OTTAVO comandamento biblico non RUBARE - da "AVVICINIAMOCI AI COMANDAMENTI BIBLICI IN MODO RAGIONATO" parte 34 - di Renzo Ronca – 3-4-19

 

(segue)

             Abbiamo imparato ad approfondire ad espandere i concetti. Anche qui non si tratta solo di appropriarsi di cose altrui ma della radice che spinge a questo. Come vedremo in uno studio tra poco, “la decadenza del genere umano iniziò con un furto: l’appropriazione di un frutto dell’albero della conoscenza del bene e dal male, che apparteneva solo a Dio”. L’uomo fu spinto in questo desiderio di possesso attraverso il pensiero perverso di una creatura malefica, che prima aveva “rubato” la sua personalità rendendola schiava, da libera che era.

             Il serpente, Lucifero il diavolo o Satana che dir si voglia, desidera possedere la divinità, manifestare il potere, sostituirsi persino a Dio, prendere il Suo posto, diventare un dio lui stesso. Questa è la scia proibita che l’ingannatore ha immesso nel nostro DNA: “amare” come “possedere”; “essere” come appropriarsi di una natura che non è la propria, al fine di innalzare solo se stesso.

             Ma se questa è la radice del peccato, abbiamo anche una radice inversa che, attraverso l’intervento di Dio incarnato in Cristo, è stata immesso nel nostro DNA corrotto. Si tratta di una specie di "anticorpo benefico" che stimola un "ricordo efficace", l’imprinting di Dio, dove “amare” ritorna al significato originale di donazione, trasmissione di sé, prendersi cura dell’altro. Sono due direzioni opposte: la prima prende, la seconda dà. Gesù è la massima espressione dell’amore, del dare se stesso per gli altri, dare persino la vita.

 

Vediamo gli studi:

«Due parole: לֹא תִּֿגְנֹב (lo tighnòv), “non ruberai”. Due parole impresse su “tavole di pietra, scritte con il dito di Dio” (Es 31:18). È in queste due parole che è racchiusa tutta la questione sociale, il problema della giustizia umana e dei rapporti tra le persone. Non c’è qui soltanto la proibizione del furto e delle ruberie come li conosciamo dalle cronache sui giornali o per averli subiti. C’è qui qualcosa di più vasto e di più profondo. Si tratta dell’attentato a ciò che si possiede e di cui si possa dire: È mio. Non si tratta solo di ciò che si possiede materialmente (denaro, casa, campi o altro), ma include anche la propria personalità, la propria entità personale (sociale, nazionale, spirituale). Qualsiasi appropriazione di una proprietà altrui è furto, ma lo è anche la privazione della libertà, la negazione al diritto di lavorare, di essere curati. Sono nostri anche i nostri sogni. Togliere qualcosa a qualcuno è quella che l’ebraico biblico chiama חָמָס (khamàs), “violenza”, “torto”. La decadenza del genere umano iniziò con un furto: l’appropriazione di un frutto dell’albero della conoscenza del bene e dal male, che apparteneva solo a Dio.

   “Quando qualche straniero abiterà con voi nel vostro paese, non gli farete torto. Tratterete lo straniero, che abita fra voi, come chi è nato fra voi; tu lo amerai come te stesso; poiché anche voi foste stranieri nel paese d’Egitto. Io sono il Signore vostro Dio. Non commettete ingiustizie nei giudizi, né con le misure di lunghezza, né con i pesi, né con le misure di capacità. Avrete bilance giuste, pesi giusti” (Lv 19:33-36).»[1]

 

QUELLO CHE L’UOMO HA DIMENTICATO È UN PRINCIPIO FONDAMENTALE BIBLICO: TUTTO APPARTIENE DIO. Detto in maniera fin troppo terrena, quando rubiamo qualcosa a qualcuno, la rubiamo a Dio che ne è il legittimo proprietario. Noi non possediamo niente in qs transito di vita terrena; di quello che ci viene affidato dobbiamo poi rendere conto, compreso il ns corpo.

 

«Noi stessi siamo stranieri e ospiti di Dio su questa terra: “La terra è mia e voi state da me come stranieri e ospiti” (Lv 25:23). Sono enunciazioni in cui c’è tutto un programma di onestà sociale. Tutta l’economia mondiale e tutti i rapporti d’interesse devono essere regolati, secondo la Bibbia, dal principio che ogni cosa, tutto, è di Dio. Tutto ciò che chiamiamo “mio” ci è in effetti affidato temporaneamente. “Badate di tenervi lontani dall’ansia delle ricchezze, perché la vita di un uomo non dipende dai suoi beni, anche se è molto ricco. Poi raccontò loro questa parabola: ‘Un ricco aveva dei terreni che gli davano abbondanti raccolti. Tra sé e sé faceva questi ragionamenti: Ora che non ho più posto dove mettere i nuovi raccolti cosa farò? E disse: Ecco, farò così: demolirò i vecchi magazzini e ne costruirò altri più grandi. Così potrò metterci tutto il mio grano e i miei beni. Poi finalmente potrò dire a me stesso: Bene! Ora hai fatto molte provviste per molti anni. Ripòsati, mangia, bevi e divèrtiti! Ma Dio gli disse: Stolto! Proprio questa notte dovrai morire, e a chi andranno le ricchezze che hai accumulato?’” (Lc 12:15-20, PdS). Nessuno possiede davvero, perché ogni cosa è di Dio, eppure tutti devono possedere perché così Dio desidera. “Vi farò entrare nel paese che giurai di dare ad Abraamo, a Isacco e a Giacobbe. Io ve lo darò in possesso” (Es 6:8). Oggi si chiamerebbe comodato d’uso gratuito. Ogni famiglia ebrea possedeva la sua parte di terreno e i figli la ereditavano. La terra doveva rimanere in possesso della stessa famiglia di generazione in generazione, per questo non si poteva vendere per sempre. Quando una famiglia si trovava in difficoltà ed era costretta a vendere un terreno, in realtà non si trattava di una vera vendita ma di una locazione; il canone era stabilito in base alle messi che avrebbe prodotto il terreno e il prezzo d’acquisto si calcolava in base al numero di anni che mancavano al successivo Giubileo, quando ogni possedimento terriero doveva tornare per legge al proprietario originale (Lv 25:13,15,23,24).»[2]

 

Tutto questo rispetto per ciò che è dell’altro anche qui si proietta nel futuro, ad esempio nel millennio, dove “il possesso” di terre o cose diventerà felicità di comunione con Dio.

 

«Nessuna antica civiltà fu così sensibile al rispetto della cosa altrui quanto quella ebraica. Il profeta Isaia chiama “compagni di ladri” i capi che frodano la giustizia (Is 1:23) e agli anziani e ai principi del popolo dice che sono chiamati a rendere conto a Dio per aver “bruciato la vigna” e “preso mediante rapina all’afflitto” (Is 3:14, TNM). Viene condannato come furto a danno dei poveri il lusso delle case sontuose costruite sfruttando gli operai: “Guai a colui che costruisce la sua casa senza giustizia e le sue camere senza equità; che fa lavorare il prossimo per nulla, non gli paga il suo salario” (Ger 22:13). A gente di questa specie si ricorda l’esempio degli antenati ebrei: “Tuo padre forse non mangiava e beveva? Però faceva ciò che è retto e giusto, e tutto gli andava bene. Egli giudicava la causa del povero e del bisognoso, e tutto gli andava bene”. – Ger 22:15,16.

   L’ideale è stabilito da Dio stesso: “Io, il Signore, amo la giustizia, odio la rapina, frutto d’iniquità” (Is 61:8). Nel mondo futuro sotto il Regno di Dio, le persone godranno della loro proprietà e “potranno sedersi ciascuno sotto la sua vite e sotto il suo fico, senza che nessuno li spaventi”. – Mic 4:4»[3]

 

             L'ottavo comandamento biblico “non rubare”, secondo gli studi rabbinici, si spinge molto in profondità:

 

NUMERAZIONE DEI COMANDAMENTI – Può sorprendere il lettore di educazione cattolica la numerazione diversa dei comandamenti. Nei nostri scritti ci rifacciamo alla numerazione canonica così come si trova nella Bibbia, data da Dio,  non alla versione catechistica cattolica dove è stato cancellato il secondo comandamento e diviso il decimo per far tornare il conto di dieci. Maggiori chiarimenti sono nella parte 14: “IL SECONDO COMANDAMENTO – LA NUMERAZIONE DEI COMANDAMENTI – LA VERSIONE MNEMONICA CATTOLICA

 

«Rashì commenta: qui le Scritture proibiscono il rapimento, il "furto" di esseri umani. Più avanti, in Levitico 19:11, la Torà comanda lo thighnòvu, voi (plurale) non ruberete, e ciò si riferisce al furto di soldi e proprietà. Più che il furto (vietato in altri versi), viene quindi proibito il rapimento.»[4]

 

«Secondo la tradizione ebraica, l’ottavo comandamento non proibisce il furto in generale, ma il rapimento di un uomo libero, fatto soprattutto in vista di venderlo come schiavo. È il caso di Giuseppe, venduto dai suoi fratelli: «Perché io sono stato portato via ingiustamente dalla terra degli Ebrei», disse Giuseppe al Faraone (Gen 40,15). Ciò che si protegge in questo comandamento è il diritto dell’uomo alla libera disposizione di se stesso. La libertà, come la vita, costituiva un bene sacro.

Ammettendo questa interpretazione, l’ottavo comandamento non appare più fuori posto in quanto avrebbe per oggetto un diritto della persona. L’ottavo comandamento aveva dunque nella sua origine un oggetto ben definito. Proteggeva e garantiva la libertà dell’uomo e proibiva la sua riduzione allo stato di schiavo. E così anche il legame che lo unisce al prologo storico, appare molto più chiaramente. Siccome Israele è stato liberato dalla schiavitù dell’Egitto, non deve rapire nessuno di questi liberati per fare di lui uno schiavo. Rapendo uno dei suoi fratelli, l’israelita contraddice il gesto liberatore del Signore e compromette la stabilità della comunità intera composta, nella sua origine, solo da “uomini d’Israele”.»[5]

 

Questa proibizione di “rapire” un altro per farne uno schiavo non si riferisce solo all’aspetto fisico superficiale, ma investe anche la sua anima.

 

Noi usiamo spesso la parola “anima”, a volte come sinonimo di “spirito”, ma dobbiamo ammettere di averne una idea vaga e, a seconda della chiesa che frequentiamo, contraddittoria. Nell’ebraismo, come nel cristianesimo, esistono scuole e studi di spiritualità e mistica a vari livelli; la kabbalah[6] ad esempio.  Io darò solo un accenno di una parte del misticismo ebraico che ho trovato, perché non mi ritengo preparato o qualificato per andare oltre. Penso inoltre che slanciarsi in certe meditazioni esoteriche (siano esse cristiane o ebraiche) senza una guida sicura, possa diventare anche pericoloso. Prendiamo allora il materiale seguente come una finestra che si apre su panorami infiniti, senza classificarli troppo razionalmente; osserviamo questi spazi e tratteniamo in noi stessi l’ammirazione verso l’Eterno che tutto ha creato, crea e tutto mantiene, in una complessa perfetta meravigliosa ordinata stabilità.

 

«CORPO O ANIMA? - Rashì si spinge oltre egli sostiene che l’oggetto di questo comandamento sia l’anima. Per capire quanto sostiene Rashì dobbiamo però considerare che secondo il Midrash[7] ci sono cinque livelli di anima,[8] il primo è il nefesh ed è questo l’oggetto della proibizione del comandamento. Questo livello di anima è il corpo aperto verso l’esterno, che comunica e riceve. Al primo livello l’anima è la finestra sul mondo ossia il nostro modo di ascoltare di guardare, di odorare e di parlare. Quindi “tu non ruberai l’anima di qualcuno” significa “tu non ruberai ciò che costituisce la maniera di parlare di ascoltare e di guardare e di odorare di qualcun altro”. La soggettività di molte persone è imprigionate in ciò che le circonda: non dicono non vedono non sentono e non odorano diversamente da quanto imposto dal conformismo sociale. Il loro giudizio è copia di quello della massa. Rubare un anima è rubare un esistenza non consentendole di essere se stessa.»[9]

 

A questo punto, davanti a questo spazio aperto sulla creazione di Dio, le nostre riflessioni sul “non-rubare”, ovvero “non-rapire-ciò-che-è-dell’anima”, possono elevarsi in preghiera guidate dallo Spirito di Dio.

 

             Solo Dio che ha creato le anime, e che Gli appartengono (Ezechiele 18:4 ND), può rapirle. E questo rapimento da parte di Dio può manifestarsi in diverse forme più o meno “complete” in questi eventuali “livelli dell’anima”, come ad es. nell’”estasi”[10] o nel rapimento finale dei credenti che precede il ritorno del Signore.

             Di fronte alla grandezza di queste aperture mentali spirituali e pratiche, di cui non conosciamo il limite lo spazio e le dimensioni, ecco che allora dobbiamo vigilare bene prima di appropriarci di cose che non ci appartengono.

 

(continua)
 

 

 

 

 


[1]

Tratto da http://www.biblistica.it/wordpress/?page_id=101 (le evidenziazioni sono nostre)

 

[2]

ibidem

 

[3]

 ibidem

 

[4]

“Le dieci parole” di Aseret Hadibberot in http://www.e-brei.net/uploads/Shavuoth/10comandamenti.pdf

 

[5]

Tratto da http://qarev.com/ottavo-comandamento/

 

[6]

La cabala, cabbala, qabbaláh o kabbalah (in ebraico: קַבָּלָה‎?, letteralmente 'ricevuta', 'tradizione') è l'insieme degli insegnamenti esoterici propri dell'ebraismo rabbinico, già diffusi a partire dal XII-XIII secolo; in un suo significato più ampio, il termine intende quei movimenti esoterici sorti in ambito ebraico con la fine del periodo del Secondo Tempio. (Wikipedia)

[7]

Midrash - Questo vocabolo (dal verbo ebraico dārash "investigare", "ricercare", "studiare"), designa: 1. l'indagine esegetica dei testi sacri, quale venne praticata dai dottori ebrei dell'epoca talmudica (ultimi secoli a. C., e primi cinque secoli d. C.) e dai loro continuatori; 2. i risultati di questa indagine esegetica; 3. i libri in cui tali risultati sono esposti. (Treccani)

 

[8]

« […] La mistica ebraica non è certo materia semplice. E’ piena di concetti che sono tutti concatenati tra loro e che vanno studiati, uno alla volta oppure a gruppi. […] In Kabbalah non si usa parlare di anima, ma di “livelli dell’anima”. Sono, infatti, cinque le anime associate all’essere umano […] Si tratta di Nefesh (נפש),  Ruach (רוח), Neshàmah (נשמה), Chayiah (חיה) e Yechidah (יחידה). Di queste cinque anime, solo tre (Nefesh, Neshàmah e Ruach) risiedono nel corpo umano ed hanno effetto sulla mente (sono come campi energetici che vibrano a varie frequenze); mentre le altre due sono in relazione con il corpo umano (attraverso un legame etereo), ma non vi risiedono e non hanno effetti sulla mente. Quest’ultime possono avere un effetto sul corpo o sulla mente, spesso sotto forma di intuito. Ogni anima, inoltre, è dotata di sottolivelli, che determinano la qualità della stessa (http://viviisraele.it/2017/11/10/studio-sui-cinque-livelli-dellanima-nella-kabbalah-e-le-loro-funzioni/ 

 

[9]

 Tratto da http://qarev.com/ottavo-comandamento/

 

[10]

«il termine ékstasis si trova nel Nuovo Testa¬mento in diversi passi, per esprimere il rapimento, l'ineffabile sorpresa per lo spirito, stupefacente per la sua estrema felicità e l'intensità dello shock spirituale, tali che: "Tutti rimasero stupi¬ti  (ékstasisi) e levavano lode a Dio; pieni di timore dicevano; 'Oggi abbiamo visto cose prodigiose"' (Lc 5,26). Torna a più riprese nei racconti della resurrezione; "Ma alcu¬ne donne, delle nostre, ci hanno sconvolti (exéstesan hemàs, agi¬tati, fatti andare in estasi). Recatesi al sepolcro e non avendo trovato il suo corpo, sono venute a dirci di aver avuto anche una visione di angeli, i quali affermano che egli è vivo" (Lc 24,22). Il senso si chiarisce ulteriormente nella seguente situazione; "Ed esse, uscite, fuggirono via dal sepolcro perché erano piene di timore e fuori di sé (letteralmente; perché furono prese da spavento ed estasi). E non dissero niente a nessuno perché ave¬vano paura" (Mc 16,8). Lo troviamo anche negli Atti degli apostoli con il medesimo significato; "E riconoscevano che era quello che sedeva a chiedere l'elemosina alla porta Bella del tempio ed erano pieni di meraviglia e stupore (ékstasis) per quello che gli era accaduto" (At 3,10). L'estasi con perdita di coscienza è uno stato di rapimento spi¬rituale che la Scrittura esprime con varie espressioni: "Lo Spirito del Signore fu su di lui" (1Sam 10,10; Nm 24,2; Ez 11,5), oppure; "La mano del Signore si posò su di me" (Ez 8,1), oppu¬re; "Caddi svenuto, con la faccia a terra" (Dn 8,18; 10,9), op¬pure; "Quest'uomo ... - se con li corpo o senza il corpo non lo so, lo sa Dio - fu rapito fino al terzo cielo" (2Cor 12,2-3) o an¬cora; "... io fui nello Spirito" normalmente tradotto con ragio¬ne; "Rapito in estasi" (Ap 1,10)» (I GRADI DELLA PREGHIERA NELLA SPIRITUALITA’ ORTODOSSA -  MATTA EL MESKIN - https://digilander.libero.it/esicasmo/ESICASM/Matta/estasi.htm)

 

 

 

 

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