che mai potremmo dire! E’ splendido quel “rientrato in sé”. Se è “rientrato” vuol dire che era anche “uscito da sé”.  Riflettiamo bene perché questo è il punto cruciale della crisi esistenziale del giovane e la maturazione della sua decisione. Vi è stato un allontanamento non solo dal padre ma anche da se stesso. La via autonoma di gestirsi da soli con le proprie forze, i propri ragionamenti di guadagno, senza Dio, non porta a nulla se non alla depravazione bestiale. Pensate all’imbarbarimento dell’uomo ai nostri tempi. L’uomo moderno è dentro il mondo, ma “fuori di sé”, perché non vive anima e corpo nel motivo per cui è stato creato. Ecco che il giovane della parabola “ritornando in sé”, “prendendo coscienza”, valuta realisticamente come vive e dove vive e prende una decisione: “Io mi alzerò e andrò da mio padre, e gli dirò: padre, ho peccato contro il cielo e contro di te: non sono più degno di essere chiamato tuo figlio; trattami come uno dei tuoi servi".(v18-19). Ecco l’opera dello Spirito Santo, che per amore di quell’anima la porta a vedere la verità e lo convince di peccato.[2] Il giovane si rende conto, si pente, decide di tornare dal basso, con umiltà: “meglio tra gli ultimi in casa di mio padre che qui fuori”. E’ molto bella e profonda la frase: “ho peccato contro il cielo e contro di te”. Al giovane viene aperta la mente per poter comprende significati superiori: egli non solo ha peccato contro il padre, ma anche contro il cielo. Se lo Spirito di Dio ci convince di peccato lo fa in maniera profonda: ci fa riconosce che non è una semplice trasgressione di una regola, ma il perdere anche ad il Padre celeste, il rinnegare il regno di Dio, una casa nel cielo. Capito questo il giovane non si sofferma nel senso di colpa (che sarebbe sempre un restare lontano dal padre) ma agisce subito, costi quello che costi: “Egli dunque si alzò e tornò da suo padre..” (v20). E’ veramente edificante questo stacco tra la decisione mentale e l’immediata messa in pratica. Il carattere del giovane non viene modificato, è sempre lui: come era deciso prima ad andarsene è fortemente deciso adesso a tornare; ma mentre prima aveva agito senza riflettere e la sua volontà era solo impulso immaturo, adesso agisce con grande consapevolezza e la sua volontà è diventata coraggio di assumersi le proprie responsabilità.

Il padre lo accoglie felice senza fargli pesare nulla (v20); lui a questo punto avrebbe potuto anche non adire più niente, era stato riaccolto, poteva anche non umiliarsi oltre. Invece gli dice ESATTAMENTE quanto aveva stabilito di dirgli "Padre, ho peccato contro il cielo e contro di te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio" (v21). Egli va fino in fondo, non cerca più guadagni personali, nemmeno di schivare parte della eventuale punizione. Quando uno è veramente convinto del proprio errore è così che si comporta: non cerca più scuse, è responsabile delle proprie azioni sbagliate e sente il peso della sua colpa che forse in certi casi potrebbe anche schiacciarlo. ATTENZIONE ADESSO!

Avrete notato che per tutto questo periodo i servitori del padre non si sono né visti né sentiti. Solo adesso il padre li chiama: Ma il padre disse ai suoi servi: -Presto, portate qui la veste più bella, e rivestitelo, mettetegli un anello al dito e dei calzari ai piedi; portate fuori il vitello ingrassato, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita; era perduto, ed è stato ritrovato-. E si misero a fare gran festa” (v22-24)

Noi siamo quei servitori!

Il nostro compito non è accusare chi pecca (nemmeno il padre lo fece) o scegliere un momento per provocare profonde crisi a chi ha fatto scelte sbagliate, ma intervenire solo quando il Padre celeste ce lo chiede e solo per “rivestire” il figlio già perdonato da Dio. TUTTA la delicatissima opera interiore di conversione è svolta da Dio, che sa dosare con sapienza ed amore, educazione, rimprovero, calore, consolazione. Non siamo noi a convertire, giudicare o perdonare! Quante volte lo dimentichiamo e ci assumiamo ruoli che non ci competono!

E’ facile per un cristiano mettere alle strette il peccatore e dirgli a “brutto muso” quello che sta combinando, ma se non è il momento giusto scelto da Dio, può fare degli errori irreversibili: o provoca una alzata di scudi e non viene ascoltato, rallentando ed evitando la possibile conversione,  oppure provoca prima del tempo un senso di colpa pericolosissimo, che se non è subito rafforzato dal Consolatore, dallo Spirito Santo, rischia di diventare desiderio di morte; infatti rendersi conto freddamente del male commesso “verso il cielo e verso il Padre” è terrificante per l’anima nostra, se non è protetta.

Molti servitori di Dio agiscono in buona fede, ma non sono sempre in ascolto dello Spirito Santo che rivela la voce ed il comando del Padre “..Presto, portate qui la veste più bella, e rivesti telo..”  

Molti cristiani sono malati a loro volta di protagonismo, di superba autonomia, di saccenza; chiamano tutto questo “sacro zelo, giustizia, fedeltà” e fanno più del male che del bene. Io lo so perché penso qualche volta di essere stato tra questi e prego Dio di vigilare attentamente sul mio servire, che sia umile ed appropriato.

Che lo Spirito di Dio vigili su tutti noi, cari fratelli, per correggerci e non farci fare né troppo, né troppo poco.

 

Correlazioni:

LIBERTA’ E SENSO DI APPARTENENZA - Un riferimento alla parabola del figliol prodigo in Luca 15:11-32 - Di Renzo Ronca – 5-3-13 - (Livello 5 su 5)

 

 

 

 

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[1] Matt 25:14-30

[2] Giov 16:8-9 “Quando sarà venuto, convincerà il mondo quanto al peccato, alla giustizia e al giudizio. Quanto al peccato, perché non credono in me”

 

 

 

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