QUANDO E' UN PERIODO “GIU’ ”

-di Gabriella Ciampi, psicologa psicoterpeuta- 22-10-16

 

Si dicono tante frasi più o meno scontate, di fronte ad una persona che sta passando un periodo grigio, di umore depresso. Qui non voglio riferirmi alla vera e propria depressione, stato importante che richiede un approccio medico con farmaci e psicoterapia.

Vorrei parlare di quello stato che ogni tanto passano le persone che normalmente sono serene, equilibrate, che hanno consapevolezza dei loro problemi, ma che arrivano a trovarsi ciclicamente in uno stato lieve di tristezza, apatia, con poca voglia di muoversi, con il desiderio di staccare e allontanarsi, perché forse sono stanche o stressate, o perché si trovano dentro una situazione impegnativa e difficile che hanno scelto (o dovuto scegliere) e di cui comunque soffrono il peso.

COSA STA SUCCEDENDO?

Se siamo persone che normalmente stanno bene, se di solito sappiamo trarre soddisfazione da ciò che facciamo e sappiamo godere delle cose belle, se abbiamo le nostre gratificazioni da ciò che amiamo fare, allora ci troviamo in quella percentuale della popolazione che può rispondere “sto bene” – alla domanda “come stai?” - , ben sapendo che questo NON SIGNIFICA non avere problemi o non avere momenti di tristezza.

I momenti in cui ci sentiamo “down” (cioè giù, in opposizione a “up” cioè su), quando inseriti in una vita che normalmente procede bene, anche se si stratta di una vita faticosa ed impegnativa, possiamo considerarli come momenti di pausa necessari a livello psicofisico. Hanno un po’ una funzione simile a certi attacchi di emicrania o di colite che guarda caso arrivano proprio in tempo a giustificare la nostra assenza ad una riunione o ad un turno di lavoro antipatico.

Questi periodi di tristezza vanno visti come momenti di “ritiro” in se stessi, attraverso un sistema di sicurezza che scatta da solo quando noi non ci rendiamo conto che dovremmo fare una pausa. Rispondono cioè ad un bisogno interno di staccarsi, allontanarsi dalla routine, dalle pressioni di sempre, dalle richieste, dall’ordine prestabilito in cui siamo inseriti. Sono quasi la nostra salvezza psicologica. Potremmo dire che sono lo sciopero della nostra parte più libera che per un po’ vuole disubbidire e starsene in pace.

Non significa non amare le persone che abbiamo vicine, e nemmeno significa necessariamente non volere stare nella propria casa o non volere più fare quel dato lavoro; certo può essere anche un segnale di qualcosa che non va, e questo ce lo dobbiamo chiedere in un secondo momento, quando staremo meglio.

Talvolta facciamo delle scelte sotto la spinta del dovere o del buon senso o del quieto vivere, con la nostra parte saggia e razionale; può accadere che la nostra parte più emotiva e ribelle ogni tanto protesti e chieda ascolto. In questo momento di ritiro e di chiusura possiamo ascoltarci.

COME STARE MEGLIO?

  1. Prima cosa evitiamo di dirci che siamo depressi! Lasciamo stare le etichette che possono soltanto peggiorare il nostro stato aumentando i nostri pensieri negativi. Non ci servono le diagnosi ma ci serve capire di cosa abbiamo bisogno.
  2. Cerchiamo di far nostro un sistema mentale che preveda la gradualità. Impariamo a ragionare sui diversi gradi e le diverse tonalità delle cose anziché ragionare soltanto in termini di bianco o nero. Ecco degli esempi: - Invece di pensare “ va tutto male”, facciamo un preciso elenco di ciò che va male e anche di ciò che va bene. - Di quello che va male, stabiliamo una scala di misura per definire da 1 a 10 quanto sta andando male, diamo un valore. – Circa il mio stato di tristezza, invece di dire subito che sono depresso,  cerchiamo diversi aggettivi che esprimano come mi sento, usiamo le sfumature: sono disperato o scoraggiato? Sono abbattuto o triste?  Preoccupato o  spaventato? Sto male o sento un disagio?
  3. Mettiamo una distanza tra noi e il nostro malessere: “IO NON SONO LA MIA MALATTIA” ! Sforziamoci di guardare alla nostra tristezza come se fosse un oggetto che ho in mano e che posso manovrare, gestire. Io sono io, quello è il mio disagio. Posso decidere di metterlo da una parte oppure di osservarlo, posso “smontarlo” per capire a cosa mi serve oppure posso buttarlo perché capisco che non mi serve a niente.
  4. Pensiamo a come ci comportavamo nel periodo in cui stavamo bene: Cosa ci piaceva fare? Ora è il momento di fare quelle azioni anche se non ci sentiamo dell’umore adatto, anche se ci sembrano azioni vuote. E’ un modo per continuare ad essere se stessi, per conservare un comportamento che è nostro e sappiamo ci fa stare bene.

Se proviamo a fare queste cose, piano piano usciremo dallo stato d’animo depresso e ricominceremo a guardarci intorno.

I nostri malesseri sono messaggi per noi; certo, non possiamo limitarci a leggerli e poi far finta di niente: continuerebbero ad arrivarci insistentemente perché chiedono una risposta da parte nostra. Non possiamo neppure dire “sì, so perché sto così ma non posso farci niente”. Non è vero. POSSO SEMPRE FARE QUALCOSA , forse sarà una piccola variazione , non sarà il cambiamento totale che vorrei, ma quella piccola modifica nel mio modo di agire o nel contesto, avrà sicuramente un effetto benefico. Posso provarci.

Quello che tutti vogliono è star bene nel mondo e ci dobbiamo impegnare per ottenere questo, ciascuno per il proprio bene, e poi quando stiamo bene possiamo iniziare anche a pensare al bene degli altri.

Quello che è fondamentale è riuscire sempre a dialogare con se stessi e con il mondo imparando ad ascoltare le richieste e i bisogni interni ed esterni, e imparando come rispondere a questi in modo adatto, con equilibrio, senza sofferenza.

 

 

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