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di Stefania Intartaglia - 2-4-15 - h.8,30
Viene prima o poi l'ora dello sconforto. L'ora della solitudine, l'ora delle nitide visioni. Muovo gli occhi e tutti ciecamente corrono, si affrettano senza saperlo verso quest'ora. L'ora di tirare le somme, l'ora di guardarsi le mani. Mi smarrisco per i monti e per i colli. Sono tra i dispersi di questo paese. E nessuno si prende cura di me, nessuno viene a cercarmi. È l'ora dell'abbandono, l'ora degli occhi che mi guardano senza vedermi. L'ora in cui non ho più casa, l'ora in cui il mio dolore non trova chi l'ascolti.
Mi pento di aver camminato tanto senza voltarmi, senza guardarmi intorno. Mi pento di aver seguito ciecamente false guide e labili ideali. Dal fondo di quest'ora, io mi pento della mia ostinata cecità. E mi pento di aver ascoltato solamente il rumore. Dal centro di questo buio vedo risorgere la speranza, vedo risplendere promesse dimenticate. Questa è l'ora di forzare i miei passi, tendere l'orecchio, scrutare più intensamente l'orizzonte. L'ora di rispondere alla voce che finalmente riconosco. L'ora di rispondere alla Tua voce, Signore.
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