IL TEMPO DI MATURAZIONE

 

-FUOCO DIVORANTE -2 - QUINTO LIVELLO DI VERITA' -  Dalla raccolta “Che cos’è verità?”- n.15  - Di Renzo Ronca – 8-3-11

 

 

[Monte Sinai - Horeb]

 

 

(segue)

 

Riprendiamo dunque da Esodo 3:1-10, l’incontro di Mosè con l’Eterno sul monte Horeb e cerchiamo di farne una riflessione valida per quelli che, come lui, si sentono spinti, attratti dal mistero di Dio.

 

La prima cosa su cui riflettere è il tempo di maturazione.

Mosè era adulto quando decise di unirsi al suo vero popolo; ma non era ancora pronto. Aveva 40 anni quando fu costretto a fuggire nel deserto, nel paese di  Madian;  passarono altri 40 anni prima dell’incontro con l’Eterno; ci vollero ancora altri 40 anni ad Israele prima di fermarsi nella terra promessa  (e per la ribellione di questo popolo quasi tutta la prima generazione degli ebrei morì nel deserto).

 

Queste periodi lunghi (lunghi per noi) sono importanti, necessari, hanno un significato, ci appartengono. Sono anche la nostra storia e la nostra maturazione perché anche noi siamo il popolo di Dio, per i meriti di Cristo. Ognuno di noi, nel suo piccolo, nella sua redenzione personale sperimenterà delle fasi di crescita più o meno lunghe, più o meno “insopportabili”. Insopportabili ovviamente per la nostra umanità, ma indispensabili per il raffinamento dell’anima.

 

C’è dunque una maturazione fisica ed una maturazione spirituale.

L’incontro con Dio è una realtà ben diversa dalla nostra idea di Dio.

Esiste una fede basata su un ideale intellettuale dedotto (“penso che Dio esista”) ed una fede basata sulla esperienza dell’esistenza di Dio (“conosco che Dio esiste”).

Così come esiste un comportamento generico di cristianesimo (“devo testimoniare a tutti che Gesù ci ama”) ed un comportamento specifico (“lo Spirito di Dio mi ha detto -và a.. e parla così e così..-”).

 

Sentirsi pronti per evangelizzare allora, non significa che lo siamo veramente.

Vi è un periodo preparazione diverso per ciascuno di noi, che solo Dio conosce sulla base della Sua sapienza, della nostra personalità e sulla natura stessa della missione per cui siamo stati creati.

 

Ecco dunque che il deserto, il “niente” del mondo, può invece essere un mezzo di crescita e santificazione.

 

Prendete ad esempio gli astronauti: non è che il primo che si sente pronto, piglia e parte. Occorrono anni di studio, esami, preparazione e disciplina fisica e mentale. Ci vogliono  prove, simulazioni di situazioni difficili… Solo alla fine di un lungo percorso e di grandi sacrifici, l’astronauta, se supera tutti i test, viene dichiarato idoneo e prende posto nella sua navicella. La differenza dell’astronauta con noi è che noi non sappiamo di avere un obiettivo specifico; l’astronauta sa che dovrà partire, lo desidera, è fortemente motivato, si assoggetta volentieri, come un atleta, alla disciplina di una vita particolarmente ritirata. Noi invece non sappiamo di doverci preparare per una missione, per questo durante i “test” le prove, ci ribelliamo, scalciamo, facciamo di tutto pur di uscire da quella disciplina che, passando per i deserti, ci rende forti.

(continua)

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