UNO SPAZIO PER IL DOLORE -  Stefania - 7-12-17 -

  

 

Molti dei miei pensieri e delle mie azioni sono volti ad evitare la sofferenza, talvolta consapevolmente, molto più spesso inconsapevolmente.

Non ho spazio dentro di me per il dolore, e cerco di espellerlo come posso. A volte agendo d'impulso, mettendo in pratica soluzioni affrettate, senza riflettere, a volte arrabbiandomi, a volte sminuendo o negando un problema che mi fa stare in pena.

Tutto il mio essere si attiva automaticamente per scacciare la sofferenza e tornare alla quiete. Una quiete effimera, ovviamente, perché cerca di risolvere i problemi chiudendo gli occhi.

I problemi irrisolti però, tornano sempre indietro, sotto altre forme, o aggravati, portandomi una domanda sempre più insistente: vuoi prenderti cura di me?

I problemi, infatti, richiedono cura, non rapide soluzioni che mirano solo a toglierli di mezzo.

Questo vale tanto per i problemi di ordine pratico che incontriamo ogni giorno, quanto per quelli più complessi che valgono la fatica di una vita intera.

 

Uno dei problemi più complessi è: come posso aiutare una persona? Come posso amarla davvero?

Con tristezza, devo dire che spesso ho trattato anche le persone a me più care come pesi da scaricare al più presto. Ho trattato il loro dolore come tratto il mio: cercando per loro soluzioni affrettate, arrabbiandomi, sminuendo o negando.

Adesso so che questo non è un bene. Così facendo, tra la persona che soffre e la mia ansia di uscire dal problema, scelgo di favorire la seconda. Magari in apparenza sembra che ho aiutato quella persona, ma in realtà non l'ho nemmeno vista, le sono passata accanto vestita di apparente carità, ma non mi sono fermata ad ascoltare fino in fondo, a capire, ad accompagnarla per un tratto, l'ho lasciata lì dov'è, con in mano una soluzione effimera quanto la mia quiete.

 

Aiutare una persona, specialmente quando sta soffrendo, richiede uno stare in relazione con lei e avere uno spazio dentro di sé in cui portarla, anche quando si è lontani. Uno spazio in cui permettersi di essere preoccupati per lei, di soffrire nel vederla sofferente.

Uno spazio dentro di sé per il dolore.

Ho cominciato a creare in me questo spazio, perché ho compreso che amare comporta sempre un soffrire, poiché sentiamo in noi stessi la pena dell'altro. Se uno ha come priorità conscia o inconscia l'evitare a tutti i costi la  sofferenza, allora il suo amore sarà come una fiammella debole che non riscalda e fa poca luce.

 

Il Signore Gesù è l'esempio eccelso in tutte le cose, anche in quello che sto cercando di dire.

Lui ci vede molto chiaramente nel nostro dolore, discerne senza errore le nostre responsabilità, ma ci vede come sofferenti, bisognosi di cure, malati. Non ci consola con false parole buone come “andrà tutto bene”, “passerà”, “non preoccuparti”. Non ci dà soluzioni facili come “fai quello che ti piace e non pensarci”. Non si arrabbia con noi per lasciarci soli con la nostra colpa. Non è impaziente di scaricarci come un peso inutile, ma si prende cura di noi con perfetto equilibrio.

Lui ci mostra esattamente dove stiamo andando, ci dà avvertimenti solenni rispetto al nostro destino senza Dio, soffre per noi e con noi quando ci vede sprofondare sempre di più. Non ci abbandona.

Lui ha spazio dentro di sé per la sofferenza e così ci ha ama così come siamo, e ci ha amati fino a portare su di sé la conseguenza delle nostre colpe e delle nostre infermità.

“...erano le nostre malattie che Egli portava, erano i nostri dolori quelli di cui si era caricato...Egli è stato trafitto a causa delle nostre trasgressioni, stroncato a causa delle nostre iniquità” (Isaia 53: 4-5)

 

Il dolore per l'altro è l'altra faccia dell'amore:  più sono capace di soffrire dentro di me per l'altro, più sono capace di vederlo così com'è, più sono capace di amarlo e desiderare davvero il suo bene.

 

 

 

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