"E quando sarò andato e vi avrò preparato il posto, ritornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io siate anche voi” (Giov. 14:3)

 

 

  “Abbiate in voi un medesimo sentimento” - ROMANI 12:16a (di Angelo Galliani)

RIFLESSIONI DETTAGLIATE SULLE ESORTAZIONI DELL’APOSTOLO PAOLO IN ROMANI 12:9-21 . N.3

18-2-15-

 

 

 

 

Premessa.

 E’ bello ed utile riflettere sulle epistole di Paolo: bello perché contengono straordinarie verità, ed utile perché si rivelano adatte anche alla condizione delle chiese di oggi. Non c’è da stupirsene, in quanto l’essere umano, a parte una sottile “scorza” culturale, nella sua essenza è sempre lo stesso; quindi, in diverse epoche si ripetono i medesimi problemi di rapporto e di convivenza. Anche le comunità cristiane, pur essendo chiamate a riflettere in loro stesse i valori del Regno di Dio, molto spesso (per non dire “sempre”) presentano tensioni e rivalità che non possono certo costituire una buona testimonianza nei confronti del mondo “esterno”. Metto la parola “esterno” fra virgolette perché le tensioni e le rivalità di cui sopra stanno ad indicare come parte della comunità sia in realtà costituita da elementi “esterni” ma ritenuti ed accolti invece come “interni”. In ciò si ripete drammaticamente la situazione descritta nella famosa parabola del grano e della zizzania: il Male si manifesta anche dove, in teoria, non dovrebbe attecchire!... Ecco allora che la parola apostolica si manifesta in tutta la sua utilità: non potendo “sradicare” il Male presente, né potendo mettere alcun tipo di “filtro” agli ingressi delle comunità, Paolo si prodiga in primo luogo con l’esempio personale, e poi anche con mille diverse esortazioni, il cui scopo evidente è quello di risvegliare certe coscienze affinché finalmente si sintonizzino sulla giusta lunghezza d’onda: l’amore di Dio.

 

Venendo ora al commento del passo scelto, passiamolo in rassegna parola per parola. Poi vedremo di fare alcune considerazioni finali.

 

“Abbiate” .

In senso grammaticale, questo è un imperativo. L’apostolo non dice: “Sarebbe bene avere”, oppure: “Dovreste cercare di avere” (che pure suonerebbero bene alle nostre orecchie). No: dice proprio “Abbiate”! Si tratta di un comando indiscutibile, che aspetta un’immediata risposta.  Dunque l’apostolo fa chiaramente intendere che non si tratta di un argomento secondario; non sono in ballo scelte facoltative che possano tranquillamente essere rimandate all’infinito: si tratta invece di un tema centrale, dal quale dipende direttamente l’essere chiesa, ossia parte del popolo di Dio convocato dalla Parola e trasformato dallo Spirito.

 

“In voi”.

Qui in realtà abbiamo due parole, ma sono talmente correlate da meritare un’unica trattazione. La genericità di questo “voi” sottintende un “tutti” non espresso: uomini e donne, grandi e piccoli, di qualunque condizione sociale, o ceto, o provenienza … Vi è quindi sottintesa l’unità comunitaria, che si instaura proprio a prescindere dal sesso, dall’età, o da qualsiasi altro criterio più o meno discriminatorio.  E’ il “Siate una cosa sola” pronunciato da Gesù, e che necessita di un’incarnazione reale. Per quanto riguarda la parola “in”, inoltre, c’è da dire che il comando apostolico ha a che fare direttamente con la coscienza di ciascuno: non è una questione di liturgia, o di prassi, o di dottrina … Paolo qui fa riferimento ad una realtà che ogni membro della comunità deve avere in se stesso; anzi, ancora meglio: ad una realtà che diventa parte essenziale della loro vita, e del loro modo di essere e pensare.

 

“Un medesimo”.

Qui il commento è facile, anzi forse addirittura inutile. L’unità della chiesa, e di quel Gesù Cristo grazie al quale è sorta, deve manifestarsi in forma concreta. La nuova realtà del Regno di Dio deve produrre una comunità umana che non sia più lacerata dagli egoismi e dalle divergenze di desideri e di intenti che questi producono. D’altra parte, come Gesù stesso disse in altra occasione, “Un regno diviso contro se stesso non può durare”. Quindi, visto che la chiamata che Dio rivolge alla chiesa intende costruire realtà stabili, non sono tollerabili lacerazioni nel loro tessuto umano. Ogni lacerazione è un sintomo negativo, che denuncia delle infedeltà di fondo di almeno una delle parti, se non di entrambe.

 

“Sentimento”.

Se prendessimo il solo versetto esaminato, non potremmo capire nulla; infatti la parola “sentimento” è troppo generica per illustrare un concetto qualsiasi che sia utile a chi legge. Per fortuna (si fa per dire, naturalmente) la Bibbia è abbastanza ricca da chiarire ogni dubbio al riguardo; in particolare, il pensiero di Paolo si trova bene espresso in altri contesti, come ad esempio nei seguenti brani:

 

Rom. 15:5 -7 : “Il Dio della pazienza e della consolazione vi conceda di aver tra di voi un medesimo sentimento secondo Cristo Gesù, affinché di un solo animo e d’una stessa bocca glorifichiate Dio, il Padre del nostro Signore Gesù Cristo. Perciò accoglietevi gli uni gli altri, come anche Cristo vi ha accolti per la gloria di Dio.”

 

2 Cor. 13:11 b: “Abbiate un medesimo sentimento, vivete in pace”.

 

Filip. 2:2 : “Rendete perfetta la mia gioia, avendo un medesimo pensare, un medesimo amore, essendo di un animo solo e di un unico sentimento”.

 

Filip. 2:5 , 7 e 8 : “Abbiate in voi lo stesso sentimento che è stato anche in Cristo Gesù, il quale (…) spogliò se stesso, prendendo forma di servo (…) facendosi ubbidiente fino alla morte”.

 

Filip. 3:7-15 a : “Ma ciò che per me era un guadagno, l’ho considerato come un danno, a causa di Cristo. Anzi, a dire il vero, ritengo che ogni cosa sia un danno di fronte all’eccellenza della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho rinunciato a tutto; io considero queste cose come tanta spazzatura al fine di guadagnare Cristo e di essere trovato in Lui non con una giustizia mia, derivante dalla legge, ma con quella che si ha mediante la fede in Cristo: la giustizia che viene da Dio, basata sulla fede. Tutto questo allo scopo di conoscere Cristo, la potenza della sua resurrezione, la comunione delle sue sofferenze, divenendo conforme a Lui nella sua morte, per giungere in qualche modo alla resurrezione dei morti. Non che io abbia già ottenuto tutto questo o sia già arrivato alla perfezione; ma proseguo il cammino per cercare di afferrare ciò per cui sono anche stato afferrato da Cristo Gesù. Fratelli, io non ritengo di averlo già afferrato; ma una cosa faccio. Dimenticando le cose che stanno dietro e protendendomi verso quelle che stanno davanti, corro verso la meta per ottenere il premio della celeste vocazione di Dio in Cristo Gesù. Sia questo dunque il sentimento di quanti siamo maturi”.

 

Sono insegnamenti, questi, davvero straordinari; anche perché non solo enunciati teoricamente, ma convalidati dalla condotta di vita coerente dell’apostolo. Si capisce dunque qual sia il “sentimento” a cui si riferisce Paolo nel versetto in esame: la vita stessa di Cristo che continua nei suoi discepoli, con l’accoglienza, la misericordia e il servizio disinteressato che la caratterizzano. Tale servizio può assumere a volte il peso e l’aspetto di una “croce”, perché non sempre viene riconosciuto come tale da chi dovrebbe beneficiarne (e ancora si trova alle prese con la propria coscienza offuscata). Ma l’amore e la grazia di Dio sono in grado di essere fonte inesauribile di energie e motivazioni, al punto da sospingere il discepolo di Gesù a svolgere i più svariati compiti di sostegno, comprensione, perdono, conciliazione, anche laddove non si scorgano concrete prospettive di successo. Il “sentimento” considerato da Paolo, dunque, è diretta conseguenza di un reale radicamento in Cristo; esso agisce come un cemento che tiene insieme la chiesa, e non le consente di disgregarsi come un castello di sabbia investito dalle onde delle fragilità e delle imperfezioni umane.

 

Conclusione.

Dopo circa due millenni di Storia, c’è da dire purtroppo che il cristianesimo (parlo di quello “ufficiale”, perché quello vero è un’altra cosa) non ha sempre dato nel mondo una bella immagine di sé: dogmatismo e arroganza, scismi e scomuniche, guerre di conquista e genocidi, roghi e torture, connivenze col potere politico ed economico … Ce ne sarebbe abbastanza per sollevare molte obiezioni e perplessità, come fece il grande filosofo inglese Bertrand Russell nel suo famoso libro “Perché non sono cristiano”. Ma, come i più attenti di noi già sanno, non dobbiamo confondere la vera fede con quella che viene spacciata come tale. Infatti, in certe pieghe della società, in certe realtà comunitarie “di minoranza” (o anche in singoli individui) si possono ancora oggi trovare tracce di quella stessa fede che fu di Paolo, di Pietro, di Giovanni, e delle chiese per le quali essi svolgevano il loro servizio. Comunque, anche per tali realtà minoritarie, valgono le parole che abbiamo letto: siate animati dallo stesso spirito di amorevole servizio che fu di Gesù. Non basta certo essere un’oasi nel deserto, per offrire ristoro alla sete della gente: occorre pure che l’acqua non sia avvelenata! Infatti, anche nelle piccole comunità possono nascondersi brutte sorprese, come ad esempio individui che si servono degli altri anziché servirli, e che sfruttano la parola di Dio per i loro interessi. Che Dio ci illumini tutti, affinché possiamo avere una coscienza trasparente e una condotta integra davanti a Lui. Questo solo conta.

 

 

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