"C'È QUALCOSA CHE NON MI TORNA…"  Esaminiamo alcune difficoltà nella nostra lettura biblica personale - Le nostre aspettative - di Renzo Ronca – 27-6-11 (22-8-18)

  

Una cara amica scrivendomi esprime molto bene un disagio di molti credenti quando, con tutta la buona volontà, si avvicinano alla comprensione di certi significati della Scrittura biblica, ma rimangono perplessi e si dicono:  “c’è qualcosa che non torna…”   Cos'è che "non ci torna"? E' interessante anche l'uso appropriato della parola "tornare": la nostra lingua italiana è molto bella: che qualcosa debba “tornare” presuppone che qualcos’altro sia già “partito”. Forse  ciò che deve ritornare è la risposta alla nostra ricerca, alla nostra domanda più o meno espressa. Si tratta dunque della nostra aspettativa. E’ importante analizzare questa spinta e questa aspettativa che abbiamo per vedere se davvero è “in linea” con la Bibbia oppure no. Come si fa?

Proviamo a rifletterci: La Bibbia stessa ha un intento, essa stessa è un “messaggio”, un “seme di verità” che poi tornerà a Dio, Il Quale ci dice: “così sarà la mia parola, uscita dalla mia bocca: essa non ritornerà a me a vuoto, senza avere compiuto ciò che desidero e realizzato pienamente ciò per cui l'ho mandata.” (Isaia 55:11). C’è allora un’azione primaria ed una aspettativa anche da parte di Dio.

Abbiamo dunque due aspettative, quella di Dio verso l’uomo e quella dell’uomo verso la Bibbia. Per poter “funzionare” queste aspettative devono incontrarsi in armonia, essere sullo stesso binario.

Se l’uomo è consapevole di rivolgersi a Dio (non parlo solo di una consapevolezza razionale, ma di una attestazione più profonda della ns coscienza), allora farà presto ad essere in linea e si sforzerà di trovare subito la sintonia, l’intonazione giusta. Più che altro egli rivolgerà la sua aspettativa verso Dio, non verso la Bibbia in se stessa, che resterà solo un tramite grezzo e limitato su cui poggia la Sapienza divina e le aperture dello Spirito santo. Se invece l’uomo si avvicina alla Bibbia come un normale testo religioso, seppure visto con grande rispetto, allora la risposta potrà essere diversa da come se l’aspettava. Qualcosa appunto “non gli tornerà”.

Non confondiamo la Bibbia con la Treccani. E’ vero che Dio conosce ogni cosa, ma ha ispirato la scrittura dei libri della Bibbia (VT e NT) per un motivo preciso, espresso attraverso la mentalità di un popolo particolare. La Bibbia attraversa fatti storici, filosofici, psicologici; parla di animali, agricoltura, architettura, astronomia… insomma avvolge quasi tutto della nostra vita terrena, ma non è consultabile come una enciclopedia o un manuale. Esempio: In Matteo 4:18 Gesù passeggiava per il “Mare di Galilea” quando incontrò e chiamò i primi discepoli. Lo scritto va letto e compreso cercando di afferrare il senso che voleva esprimere, non solo nel modo letterale di ciò che dice. In questo caso interessava all’evangelista il fatto che Gesù chiamasse i primi discepoli. Che poi il “mare della Galilea” fosse in realtà il lago d’acqua dolce di Gennazaret alimentato dal Giordano, per l’evangelista non è rilevante; ha usato il linguaggio comune del tempo che chiamava così quel tratto di lago. Ora se io lettore della Bibbia, mi accosto per capire la chiamata dei primi discepoli va bene; ma se mi accosto per una indagine geografica, allora è tutto un altro discorso e devo tener conto di molteplici altri fattori. Forse in questo secondo caso sarebbe meglio aprire un atlante.

Per prima cosa dunque domandiamoci: perché mi accosto alla Bibbia? Sono consapevole di avvicinarmi ad una espressione ispirata da Dio? Sono consapevole essa che ha un senso nella totalità della sua completezza? Sono consapevole che sta cercando di comunicarmi qualcosa o penso sia solo un testo religioso (come ce ne sono altri) da consultare per vivere meglio?

(continua)

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