Bollettino libero cristiano evangelico  della "Piccola Iniziativa Cristiana" a cui tutti possono partecipare utile per la riflessione e lo studio biblico

 

Gesù e Nicodemo: “Quello che è nato dalla carne è carne; e quello che è nato dallo Spirito è spirito. Non ti meravigliare se ti ho detto: ‘Bisogna che nasciate di nuovo ”  (Giovanni 3:6-7)

di Angelo Galliani - Dall'incontro a Vetralla del 31 ottobre 2002 - 28-1-15- h.16,15 - (Livello 3 su 5)

Avvicinandoci a questo famoso brano della Scrittura, ci troviamo di fronte ad un’affermazione categorica, radicale, che non lascia spazio ad alcun compromesso o adattamento. Vi è espressa una verità con cui ogni credente è chiamato a confrontarsi. Inoltre, il fatto che Gesù rivolga questa frase ad un fariseo è un particolare importante per capirne davvero il senso.

 

Nicodemo, infatti, da quel poco che ne sappiamo, è un uomo pio. Egli crede veramente nell’Iddio d’Israele, e s’adopera con scrupoloso impegno a metterne in pratica i comandamenti. Egli, come in genere pensavano i farisei del suo tempo, forse ritiene che uno sviscerato attaccamento alla legge mosaica possa costituire uno “stimolo” per il Signore stesso, un accorato appello presso di Lui affinché si decida a soccorrere il suo popolo per liberarlo dagli invasori ed instaurare così il Suo regno messianico…

In quest’ottica farisaica, dunque, il regno di Dio sarebbe da intendersi politicamente, la salvezza significherebbe libertà dall’oppressore pagano, e l’origine di tutto questo processo di redenzione affonderebbe le sue radici nella fedeltà dell’uomo ai precetti del Signore…

Però la contrapposizione fra “carne” e “spirito”, espressa da Gesù nel passo in questione, annuncia senza mezzi termini una cruda realtà: tutti gli sforzi umani rimangono relegati nella sfera dell’umano, e quindi non possono avere conseguenze d’ordine spirituale!…

 

Per meglio chiarire il concetto è bene aggiungere che la contrapposizione tra “spirito” e “carne” non è uguale a quella fra bene e male, o fra luce ed ombra. Infatti, se le azioni buone e cattive possono trovare la loro comune origine in uno stesso individuo, e se la luce e l’ombra rientrano entrambe nel mondo del visibile, lo “spirito” e la “carne” appartengono a mondi diversi, anche se intimamente connessi. In linguaggio moderno potremmo definirle come due diverse “sfere di competenza” che, pur essendo contemporaneamente in rapporto con l’essere umano, rimangono in ogni momento ben distinte fra loro.

 

Il soggetto che determina gli eventi nella sfera della “carne” è l’uomo stesso, con tutte le sue varie caratteristiche di creatura terrena. Rientrano in questo àmbito “carnale”, dunque, non solo le cosiddette “azioni di peccato”, poste sotto accusa da qualsiasi legge religiosa e, perciò, a tutti ben note. Rientrano in questo àmbito anche la volontà dell’uomo, i suoi ideali, i suoi sforzi, i suoi sacrifici, la sua vita sociale e religiosa… Tutto quello che “nasce” (cioè che è prodotto) dalla “carne”, rimane “carne”, cioè non esce dalla sua specifica sfera di competenza terrena.

 

Certo, gli sforzi umani possono produrre una vasta gamma di importanti risultati: una condotta personale più disciplinata, un rapporto più costruttivo col nostro prossimo, delle leggi più equilibrate, una società più efficiente, una tecnologia più avanzata, condizioni di vita migliori… Però tutti gli sforzi umani non possono cambiare l’uomo, e l’uomo non può essere il salvatore di se stesso!, checché ne dicano certe filosofie antiche e moderne.

Nicodemo, da buon fariseo, ha davvero bisogno che qualcuno lo avverta circa questa fondamentale verità. E Gesù lo fa con ferma decisione; Egli pone il suo interlocutore di fronte alla grande, netta, assoluta differenza che c’è fra “religiosità” e “santità”. La condotta religiosa, infatti, viene dall’uomo, ed è quindi “carne”, nient’altro che “carne”! La santità, invece, viene da Dio: Egli pone il sigillo del Suo Spirito su di noi, ci “compra”, diventiamo Sua “proprietà personale”, e ci dispensa continuamente una guida che non è più al di fuori di noi, scritta in precetti o frutto di pratiche religiose, ma è la Sua presenza viva in noi! Anzi, questa benedetta Presenza ci trasforma intimamente, al punto tale da renderci sempre più difficile distinguere la Sua volontà dalla nostra. L’apostolo Paolo, con un’efficace sintesi, ebbe a dichiarare: “Non sono più io che vivo, ma è Cristo che vive in me” (Galati 2:20 a).

 

Il discorso di Gesù a Nicodemo, però, nasconde una tremenda difficoltà, un difficile ostacolo che ogni vero credente è chiamato, con l’aiuto di Dio, ad affrontare e superare. Se tante debolezze ed errori sono purtroppo ben manifesti nella nostra vita, al punto da far sorgere in noi vergogna, imbarazzo e senso di colpa, è piuttosto “facile” prendere le distanze da una parte di noi così fallimentare. E’ piuttosto “facile” invocare l’aiuto di Dio per tali cose, affinché Egli ci guidi ad essere persone migliori, che abbiano una condotta più consona alla Sua volontà di Bene. E’ invece assai difficile prendere le distanze da quella parte di noi che ci soddisfa, che costituisce per noi un punto di forza, un “fiore all’occhiello” davanti a Dio e davanti al prossimo!… In altri termini, tentando uno sforzo di sintesi, potremmo dire che se può essere problematico liberarsi da un vizio, è invece umanamente impossibile liberarsi da una “virtù”!… L’orgoglio umano ci fa attaccare con tutte le forze a ciò che può costituire, in qualunque modo, un nostro possibile vanto!…

 

Ecco allora che il discorso di Gesù a Nicodemo è intrinsecamente e strettamente collegato ad una “croce” e ad un “morire”. E’ solo morendo a noi stessi che si può rinascere! Questo è il piano di Dio, e non solo riguardo all’opera del suo Figliolo Gesù Cristo (come annunciato nello stesso contesto, in Giov. 3:14-18), ma anche riguardo ad ogni suo vero discepolo. Guardando a Cristo e alla sua Croce, ogni credente deve, analogamente a Lui, rinunciare a tutto se stesso, ivi compresi i propri “meriti”, le proprie “ragioni”, le proprie “virtù”, tutte le azioni o i pensieri, insomma, di cui possa in qualunque modo vantarsi (Filippesi 3:8).

Nel regno di Dio, infatti, dove governa sovrana la Sua grazia, non c’è alcuno spazio per tali cose. Ogni “cosa buona” da noi prodotta si riduce in pratica ad una più o meno evidente negazione della grazia di Dio, ad un insulto alla Sua misericordia, ad un implicito disprezzo nei confronti del Suo Figlio morto e risorto!… Ogni “cosa buona” a cui rimaniamo ostinatamente attaccati, ci fa anche restare fuori dalla gloriosa festa in corso nel regno di Dio, proprio come accadde al fratello maggiore della ben nota parabola (Luca 15:11-32).

 

Per concludere, una puntualizzazione. Quanto detto finora non deve indurci a pensare che esista un’irriducibile conflittualità fra “carne” e “spirito”, una inconciliabilità di fondo fra le due diverse “sfere di competenza”. Al contrario, il grande miracolo dell’Incarnazione, la Parola di Dio “fatta carne”, come annuncia lo stesso Giovanni proprio all’inizio del suo vangelo, sta lì a dimostrarci che nella Nuova Creazione, inaugurata con Cristo, la “carne” e lo “spirito” sono riconciliati, costituendo entrambi le basi per una vita terrena E santa, umana E divina al tempo stesso. Si tratta di una vita nuova che viene da Dio, in cui la “carne” collabora volentieri con lo Spirito Santo, rendendone viva e tangibile testimonianza (Galati 2:20 b-21).

 

 

 

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