COME TE STESSO - di Stefania - (7-3-18) - 28-7-18

 

 

Attraverso una severa e rigorosa analisi su se stessa  l’autrice di questa profonda riflessione scopre ed apre al lettore la potenza della frase “ama il prossimo tuo come te stesso” (RR)

 

Vorrei essere qualcun altro, non sopporto di stare nella mia pelle, vorrei poter fuggire da me stessa. Ti è mai capitato di desiderare questo? Hai mai avuto la sensazione che se potessi strappare e gettare lontano la tua identità ti sentiresti meglio?

Ho cercato di far luce sui pensieri che stanno sullo sfondo, quelli che non so nemmeno di pensare, ho provato a ripulire il segnale e sintonizzarmi sulla frequenza di sottofondo, su quella vocina petulante e lamentosa che rimprovera, critica e mi condanna di continuo.

Ha un compito preciso quella vocina: farmi sentire una schifezza. E ci riesce, te l'assicuro, trova argomenti di tutti i generi, cavilli e prove certe che confermano inevitabilmente quanto io sia carente di tutto.

Vivo come se fossi perennemente su un palcoscenico, dimenticando la battuta, steccando una nota, sbagliando un movimento, rendendomi ridicola.

Questo giudicarmi rispetto ad un parametro assoluto di perfezione non è segno di umiltà come potrebbe sembrare in apparenza, ma si avvicina più ad un delirio di onnipotenza... Mi riconosco un'aspirazione irrealistica ad essere perfetta, la prima e la migliore, senza rivali, assolutamente non criticabile. L'onnipotenza così intesa ha, tra gli effetti collaterali, la fastidiosa tendenza a tramutarsi in “impotenza”, appena si evidenzia una piccola macchia, un dubbio, una parola detta fuori tempo, per non parlare poi degli errori evidenti a tutti, cose che ahimè rovinano la tanto desiderata perfezione che non raggiungo mai. Ed ecco che prontamente si attiva la vocina per farmi sapere che non c'è niente da fare, sono un fallimento, una schifezza appunto. Inoltre, anche nei rari momenti in cui sfioro la sensazione di essere contenta di me, si accende l'insegna di uno dei requisiti fondamentali della perfezione, cioè l'umiltà, anche questa intesa in senso assoluto e irrealistico, come negazione di sé. Quindi vietato essere soddisfatta di me stessa, in ogni caso.

Come vedi è un circolo vizioso, un gran pasticcio che ha come risultato un'inquietudine perenne, la rabbia feroce verso me stessa, la voglia di fuggire da chi sono. C'è qualcosa che non funziona sistematicamente, ma che cosa?

È la mia idea di fondo di ideale di essere umano, il pensiero più nascosto di tutti, quello che mi guida nei miei “dovrei essere” e “dovrei fare”. L'idea folle che la perfezione sia alla portata dell'essere umano, che addirittura possa essere io a stabilire i  parametri della perfezione.

E inoltre l'idea che il giudizio umano, mio o degli altri sia la cosa più importante, il mio idolo nascosto.

Qual è allora la giusta idea di essere umano? Dove trovarla?

Io non l'ho trovata la risposta, ma la risposta ha trovato me attraverso una frase, una delle frasi più potenti che siano mai state pronunciate su questa terra:  AMA IL PROSSIMO TUO COME TE STESSO.

È il “come te stesso” che mi colpisce in questo momento. Io amo me stessa? Dopo quello che ho appena raccontato direi di no. Io giudico me stessa. Io condanno me stessa. Io odio me stessa.

E mi sto ingannando. Ho idee molto distorte su queste cose, perché se guardo a Chi perfetto e onnipotente lo è davvero, vedo che nel tempo in cui ha camminato da Uomo in mezzo a noi, non ha mai manifestato un solo segno di insofferenza verso se stesso.

Che cosa significa amare se stessi secondo quanto insegna Gesù?

Forse prima di tutto significa proprio questo: non preoccuparsi si se stessi, stare nella propria pelle, senza dare credito all'apparenza e al giudizio degli uomini.  Amare se stessi significa in un certo senso dimenticare se stessi, smettere di porre condizioni per poterci accettare.

In secondo luogo, amarsi non può essere svincolato dagli obiettivi personali. Gesù aveva una missione da compiere, e metteva tutto Se stesso in quella missione. Amare se stessi significa non risparmiarsi, vedersi come strumento per compiere qualcosa che va al di là di noi, donarsi. Nelle Scritture l'uomo è spesso paragonato ad un vaso: se passa la vita a preoccuparsi di come appare il vaso, a crucciarsi per ogni crepa o imperfezione, mancherà completamente lo scopo della sua esistenza, il servizio per cui è stato creato. Resterà un vaso vuoto, magari bello fuori, ma inutile.

Amare se stessi, poi, significa amare il prossimo. Siamo abituati a pensare che questi due concetti si escludano a vicenda, ma non è così. Sono legati l'uno all'altro tanto che se non si ama se stessi non si può amare il prossimo, e se non si ama il prossimo non si ama se stessi.

Questo è facile da verificare: secondo te, se io sono così svalutante verso me stessa, potrò veramente guardare al mio prossimo con amore incondizionato? Riuscirò ad essere tollerante verso le sue debolezze e fragilità? No, parlando con profonda sincerità non potrò farlo, pur sembrando una brava persona, tratterò gli altri esattamente come tratto me stessa in fondo al mio cuore: con odio. Questo mi rattrista molto.

Gesù è venuto per mostrarci la via, e lo ha fatto per ogni aspetto della nostra vita. Lui non ci ha insegnato ad odiare noi stessi nel tentativo di essere grandi agli occhi degli uomini, ma a farci piccoli, a vederci per come siamo e a sperimentare l'amore di Dio che perdona, dimentica, accoglie. E se Dio ha perdonato nel nome di Gesù, anche il Suo giudizio ci è risparmiato. Questo significa che non devo dimostrare più niente, che posso guardare con serenità ai miei innumerevoli difetti, che Dio li conosce e non mi ha respinta, ma è addirittura venuto a prendermi quaggiù, insignificante come sono, perché mi ama.

É strano, ma devo riconoscere che togliendo a me stessa l'occupazione solita di dimostrare quanto sono orribile, mi trovo un po' spaesata, con spazio interiore libero per pensare. Questo spazio, da sempre vissuto come banco di prova e di irrimediabile fallimento, diventa adesso un insolito paesaggio soleggiato, in cui c'è pace, calore, riposo, ed un grande senso di sollievo e profondissima gratitudine.

Grazie Signore.

 

 

 

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