Accusare il tuo prossimo

Cercare il colpevole è una delle nostre attività preferite. Nei giochi, nelle “cene con delitto”, nei film, nelle discussioni sull’ultimo terribile fatto di cronaca nera, nei ragionamenti sui grandi problemi che affliggono la nostra terra, ma anche in tutte quelle piccole o grandi questioni quotidiane in cui “ci rimaniamo male”. Ci serve qualcuno con cui arrabbiarci, qualcuno da accusare, perché non sappiamo spiegarci il male, non riusciamo a capacitarci del dolore e delle ingiustizie. E allora proviamo almeno a collocare il male fuori di noi. Se l’assassino è il maggiordomo, io posso indignarmi e scuotere la testa, e allo stesso tempo provare sollievo per avere le mani pulite. Questo è il principio di tutte le incomprensioni, i litigi, e perfino le guerre: il male è fuori di noi, bisogna trovarlo e distruggerlo.

Talvolta, collocandoci ad un gradino di maggiore consapevolezza, siamo costretti a riconoscere colpevoli noi stessi di un male volontario o involontario, e credo che il senso di colpa sia uno dei sentimenti più duri che possiamo provare, che ci spezza dentro, ci fa sentire profondamente sbagliati. Faremmo di tutto per liberarcene. Alcuni sanno chiedere scusa e tentare di rimediare, altri reagiscono in stile “scarica barile”, e vanno a cercare il colpevole al quadrato, cioè colui che è stato causa della nostra colpa; altri ancora, sul versante opposto, si sentono in colpa per ogni cosa e vivono chiedendo scusa di esistere.

Il dito accusatore può puntare verso l’altro e verso noi stessi, ma il succo è lo stesso: c’è un colpevole, e quel colpevole merita biasimo e condanna, a volte eterni.

Che cosa dice in proposito Dio, che ci conosce meglio di quanto noi conosciamo noi stessi visto che è l’Autore del nostro programma originario di progettazione?

Attraverso le pagine della Bibbia possiamo scorgere una evoluzione dei concetti di colpa, espiazione e perdono. Nell’Antico Testamento c’è un linguaggio duro, che a colpa fa corrispondere punizione. Ma anche in quel mondo dai contorni netti la Misericordia di Dio era all’opera, attraverso gli avvertimenti da parte di Dio stesso o dei Suoi profeti, e attraverso la possibilità di cancellare le proprie colpe tramite rituali di sacrificio sostitutivo.

Nel Nuovo Testamento Dio parla attraverso il Figlio e stabilisce un modo nuovo di trattare la colpevolezza: le leggi di Dio sono sempre le stesse, i Suoi comandamenti, ma ci viene rivelato da Gesù il principio più profondo, il senso ultimo di queste leggi: l’amore, l’amore verso Dio, e verso il prossimo che arriva in risposta all’amore di Dio verso di noi. L’amore è il motore e il fine di questa grande giostra che è la nostra vita. E con l’amore viene il perdono, stavolta senza più sacrifici, perché Gesù stesso ha pagato per tutti coloro che glielo chiedono.

Gesù attraverso le pagine del Nuovo Testamento ci fa salire i gradini della vera conoscenza, ci fa crescere nella consapevolezza per portarci un giorno nella piena luce di una Sapienza celeste.

Per prima cosa ci dice che è inutile cercare fuori di noi il colpevole, per liberarci dal male. I farisei che si proclamano giusti li chiama “sepolcri imbiancati” (Matteo 23:27), alle persone che stavano per lapidare una donna adultera dice la famosa frase: “chi di voi è senza peccato, scagli per primo la pietra contro di lei” (Giovanni 8:7).

Quindi ci accompagna al gradino successivo, ci fa vedere che nessuno di noi è giusto, che il male è in ognuno di noi, non è sradicabile mentre siamo quaggiù, tanto che l’apostolo Paolo si troverà a dire: “infatti il bene che voglio non lo faccio; ma il male che non voglio, quello faccio” (Romani 7:19)

E poi ci guida ancora più in alto, e ci guarda con amore, un amore incomprensibile e meraviglioso, e ci dice che quel male che abita in noi e che non possiamo fare a meno di compiere non siamo noi, non è la nostra verità, non è la nostra vera natura. L’accusa non porta a nulla, se non alla consapevolezza, non toglie la colpa, anzi la cristallizza, perché è una macchia, un’etichetta che rimane per sempre. Il castigo non risolve la colpa. È solo con il balsamo del perdono che la colpa può morire davvero, e diventare terreno fertile per una nuova vita, per un cuore nuovo. Il perdono significa che Gesù guarda oltre le nostre colpe, sa che sono solo incrostazioni, Lui ci vede belli, puliti, preziosi e innocenti. Solo l’amore può fare questo, l’amore ci dà la vera Sapienza. Non chi sa parlare o chi ha letto un milione di libri è sapiente, ma chi sa posare uno sguardo amorevole sul suo prossimo e su se stesso.

Ricordiamoci chi è che nella Bibbia è pronto a puntare il dito e a dire “io accuso”, che parla per orgoglio e non per amore. Non è certo Dio.

Le parole che Dio ci dice hanno tutt’altra sostanza: “tu sei prezioso ai miei occhi, sei stimato e io ti amo” (Isaia 43:4).

 

Stefania

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