UN INSEGNAMENTO RABBINICO:[1]  "Se io non sono per me, chi è per me? E quando io sono solamente per me stesso, cosa sono io?"  - [Dal sito www.guidagenitori.it/index.html] (dal "Il Ritorno" n.3 del febbraio 2000 - l'immagine è tratta da noi in internet)

 

 

Questa citazione è tratta da una raccolta di insegnamenti rabbinici inseriti nel primo codice complessivo di norme, la Mishnah[2], redatta in forma scritta nel III secolo su una base orale precedente (.) L'insegnamento citato è a nome di Hillel, un maestro vissuto a cavallo tra il I secolo a.C. ed il I secolo d.C., figura centrale della tradizione rabbinica e riferimento normativo di prima grandezza. Era noto per la sua tolleranza e per la sua disponibilità, testimoniate da diversi episodi riportati dalla letteratura talmudica.

Il suo insegnamento pare di grande interesse anche per noi, oggi, perché parla ad ogni individuo, ad ogni io, e propone alcuni sintetici suggerimenti per la costruzione dell'identità.

La affermazione di partenza è un invito a concentrarsi su se stessi: se non ci si cura, se non ci si costruisce come io, nessun altro potrà svolgere fino in fondo questo compito.

Il primo movimento dell'uomo sembra dover essere centripeto ["verso il centro" n.d.r.] : bisogna scendere nel profondo del proprio sé per potersi strutturare.

Interessante è tenere presente che in ebraico il verbo essere al presente non esiste, e che per esprimerne il concetto è necessario il ricorso al dativo di possesso; la frase, dunque, dovrebbe essere resa, letteralmente, "Se io non ho me stesso, chi ha me stesso?" che, pare, nasconde il pericolo di fondo di chi non è/ha un io solido: diventare preda di altri io.

Se la concentrazione sul sé è di prima importanza, non è però sufficiente; è possibile dire che chi si ferma a questo ha compiuto molto meno della metà dell'opera.

E' necessario passare alla dimensione relazionale, pena restare cosa invece che persona.

Anche in questo caso è d'aiuto il ricorso all'ebraico: "solamente per me stesso" è espresso da un termine la cui radice contiene anche il significato di "osso". Chi è in relazione esclusivamente con il suo sé, è in relazione con la parte più "secca", anche se importante, dell'essere: ecco perché rischia la reificazione. [3]

Ed infine: questi due momenti/movimenti, verso l'interno e verso l'esterno, in direzione di sé e degli altri, non possono essere rinviati ad altro tempo, perché altro tempo non c'è. Per Hillel questi sono i compiti primari dell'uomo: sapere chi è, e collocarsi all'interno di una rete di relazioni. (Benedetto Carucci Viterbi - Rabbino)

 

 


[1] Rabbino Titolo onorifico dei maestri ebrei della Legge. Il termine, usato ai tempi di Gesù, al quale alcuni si rivolgevano con questo titolo, si diffuse nel I secolo dopo le dispute tra le scuole del rabbino e scriba ebreo Shammai, e del rabbino e maestro ebreo Hillel. Il titolo è ancora utilizzato, anche se non in senso stretto, come designazione ufficiale dei ministri ebrei. (Enc, Encarta)

[2] Mishnah Prima parte del Talmud, codificazione della legge orale dell'Antico Testamento, che viene inclusa tra le leggi politiche e civili degli ebrei. La Mishnah fu codificata nell'ultimo quarto del II secolo o nel primo quarto del III secolo d.C. da rabbi Giuda (135 ca. - 220 ca.), detto anche ha-Kadosh (ebraico, "il santo") o ha-Nasi (ebraico, "il principe" o "il patriarca"), ma noto generalmente ai devoti ebrei come rabbi. Nella sua redazione definitiva essa rappresenta l'evoluzione, durata diversi secoli, di raccolte precedenti, di cui la prima fu quella degli allievi di Shammai e di Hillel, un antenato di rabbi Giuda. Scritta in ebraico, contiene molti termini in greco e aramaico ed è divisa in sei sezioni, ciascuna delle quali suddivisa in trattati e capitoli. La Mishnah è seguita da un elaborato commentario, la Gemarah, seconda parte del Talmud. (Enc. Incarta)

[3] Reificazione: 1. Processo mentale per cui ciò che ha soltanto esistenza astratta, si converte in qualche cosa di concreto, o si viene a considerare tale : r. di un concetto. (Treccani)

 

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