Bollettino libero cristiano evangelico  dell'Associazione ONLUS  "Piccola Iniziativa Cristiana" a cui tutti possono partecipare utile per la riflessione e lo studio biblico

 

CONSACRARE IL CORPO

Di Renzo Ronca – 4-10-10

 

“Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio; questo è il vostro culto spirituale”. (Rom 12:1)

 

 

 

 

 

Nel significato di questa parola "consacrarsi", la radice latina è sempre “sacer”, “sacro” che abbiamo già trovato a proposito della parola “sacerdote”; ma mentre  in “sacerdote” la sacralità era data per volontà di Dio all’uomo, in questo caso possiamo dire che è una intenzione di santità che parte dall’uomo verso Dio; un volergli dedicare se stesso in maniera completa.

Generalmente il desiderio di consacrazione è la risposta dell’uomo al tocco di Dio.

 

Evitiamo gli errori comuni:molte chiese usano gli stessi termini cristiani, ma spesso i significati tra loro sono molto diversi. Ad esempio in Italia la Chiesa cattolica ha sempre usato i termini “santo” e “consacrato” in modo differente dal nostro: è bene ricordare che “santo” non è uno speciale super-cristiano che anche dopo morto va pregato, ma “santo” è l’attributo di ogni credente, come si può facilmente vedere nel Nuovo testamento dall’uso del termine. Per la parola “consacrato” vale lo stesso discorso: non è una persona speciale che ha fatto dei voti speciali come quello di non sposarsi, di ubbidienza ad una gerarchia, che riveste una tonaca particolare, che magari vive ritirato su un eremo di montagna, assolutamente no! La persona consacrata vive una vita come tutti gli altri (gli apostoli erano quasi tutti sposati), solo che è una vita secondo gli insegnamenti del Signore, priva del peccato e delle abitudini confuse di un mondo sempre più lontano da Dio. La consacrazione come una vita offerta a Dio dedicata, impegnata in tutto verso di Lui e non più tesa al guadagno di se stessi.

 

Offerta di sé:

Ma una offerta di noi stessi, come deve essere presentata a Dio per esserGli gradita?

Pensiamo alle offerte che facevano gli Israeliti: dovevano essere senza difetti, le migliori offerte possibili: il meglio che avevano. Quando ci si offre a Dio non ci si deve risparmiare. Del resto non si risparmiò lo stesso Dio, quando offrì il Suo stesso figliolo sulla croce per noi.

Dunque perché la nostra offerta sia gradita a Dio dobbiamo presentarci offrendo il meglio di noi stessi, di ciò che siamo, totalmente, senza riserve. Dio ha consegnato al mondo il Suo figliolo, senza riserve, noi consegniamo noi stessi senza riserve a Dio.

 

E’ in questa mutua offerta che avviene la comunione spirituale.

“Gesù gli rispose: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola; e il Padre mio l'amerà, e noi verremo da lui e dimoreremo presso di lui”. (Giov 14:23)

 

Tu ami davvero il Signore Gesù?

Non è una domanda banale o inutile, chiediti con calma: “amo davvero Gesù”?

Ci sarebbe molto da dire meditando su questo concetto, ma per ora limitiamoci a quanto abbiamo letto nella frase: “Se uno mi ama, osserverà la mia parola..” Vedete come il ragionamento di Gesù sia semplice e concreto: niente filosofie complicate: “se davvero mi ami, allora metti in pratica quanto io ti ho detto”. Questo “Se…” significa che non tutti quelli che si presentano a Dio sono bene accetti, ma solo quelli che dimostrano coi fatti di osservare gli insegnamenti cristiani. SOLO ALLORA “..il Padre mio l'amerà, e noi verremo da lui e dimoreremo presso di lui”.

Molte persone sono convinte di amare Gesù e di seguire la Sua parola, però non sempre questo corrisponde alla verità.

 

In questa prima parte ci occupiamo principalmente della consacrazione del corpo: Più volte nella Scrittura il nostro corpo è rappresentato come un tempio in cui riposa la presenza di Dio:

 

Non sapete che il vostro corpo è il tempio dello Spirito Santo che è in voi e che avete ricevuto da Dio? Quindi non appartenete a voi stessi. (1Corinzi 6:19)

 

Se noi ci offriamo a Dio completamente facciamo di noi una donazione d’amore. Un po’ come nel matrimonio quando uno “dona” il corpo all’altro: “La moglie non ha potere sul proprio corpo, ma il marito; e nello stesso modo il marito non ha potere sul proprio corpo, ma la moglie”. (1 cor 7:4)

Se dunque vogliamo consacrare il nostro corpo a Dio allora dobbiamo tenerlo “pulito”, “puro” adatto a ricevere il Signore[1].

Facciamo degli esempi pratici: abolire gli abusi nel mangiare, le depravazioni sessuali, le sostanze eccitanti o droghe o alcol, il parlare sciocco o volgare, ogni forma di tatuaggio o piercing, ecc. ogni eccesso o stramberia nelle mode, ecc

Si tratta in sostanza di essere consapevoli che il nostro corpo è stato creato da Dio ed appartiene a Lui e va trattato con rispetto.

Anche nelle forme estreme di disperazione momentanea (diciamolo a chi è caduto nella depressione grave) non ci è concesso trattare male il nostro corpo pensando ad esempio al suicidio, perché il corpo non ci appartiene, ma in un certo senso ci è stato dato “in concessione” e ne dovremo rendere conto.

Anche il “mortificare il corpo” va inteso con saggezza: non è bene farsi del male fisicamente solo per provare una sofferenza da “offrire” poi a Dio. Questa distorta pratica, fatta di cilici[2], frustate, digiuni devastanti, ecc, era molto usata nel medioevo dai penitenti cattolici, ma è un errore profondo, perché il perdono dei peccato o la salvezza non dipendono affatto dalle opere; ed il corpo, se è vero che va disciplinato[3], tuttavia non va affatto odiato, anzi al contrario va curato con attenzione[4].

 

(continua)

 

 

 

 

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[1] 1 Tess 4:3-5  Perché questa è la volontà di Dio: che vi santifichiate, che vi asteniate dalla fornicazione, che ciascuno di voi sappia possedere il proprio corpo in santità e onore, senza abbandonarsi a passioni disordinate come fanno gli stranieri che non conoscono Dio;

[2] La parola cilicio Indica una veste intessuta di peli di capra, ruvida e scomoda, che era in uso ai soldati dell'esercito Romano. Da loro passò agli anacoreti cristiani che erano soliti indossarlo sulla nuda pelle per fare penitenza e mortificare la carne. Restò in uso ai penitenti, ad alcuni pellegrini e come arma di santificazione e purificazione in alcuni ordini o confraternite religiose. Indica, per estensione, una cinghia uncinata o formata da una corda ruvida costellata di nodi, che viene stretta attorno alla vita o alla coscia in modo da provocare un dolore non estremo ma costante. (Wikipedia)

[3] 1Corinzi 9:27 - anzi disciplino il mio corpo e lo riduco in servitù perché, dopo aver predicato agli altri, non sia io stesso riprovato.

[4] Efesini 5:29 - Nessuno infatti ebbe mai in odio la sua carne, ma la nutre e la cura teneramente, come anche il Signore fa con la chiesa,

 

 

 

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