Parabola delle dieci mine o dei talenti.. cosa significa?

(Risposta di Renzo Ronca 24-4-10)


 

Domanda: Non ho capito bene questa parabola (1), significa che dobbiamo fare più sforzi per meritare qualcosa?

 Risposta: No, vediamola insieme.

  1. Le “mine” erano antiche monete greche, 60 mine costituivano 1 “talento”. In Luca si parla di “mine” mentre nel passo parallelo di matteo 25:14-30 si parla di talenti. Al fine del contenuto di edificazione è la stessa cosa.

  2. Meglio soffermarci per capire meglio sulla parola “talento”, perché in italiano proprio per evoluzione di questa parabola, ha anche un significato preciso che ci è molto utile: il talento di una persona in senso generale rappresenta le eventuali capacità innate che uno può avere o non avere per fare una certa cosa, per esempio uno che vuol fare il pianista o il pittore, se non ha in se stesso il talento per esprimersi è inutile che studi il piano o la pittura. Occorre un estro particolare, un “quid” che alcuni hanno altri no. Si dice anche avere il “pallino della matematica”, o “il pollice verde” per curare le piante. Anche per raccontare un barzelletta ci vuole talento, se uno non sa essere simpatico e fare ridere, che la racconta a fare una barzelletta?

  3. Dunque usiamo “talento” (o “mina”) tenendo a mente questo duplice significato: denaro ma anche capacità innata (=dalla nascita, avuta senza meriti, come l’intelligenza), che uno può avere oppure non avere.

  4. L’ipotesi di partenza a cui fa riferimento la parabola è che Dio abbia dato a ciascuno dei talenti particolari, ovvero delle potenzialità, delle capacità, delle ricchezze anche in senso mentale o caratteriale.

  5. La caratteristica dei doni di Dio e delle ricchezze di sapienza e di apertura mentale che ci dona è che queste vanno “spese” per gli altri come fece appunto Gesù. Più noi amiamo, più ci doniamo agli altri, più ci svuotiamo di noi stessi e più davanti a Dio ci arricchiamo. Più diamo e più abbiamo. Che valore avrebbe la grazia se fosse una conquista solo mia? Come può essere felice una persona se accanto a sé gli altri sono infelici? Non desidera renderli felici? Può essere gradito a Dio chi pensa solo a se stesso e non “spende mai” le capacità, i talenti che Dio gli ha dato?

  6. I vari servitori che si presentano al re della parabola hanno fatto fruttare le mine/talenti. Se io ricevo un passo della Parola di Dio che in me produce tanta ricchezza spirituale, io la devo comunicare ad altri affinché possa fruttare. Noi cristiani dobbiamo portare molto frutto, secondo la volontà di Gesù, per questo Lui ci manda per il mondo secondo come è scritto: “In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto, così sarete miei discepoli”. (Giovanni 15:8)

  7. Ora attenzione all’ultimo servitore: lui dice al v.20 “…Signore, ecco la tua mina che ho tenuta nascosta in un fazzoletto, 21 perché ho avuto paura di te che sei uomo duro; tu prendi quello che non hai depositato, e mieti quello che non hai seminato".

  8. Guarda bene che idea ha questo servitore del suo signore: “sei un uomo duro… prendi quello che non hai depositato…mieti quello che non hai seminato…” E’ così Dio? E’ così l’amore di Gesù? Chi pensa questo del Signore, cioè che sia duro, che si prenda quello che non ha seminato, allora non conosce affatto il Signore. Non ha fede, ma lo teme per paura.

  9. Per questo motivo allora quel padrone dice: "Dalle tue parole ti giudicherò, servo malvagio! Tu sapevi che io sono un uomo duro, che prendo quello che non ho depositato e mieto quello che non ho seminato..” Che sarebbe come dire: “Ah questo pensi di me? Va bene allora, visto che la pensi così io metterò in pratica quello che tu dici. Sono uno cattivo, duro che si prende ed esige le cose? Benissimo allora dammi subito quello che mi devi dare! Non hai fatto fruttare i talenti che ti ho dato? E come mai? Tu dici che sono duro e che poi avrei preteso da te gli interessi, e dunque dove sono allora? Non ce l’hai? Allora visto che sono duro e cattivo mi comporterò proprio come hai detto tu: ti tolgo anche quello che ti avevo dato per darlo a chi invece la fa fruttare meglio di te”

  10. L’insegnamento è dunque semplice: chi possiede più intelligenza degli altri la possiede non per bravura ma perché così è nato ed è dunque un dono di Dio, non è roba sua, gli è stata solo “affidata” alla fine dovrà renderne conto, la faccia fruttare dunque per la gloria di Dio. Più la farà fruttare più ne riceverà. Stesa cosa per altri talenti: hai maggiore sensibilità degli altri? Usala per capire di più i bisogni degli altri; hai più capacità di parlare? Allora spiega bene le cose di Dio… ecc ecc.

  11. Ecco dunque una riflessione importante: se uno per esempio che ha la capacità di capire prima degli altri la Parola di Dio o sa discernere subito un inganno del diavolo e non li usa per il bene della Chiesa, ma li tiene chiusi in se stesso, allora si comporta come quell’avaro che tiene i suoi denari chiusi in cassaforte. Alla fine dei tempi, quando ci presenteremo davanti al Signore dovremo rendere conto di come avremo “speso” i talenti che Dio ci ha dato. Chi li avrà tenuti solo per sé sarà giudicato come peccatore. Ricordiamoci una frase molto incisiva dell’apostolo Giacomo:  “Chi dunque sa fare il bene e non lo fa, commette peccato” (Giacomo 4:17).

Dunque non ci gloriamo di essere più degli altri per un nostro talento o una nostra bravura: sono doni che Dio ci ha affidato e che dobbiamo spendere con generosità.

 

(1) Ecco il testo della parabola:

"E, mentre essi ascoltavano queste cose, Gesù proseguì a raccontare una parabola, perché era vicino a Gerusalemme, ed essi pensavano che il regno di Dio dovesse manifestarsi subito.  Disse dunque: «Un uomo nobile andò in un paese lontano, per ricevere l'investitura di un regno e poi tornare.  E, chiamati a sé dieci suoi servi, diede loro dieci mine e disse loro: "Trafficate fino al mio ritorno". Ma i suoi cittadini lo odiavano e gli mandarono dietro un'ambasciata, dicendo: "Non vogliamo che costui regni su di noi".  Ora, quando fu di ritorno, dopo aver ricevuto l'investitura del regno, fece chiamare quei servi ai quali aveva dato il denaro per sapere quanto ciascuno avesse guadagnato trafficando.  Allora si fece avanti il primo e disse: "Signore, la tua mina ha fruttato altre dieci mine";  ed egli disse: "Bene, servo buono, poiché sei stato fedele in cosa minima, ricevi il governo su dieci città".  Venne poi il secondo, dicendo: "Signore, la tua mina ha fruttato altre cinque mine";  ed egli disse anche a costui: "Tu pure sii capo di cinque città".  Venne poi un altro, che disse: "Signore, ecco la tua mina che ho tenuta riposta in un fazzoletto,  perché ho avuto paura di te, che sei un uomo severo; tu prendi ciò che non hai depositato e mieti ciò che non hai seminato".  E il suo signore gli disse: "Ti giudicherò dalle tue stesse parole, malvagio servo; tu sapevi che sono un uomo duro, che prendo ciò che non ho depositato e mieto ciò che non ho seminato;  perché non hai depositato il mio denaro in banca; così, al mio ritorno, lo avrei riscosso con l'interesse?".  Disse poi ai presenti: "Toglietegli la mina e datela a colui che ha dieci mine".  Ed essi gli dissero: "Signore, egli ha dieci mine".  "Poiché io vi dico che a chi ha sarà dato; ma a chi non ha sarà tolto anche quello che ha.  Inoltre, conducete qui i miei nemici, che non hanno voluto che io regnassi su di loro e uccideteli alla mia presenza"». (Luca 19:11-27)

 

Correlazioni: TALENTI E SACERDOZIO - di Renzo Ronca - 8-7-19

 

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