Uomo legge la Bibbia

La domanda del titolo "FINO A CHE PUNTO IL CRISTIANO PUO’ ACCETTARE IL COMPROMESSO NEL MONDO DI OGGI?" vorrebbe far riflettere sui vari aspetti della vita, ad es. la magistratura, la politica, la scuola, la televisione… la scelta dei programmi, quanto usare il telecomando? Momenti di riservatezza o lunghi periodi di ritiro o conventi o addirittura eremitaggio? Esistono dei limiti? I social dove tutti strillano… i travestimenti dove tutti amano essere qualcun altro, il morboso e ipocrita interesse giornalistico per i fatti di cronaca, il ridere delle sconcezze, la “libertà” confusa con la dissacrazione o la blasfemia.. noi tacitamente avalliamo o rifiutiamo, o in fondo non ci resta che lasciarci portare dalla corrente? E cosa determina un limite in queste cose? Il nostro parlare al lavoro con i non credenti quando dicono cose “eccessive”, il nostro applicare i princìpi morali come i "talebani" o come i superficiali... oppure un comportamento ambiguo come il camaleonte che si trasforma in base a dove ci troviamo… E appunto ci si interroga proprio su quanto alla fine si possa accettare questa convivenza col mondo ma anche questa linea di compromesso eventuale poi, per noi è uguale nel tempo o cambia in base alla nostra maturità?   

Le brevi riflessioni di seguito hanno solo scopo di avviare la riflessione. Spetterà poi ad ognuno dei lettori rispondere autonomamente in cuor loro su questo tema ormai sempre più importante per questi tempi difficili.  

Gioia: Io penso che il discorso del compromesso vada vissuto nella misura in cui non va contro i princìpi in cui crediamo. Mi spiego: se scendo a compromessi al punto da rinnegare Dio per convenienza o quieto buon vivere, lì è sbagliato, però allo stesso tempo non è necessario andare in giro con la fascetta da "Rambo" professando e strillando a tutti che sbagliano o sono infedeli. Già il nostro comportamento dovrebbe essere testimonianza di ciò in cui crediamo. Poi sicuramente ci sono delle occasioni in cui, inevitabilmente il compromesso va accettato, però purché non implichi mai né offesa a Dio, né la sua negazione. Il concetto ulteriore poi di tolleranza secondo me implica un sentimento di 'perfezione' e 'giustizia' di cui nessuno ha detto che siamo investiti. Non credo ci sia chiesto di 'tollerare' in virtù del fatto che siamo noi quelli 'giudicanti'. Essere tolleranti è un atteggiamento passivo oltre che giudicante, il compromesso implica un lavoro anche su noi stessi. Un po' come a dire che la tolleranza è a senso unico, il compromesso è a doppio senso tra i due.

C.: Il concetto compromesso è secondo me troppo impegnativo. Io parlerei invece di tolleranza. Il compromesso implica e richiede anche una fedeltà. La tolleranza ha però un limite... Essere tolleranti non perché siamo perfetti ma perché ci dà la possibilità di poterci dissociare in alcuni contesti che non condividiamo...

Giovanni: Io credo che ci sono elementi caratterizzanti la nostra fede che sono imprescindibili e quindi non negoziabili poiché desunti direttamente dalla Parola di Dio e sono fondamento della nostra vita. In questo senso quindi non è possibile parlare di compromesso poiché per definizione questo atteggiamento si può concretizzare solo recedendo, anche parzialmente, dai propri principi in vista dell'ottenimento di un vantaggio pratico. Allo stesso modo è impossibile parlare di tolleranza senza avere correttamente definito cosa debba intendersi con questo termine. Mentre il compromesso per avere luogo richiede la compartecipazione caratterizzata da rinunce da ambo le parti, il concetto di tolleranza si può esprimere sostanzialmente in due diverse maniere: 1) Tolleranza come capacità di resistere a condizioni sfavorevoli o non condivisibili senza esserne coinvolto e quindi non subendone l'influenza; 2) Tolleranza come attitudine a mostrarsi ragionevoli, comprensivi verso idee, credenze religiose, sistemi politici diversi o contrari ai propri che tuttavia possono influenzare i nostri comportamenti.Parlare di perfezione e giustizia nella tolleranza è complesso e pericoloso, io penso che si possa correre il rischio di spostare il punto focale preposto ad esercitare il giudizio. Non dobbiamo essere noi a giudicare ma dobbiamo sottoporre ogni cosa al filtro della Parola di Dio; è Lei che giudica separando ciò che è bene da ciò che è male. Se veramente "abbiamo la mente di Cristo" allora il nostro giudizio discende direttamente dall'applicazione degli insegnamenti che Dio ci ha fornito e quindi i termini compromesso e tolleranza possono assumere valenze estremamente pericolose se l'oggetto del contendere sono i fondamenti trasmessi dalla parola di Dio. Del resto "la macedonia" ecumenica da molti sponsorizzata si fonda proprio sull'uso intensivo di compromesso e tolleranza.

Renzo: Pensavo allo stato “naturale” dell’uomo dopo il peccato originale. L’uomo ha in se stesso due tendenze determinate dalla radice del peccato e dal ricordo di Dio. Tutta la sua vita è alla ricerca di se stesso in un difficile equilibrio che cambia: da una parte la tendenza istintiva carnale che vorrebbe seguire l’andazzo del mondo, dall’altra una attrazione spirituale a ricongiungersi con Dio. La risultante non è fissa nella vita, ma è mobile, e sarà data dalla sua coscienza che, se accoglie l’attrazione dello Spirito Santo, cercherà di assomigliare sempre più al Signore, essendo a Sua immagine e somiglianza. Noi cristiani in questo percorso che durerà tutta la nostra vita terrena, vedremo che il baricentro del nostro essere si sposterà sempre più verso lo spirituale. In Eden forse non esisteva il compromesso essendoci la presenza di Dio che riempiva tutto. Forse è quella la nostra aspettativa. Ma è un percorso che deve tener conto dell’essere ancora carnali, con molti limiti. Probabilmente in ognuno di noi credenti vi sono continui assestamenti finché saremo sulla terra.

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