uomo ricorda quando era bambino

LETTURA 1                       (Marco 9:33-37)

“Vennero a Capernaum; quando fu in casa, domandò loro: DI CHE DISCORREVATE PER STRADA? Essi tacevano, perché per via aveva-no discusso tra di loro su chi fosse il maggiore. Gesù si mise a sedere, chiamò i dodici e disse loro: SE QUALCUNO VUOL ESSERE IL PRIMO, DOVRA’ ESSERE L’ULTIMO DI TUTTI E IL SERVITORE DI TUTTI. E preso un bambino, lo mise in mezzo a loro; poi lo prese in braccio e disse loro: CHIUNQUE RICEVE UNO DI QUESTI FAN-CIULLI NEL NOME MIO, RICEVE ME; E CHIUNQUE RICEVE ME, NON RICEVE ME, MA COLUI CHE MI HA MANDATO”.

LETTURA 2                        (Marco 10:13-16)

“Gli presentavano dei bambini perché li toccasse; ma i discepoli sgrida-vano coloro che glieli presentavano. Gesù, veduto ciò, si indignò e disse loro: LASCIATE CHE I BAMBINI VENGANO DA ME; NON GLIELO VIETATE, PERCHE’ IL REGNO DI DIO E’ PER CHI ASSOMIGLIA A LORO. IN VERITA’ IO VI DICO CHE CHIUNQUE NON AVRA’ RICEVUTO IL REGNO DI DIO COME UN BAMBINO, NON VI ENTRERA’ AFFATTO. E, presili in braccio, li benediceva ponendo le mani su di loro”.

 * * *

 La particolarità di queste letture sta nel fatto che Gesù si adopera nel tentativo di rompere i pregiudizi che ancora animano la mente dei suoi discepoli. Fra questi, come sappiamo, c’era la convinzione che i bambini (ancor più delle donne) fossero esseri umani di ordine inferiore: privi di forza, di conoscenza, di autorità, di diritti, e obbligati ad una passiva obbedienza nei confronti dei “grandi”.

 Certo oggi le cose, almeno qui in Europa, sembrano molto cambiate. Le nostre leggi, ed anche i nostri costumi, tutelano molto di più i bambini rispetto ai tempi in cui Gesù parlava. Ma c’è da ritenere che ancora molto ci sia da fare, anche in ambiente, diciamo così, “religioso”. Infatti, tanto per dirne una, nell’iconografia classica si è spesso rappresentato Gesù: la maggior parte delle volte in croce, spesso nell’atto di far miracoli, o nell’-azione di predicare o benedire, oppure in braccio a Maria… Invece, non mi è mai capitato di vedere raffigurato Gesù con un bambino in braccio, così come descritto nei brani appena letti. Sembrerebbe quasi che questo valore che Gesù attribuisce ai bambini sia ancora oggi capace di “disturbarci” o, quanto meno, di metterci in un sottile imbarazzo.

 Il motivo di un tale imbarazzo nasce probabilmente dal fatto che non ci siamo totalmente liberati dai nostri desideri di primeggiare. La vita viene concepita spesso come una competizione, in cui l’importante sia arrivare (almeno) fra i primi. Allora l’immagine di un bambino, che, come noto, è privo di tutte le nostre armi, tende ad essere messa da parte: come potreb-be attirarci, infatti, l’idea di qualcuno privo di tutte le caratteristiche indi-spensabili per realizzare i nostri progetti di successo?...

 Nella prima lettura, in questo senso, i discepoli di Gesù fanno una vera e propria “figuraccia”. Marco, quasi con un eufemismo, ci dice che essi “discutevano” per strada. Ma le successive parole di Gesù ci fanno inten-dere che, molto probabilmente, i toni della “discussione” erano stati piutto-sto accesi. I discepoli disputavano fra loro per chiarire un punto cruciale, cioè chi fosse “il più importante”. Oggi la Chiesa Cattolica dice di aver risolto la disputa, e insegna che tale primato spetti senza dubbio a Pietro… Però così dimentica quanto affermato da Gesù, e cioè che il “maggiore” (in senso spirituale) sia proprio colui (o colei) che non solo non esercita alcu-na autorità, ma che addirittura si pone volontariamente in una posizione di umile servizio.

 Inoltre, Gesù afferma che Lo si può accogliere (“ricevere”) non attraverso un sacramento (come spesso si dice, sempre in ambiente cattolico, parlan-do dell’eucarestia), bensì semplicemente attraverso un atteggiamento di amore e di accoglienza nei confronti di un bambino!... In altri termini, potremmo forse dire così: l’amore verso la vita, vita che concretamente si manifesta a noi tramite un bambino, ci mette in comunicazione con Colui che è l’artefice primo della vita, anzi, che è la Vita con la V maiuscola. Su questo tema varrebbe la pena di riflettere molto.

A questo proposito potremmo aggiungere, senza timore (purtroppo) di essere smentiti, che la nostra società moderna NON E’ accogliente nei confronti dei bambini. Basti guardare le nostre città, per convincersene: l’ambiente urbano è pericoloso, inquinato, caotico, e troppo spesso privo di spazi adatti al gioco e all’attività all’aria aperta. Certo, abbondano palestre e campi sportivi, scuole di danza o di arti marziali, ma i nostri bambini di fatto non hanno più la libertà che una volta avevano molti di noi: quella di uscire in strada e giocare (gratis!) coi propri compagni.

 Nella seconda lettura, inoltre, Gesù afferma solennemente una verità che forse ancora non abbiamo ben compreso. Parlando dei bambini, Egli dice: “Il regno di Dio è per chi assomiglia a loro”. Molto interessante! Ma è anche una questione cruciale, perché decisiva nello stabilire chi sia da considerarsi, o meno, “dalla parte di Dio”. Tentiamo, dunque, di chiarirci un po’ le idee: “assomigliare ai bambini” in che senso?

 Per prima cosa sfatiamo un luogo comune, secondo il quale i bambini sarebbero “migliori” degli adulti. Il genere umano, infatti, presenta le sue caratteristiche specifiche fin dalla più tenera età. Perciò si nasce già predi-sposti ad una vita egocentrica. Anzi, potremmo dire che il neonato sia il massimo dell’egocentrismo: egli si sente letteralmente il centro del mondo. Per essere più precisi, stando almeno a quanto affermano certi studi di Psicologia Infantile, il neonato non ha una concezione distinta fra sé e il mondo, o le persone circostanti: è un tutt’uno indistinto, in cui dominano inevitabilmente le sue sensazioni ed i suoi istinti.

 E’ solo in seguito che il bambino acquista consapevolezza di sé e degli altri; ed è solo in seguito che egli impara a valutare il senso delle cose, le conseguenze delle sue scelte, e come gli altri possano reagire e tali scelte. Una differenza reale che può esistere fra un bambino e un adulto, quindi, non sta nella sua “essenza”, nella sua “qualità intrinseca”, ma nella sua consapevolezza, e quindi nella sua responsabilità. Detto in breve: un bambino è egoista senza saperlo, e quindi senza averne colpa. In termini legali potremmo forse dire così: “un bambino è innocente non perché non abbia commesso il fatto, ma perché è incapace di intendere e di volere in senso pieno”. Se ci fermassimo qui, però, non avremmo molte possibilità di capire quel che ci dice Gesù in questi brani. Infatti noi non possiamo certo diventare nuovamente“incapaci di intendere e di volere”!...

 Dunque, la risposta si deve cercare altrove. Infatti, c’è un altro aspetto da considerare, molto importante: giacché il bambino vive una condizione di totale dipendenza dai “grandi”, egli ha naturalmente un atteggiamento di assoluta FIDUCIA verso coloro che di solito si occupano di lui (genitori innanzitutto, ma anche fratelli o sorelle maggiori). Infatti, quando un bambino sta in braccio al papà, non gli viene neanche in mente che questi potrebbe lasciarlo cadere; oppure, quando la mamma gli dà da mangiare, non viene certo assalito dal dubbio che nella minestra possa essere pre-sente qualche sostanza velenosa… Insomma: la FIDUCIA nel prossimo è una condizione naturale, ancora ben viva nei bambini, mentre invece la sfiducia e la diffidenza (insieme a molte altre cose…) si imparano con le prime esperienze negative.

 C’è anche un altro aspetto che è bene considerare, e che misura una certa differenza fra i bambini e gli adulti. Nel mondo dei bambini le sensazioni emotive hanno un peso enorme nelle esperienze e nelle decisioni. Tanto per fare un esempio, se un bambino piange o ride è perché ha un preciso motivo per farlo, e non perché stia recitando. Così come un cagnolino scodinzola quando è contento, o guaisce quando sente dolore, analoga-mente un bambino ha reazioni immediate e “genuine” nei confronti di ciò che lo circonda. E non solo: egli è sensibile ai messaggi “emotivi” che gli vengono dal prossimo (toni di voce, sguardi, gesti) molto prima e molto più di quanto lo sia rispetto ai messaggi verbali.

In effetti, in Natura, le parole sono un artificio tutto umano, e i meccanismi della comunicazione, nelle specie animali “superiori” (fra cui possiamo annoverare anche l’uomo) sono legati ad atteggiamenti che non sottostan-no certo alle regole grammaticali. Quindi il bambino ha una specifica sen-sibilità legata al mondo delle emozioni, e perciò riesce a percepire l’amore dietro a un semplice sorriso, come pure la mancanza d’amore anche dietro a montagne di regali. Ecco il dramma vissuto da molti bambini dei nostri tempi: a fronte di una relativa abbondanza di beni (giocattoli, vestitini, passatempi, ecc.) essi possono percepire con chiarezza il vuoto affettivo da cui sono circondati, forse a causa di genitori troppo spesso affaccendati dietro tante altre cose…

 Dunque, per tornare alle parole di Gesù, Egli ci esorta a riscoprire dentro di noi il linguaggio della Natura, l’autenticità delle emozioni e delle loro spontanee espressioni. E ci esorta anche a rigettare il cumulo di razionaliz-zazioni con cui spesso riusciamo a motivare e giustificare le nostre scelte più assurde, scelte che si risolvono in una negazione di noi stessi e di ogni sano rapporto con gli altri. In un mondo che spesso sembra apparirci dal volto ostile, Gesù ci esorta solennemente alla FIDUCIA (verso Dio in pri-ma battuta, ma anche verso il nostro prossimo), perché diversamente ci condanneremmo ad un’ansia cronica e ad un autoisolamento che rovine-rebbero l’intera nostra esistenza.

 Ma, più ancora di tutto questo, Gesù ci esorta a riscoprire in noi stessi la naturale capacità di dare e ricevere amore. Sotto il “callo” delle nostre più o meno dolorose esperienze, infatti, dentro di noi, da qualche parte, sopravvive quel bambino (o quella bambina) che fummo un giorno, che sapeva riconoscere la verità delle cose non attraverso lunghi giri di parole, o tramite rigorose dimostrazioni logiche, ma grazie a quel misterioso “codice” impresso in ciascuno di noi, un “codice” che porta l’impronta stessa di Colui che, la vita, l’ha ideata e realizzata con mano davvero sapiente.

 

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