La promessa del Signore

La promessa del Signore

« E quando sarò andato e vi avrò preparato il posto, ritornerò e vi accoglierò presso di me, affinché dove sono io siate anche voi » (Giovanni 14:3)
vignetta Charlie Brown

Il senso di colpa nasce dalla sensazione di aver commesso qualcosa di male, di dannoso o criticabile da altri.

Ci tengo a sottolineare subito un aspetto. Quando la colpa è oggettiva, reale, quando effettivamente e razionalmente posso riconoscere di aver agito male, allora bisognerebbe parlare di assunzione di responsabilità: una persona matura, se ha sbagliato, riconosce il proprio errore e procede su due vie,  da una parte cerca di rimediarvi e dall’altra cerca di migliorare se stesso per non rifare lo stesso sbaglio. Faccio un esempio semplice.

Nel discutere con un caro amico mi arrabbio esageratamente e lo offendo pesantemente, dicendogli cose veramente brutte e me ne vado sbattendo la porta. Dopo qualche ora mi sento in colpa per quello che gli ho detto. Un atteggiamento maturo mi porta: 1°) a riconoscere di aver esagerato,  quindi ad assumermi la mia parte di responsabilità; 2°) a chiedere scusa al mio amico per averlo offeso ristabilendo chiarezza nel nostro rapporto di amicizia; 3°) a riflettere sul mio modo di reagire, di esprimere le idee, e a propormi una linea di condotta per un’eventuale prossima situazione simile dove sarò in grado di auto controllarmi e muovermi diversamente.

Ma spesso il senso di colpa ci tormenta anche in assenza di palesi comportamenti sbagliati. C’è comunque questa fastidiosa sensazione che possiamo ricondurre a due ipotesi: sto facendo/ho fatto/pensato qualcosa di vietato secondo la morale/la religione/l’autorità; sto facendo/ho fatto qualcosa che causa dolore a un altro. Essendo in questo caso in assenza di reale colpa, possiamo capire quanto la nostra immaginazione può enfatizzare, gonfiare, questa situazione.  

Se mi sento in colpa perché ritengo di fare una cosa vietata, c’è bisogno di definire cosa ne penso io e decidere se per me è vietata o no, e, nel caso in cui lo è, rispettare questa norma con un atto di volontà. Allora il senso di colpa può essere collegato a ed è segnale di mancanza di autocontrollo e scarsa volontà.

Se il senso di colpa nasce dall’idea che sto danneggiando/ho danneggiato qualcun altro, occorre analizzare con razionalità e attenzione in che modo e se quella persona è direttamente collegata al mio comportamento, se veramente la mia azione va a colpirla oppure se è un collegamento “immaginario” che io sto creando. Per esempio consideriamo una madre che va di mattina a lavoro e lascia il suo bambino di 1 anno e mezzo alla babysitter. Quante mamme hanno provato questo senso di colpa! Se andiamo ad analizzare dobbiamo chiederci: Si può considerare la sua assenza un segno di trascuratezza verso il figlio? Stiamo considerando anche la salute mentale della madre che può aver necessità di uno spazio personale? Il figlio di cosa soffrirebbe, dell’assenza della madre o della presenza di una madre isterica o depressa? Soffrirebbe per le ore di assenza o per l’atteggiamento assente, indifferente, della madre stanca e insoddisfatta? Quanto credo che, pur perdendo in quantità di ore di accudimento, ci sia un guadagno sul piano qualitativo del loro rapporto?

Andando a ragionare, vediamo allora che il senso di colpa si basa su un approccio superficiale e irrazionale alla realtà, un approccio che tiene conto soltanto della nostra parte emotiva-irrazionale, fondata su concetti assorbiti spesso per osmosi dall’ambiente, su assunti che diamo per scontati.

Il discorso si fa ancora più interessante e decisamente complesso se lo spostiamo sul piano morale.

Qui la difficoltà sta nel conciliare il nostro concetto di libertà con le linee guida dei valori di riferimento. E’ esperienza comune il conflitto interiore di quando ci troviamo in questa condizione e la difficoltà a volte a scegliere senza voler abbandonare l’una o l’altra possibilità (sentirsi libero o essere fedele ai valori). Ma il punto fondamentale è che nostra aspirazione potrebbe essere far coincidere queste due cose o comunque tentare di mantenere lo scarto al minimo.

La persona matura, e matura spiritualmente, si sente libera perché, nel suo percorso di maturazione è passata da uno stato in cui si limitava a difendere il proprio Io affermando i bisogni personali ed umani, ritenendosi “libera” dalle catene di qualsivoglia valore, alla libertà piena dove la persona è del tutto consapevole, dove le scelte sono responsabili, dove non c’è tabù o divieto imposto, semplicemente perché c’è una scelta a monte, quella di aderire con tutto se stesso a qualcosa in cui si crede fino in fondo. In questa dimensione c’è libertà perché c’è consapevolezza, siano i comportamenti in sintonia con i valori scelti o no.

Questo è il terreno che predispone all’apertura verso la vita spirituale dove non è tanto centrale il comportamento virtuoso o di peccato, quanto la disponibilità dell’Io totale, in tutte le sue componenti e azioni, in tutta la sua libera attività, a realizzare il progetto divino.

 

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