In marcia per...

di Stefania  - psicologa - 4-3-15- h.9 - (Livello 3 su 5)

 


 

 

 

Innumerevoli ingiustizie richiederebbero oggi la mobilitazione di tutte le persone assennate di questa terra. Ci vorrebbe un'unica immensa onda di gente in marcia contro di esse, sarebbe bello che chi soffre nel vedere ciò che accade intervenisse in qualche modo. Un intervento pianificato, massivo, coordinato e sinergico contro il male che viene perpetrato dappertutto.

 

Ma questo non avverrà, non ne siamo capaci, soprattutto perché non abbiamo nemmeno un'idea condivisa di che cosa sia il male. Siamo costantemente connessi e potremmo idealmente comunicare qualsiasi cosa a chiunque, in qualunque momento, ma non abbiamo le idee chiare.

 

Il fatto è che l'onda si infrange di continuo, prima ancora di formarsi, arrivano a riva scie di schiuma scoordinate. Tanti marciano contro le ingiustizie, ma, provando a dare un'occhiata globale, non si riesca a cogliere un criterio univoco in tutte queste manifestazioni.

 

In marcia contro la mafia, contro il cancro, contro o a favore dell'aborto o dei matrimoni omosessuali, per i diritti dei bambini delle donne, per la pace nel mondo, contro questo o quell'altro governo, contro o a favore di nuove infrastrutture, per l'abolizione di leggi, per l'orgoglio di una categoria, per la satira, per la liberazione degli animali, contro la cementificazione, contro la globalizzazione, contro la violenza, per i diritti dei lavoratori, ecc...

Inoltre celebriamo – e da qualche anno mi sembra sempre di più - la giornata di questo e quello, per ricordarci di un problema, di un dramma e poi archiviarlo per passare a quello successivo.

Le motivazioni di fondo di ogni singola manifestazione sono comprensibili, spesso encomiabili e condivise da quasi tutti noi. Ma, guardando l'insieme, che sensazione ne ricaviamo? E guardando ai risultati? E tutte le altre cose per cui nessuno di noi si mette in marcia?

 

Io mi sento frastornata, e mi sento scoraggiata perché anche a fronte di qualche piccola, rara vittoria, assistiamo ad un peggioramento progressivo e ad una confusione e relativismo assurdi. È come vivere in un telegiornale senza fine. Siamo presi nella trappola del sentimentalismo perché chi ha il coraggio di dissociarsi da una nobile causa, chi non si ferma un secondo a scuotere la testa per una tragedia a cui disgraziatamente ci stiamo abituando? E così, piccole onde si infrangono sul perimetro di un sistema che vediamo inesorabilmente crescere e sovrastarci.

 

Non dico di non marciare e manifestare per una buona causa, ma mi chiedo se tutto questo non sia stato portato all'estremo come accade ad ogni singolo aspetto della nostra quotidianità.

Tutto questo marciare, praticamente ogni giorno, servirà a qualcos'altro oltre a fornirci un diversivo ed un blando tranquillante per la nostra coscienza? C'è bisogno di sfoltire tutto e tornare all'essenziale, partire da ciò che si ha e farlo crescere. Molti lo stanno facendo anche se difficilmente ne daranno notizia al telegiornale. Si riparte dal piccolo, dalla solidarietà reciproca, dalla sobrietà. Si ritorna alle regole di una volta, regole di tanto tempo fa, regole che, possiamo starne certi, non cambieranno, nonostante la confusione generale che le incrosta e le copre di rumore.

Ci sono state date da Chi sapeva incontro a che cosa andavamo senza di Lui. Chissà in quale momento di questa storia le abbiamo perse di vista del tutto.

 

 

 

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