Bollettino libero cristiano evangelico  della "Piccola Iniziativa Cristiana" a cui tutti possono partecipare utile per la riflessione e lo studio biblico

 

LA SOLITUDINE DI GESU’

 di Angelo Galliani - 16-10-16 - h.8,45

 

 

“La gente dunque, avendo visto il miracolo che Gesù aveva fatto, disse:

-        Questi è certo il profeta che deve venire nel mondo.

Gesù, quindi, sapendo che stavano per venire a rapirlo per farlo re, si ritirò di nuovo sul monte, tutto solo”.

(Giov. 6:14-15)

 

(Altre letture consigliate: Esodo 32:1-6  e  1° Samuele 8:4-9; 19-22)

* * *

 

a)    La singolarità del brano al centro delle nostre riflessioni è che esso non contiene apparentemente nulla di importante: non avviene alcun miracolo sensazionale; Gesù non pronuncia alcun insegnamento; non sembra esserci alcun riferimento a verità teologiche fondamentali… Eppure qualcosa di importante deve pur essere contenuta in questo episodio, altrimenti l’evangelista non lo avrebbe riportato. A ben vedere, infatti, il brano illustra un aspetto del rapporto fra Gesù e le folle. Tradotto in termini generali, noi potremmo vederci il rapporto fra Dio e certe aspettative umane.

b)   L’immediato contesto è il miracolo da poco avvenuto: quello della moltiplicazione dei pani e dei pesci, descritto nei primi tredici ver-setti dello stesso capitolo. Possiamo facilmente intuire come sia stato forte l’impatto di questo straordinario evento sulla mente di coloro che ne furono coinvolti. Gesù, spinto dalla sua misericordia, aveva appena sfamato la folla che lo seguiva. Essa lo seguiva “perché vedeva i miracoli che egli faceva sugli infermi”, specifica l’evange-lista. E qui già si evidenzia un primo elemento di tensione: Gesù vuole predicare la parola che trasforma, e invece la gente vuole molto semplicemente essere liberata dai problemi. In sintesi, gli atti misericordiosi di Gesù vengono confusi con la sua stessa missione.

c)    Come noto, ai tempi di Gesù era molto forte, in Israele, l’attesa mes-sianica. Ciò aveva generato tanti “falsi allarmi” prima di Gesù (e ne avrebbe generati altri dopo di lui). Diversi personaggi si erano posti a capo di un gruppo di fedelissimi, nel tentativo di instaurare una società nuova, dove la volontà di Dio fosse attuata. Invece, tutti erano finiti male (come coloro che li avevano seguiti). Potremmo affermare che il bisogno di libertà e di giustizia spinge spesso la gente ai più clamorosi “miraggi”. Nel caso di Gesù, in particolare, possiamo notare un profondo fraintendimento: gli viene attribuito un ruolo che non ha, o che, almeno, egli non intende assolutamente ricoprire.

d)   Chi guarisce i malati e sfama le folle, diventa, nell’immaginazione popolare, il “re ideale”, con il quale coronare tutte le proprie più rosee speranze. Sappiamo che la questione del re non era certo nuova per Israele. Anche se, alcuni secoli prima, all’epoca dei cosiddetti “giudici”, non c’era stato alcun bisogno di un sovrano, ben presto gli Ebrei si erano allineati ai modelli politici propri delle nazioni pagane. Avevano voluto a tutti i costi un monarca che, in qualche modo, incarnasse nella sua persona la guida di Dio. In altri termini, il re, secondo la concezione ebraica (e non solo), non era soltanto un capo politico, ma era addirittura “figlio di Dio”, cioè colui che era inve-stito dall’alto di compiti e poteri, in modo tale da guidare l’intera nazione verso la prosperità e la pace. In questo senso, il messia atteso doveva essere “re” per antonomasia, discendente di Davide, e perciò capace di superare ogni ostacolo che si opponesse alla piena realiz-zazione delle numerose promesse di Dio.

e)    Nel brano che abbiamo letto vediamo un Gesù che, ai nostri occhi, si comporta stranamente. Egli si è sempre dimostrato vicino alla gente, e sensibile ai suoi bisogni. L’episodio della moltiplicazione dei pani e dei pesci, da ultimo, è lì a dimostrare proprio la misericordia, la compassione e l’aiuto di cui Gesù è capace. E allora perché Egli si isola? Perché Gesù fugge da un’incoronazione plebiscitaria che avrebbe fatto tutti contenti?... Egli si ritira “sul monte, tutto solo”, dice il testo, in modo da non poter essere raggiunto. Scenderà sol-tanto quando la folla, stanca e delusa, si sarà dispersa e sarà tornata alle proprie case. La solitudine di Gesù indica come, in tal caso, egli non si fidi nemmeno dei suoi stessi discepoli, un po’ contagiati anche essi dalle aspettative popolari.

f)     Vista in chiave teologica, mi sembra di poter dire che la questione del re, per gli Ebrei, abbia forti attinenze con la questione del famige-rato “vitello d’oro”. Infatti, come quella statua avrebbe dovuto rap-presentare Colui che li aveva guidati in libertà fuori dall’Egitto, (e che, portata in spalla avrebbe dovuto continuare a farlo!), il re poteva divenire, suo malgrado, un idolo, nella misura in cui la gente sentiva di dipendere da lui più che da Dio. Il problema, com’è facile capire, non consiste nella statua in sé, o nella sostanza di cui è formata. Il problema non consiste neanche nel grado gerarchico di una persona, o nella sua maggiore o minore capacità di essere saggia, giusta, ecc. Il problema fondamentale è che si viene a creare qualcosa, un “oggetto” (materiale o umano) che rischia di stravolgere il rapporto fra l’uomo e Dio: attraverso l’ “oggetto” (materiale o umano, ripeto, non fa differenza), l’uomo tenta di prendere in mano le redini del proprio futuro, tenta di impadronirsi di Dio, e di tenerselo stretto a garanzia di se stesso. L’uomo tenta così di ridurre Dio stesso ad “oggetto”.

g)   In riferimento all’episodio del brano che abbiamo letto, potremmo dire che Gesù stia subendo le conseguenze negative del bene da lui compiuto (il bene non sempre ripaga chi ne è autore!). Egli ha amato la gente, ha avuto compassione di tutti, ha guarito i malati, ha perdo-nato i pentiti, ha consigliato i dubbiosi, ha accolto gli emarginati, ed ora ha persino dato da mangiare agli affamati. Ebbene, adesso la gente vuole impossessarsi di lui!... Adesso la gente da lui amata vuole rinchiuderlo in una gabbia d’oro, vuole mettergli una corona in testa, lo vuole insediare su un trono, vuole dargli precisi compiti e responsabilità, in modo da “garantirsi” un futuro che sia il migliore possibile… Ma Gesù non accetta di farsi manipolare. Gesù ama sempre la gente, e la vuole aiutare. Ma in questo caso aiutare la gente significa proprio sottrarsi alle sue pretese idolatriche.

h)   E’ sempre difficile mettersi nei panni degli altri, nel tentativo di capire che cosa stiano provando in un dato momento. Perciò è estre-mamente difficile, per noi oggi, tentare di capire quale fosse lo stato d’animo di Gesù in simili circostanze. Però una cosa è certa: Egli prende le distanze da una società umana che ancora non ha capito nulla, o quasi nulla, di chi Egli sia in realtà e di che cosa sia venuto a fare. Come ho accennato prima, le sue opere misericordiose, che dovrebbero costituire solo la “cornice” della sua missione, vengono fraintese, e scambiate per l’intero quadro. A Gesù premeva di spie-gare la verità (su Dio, sull’uomo, sul mondo), perché sapeva che la verità produce libertà, e la libertà dona dignità e valore alla vita. Invece la gente, molto semplicemente (ma potremmo dire: “molto animalescamente”) è orientata verso ben altri bisogni. Gesù, soprat-tutto, voleva mostrare il vero volto dell’Amore; ma spesso la gente, più che essere amata in un modo che non capisce, preferisce essere assecondata e, magari, viziata …

i)      Per concludere, può essere salutare rivolgere uno sguardo critico al cristianesimo dei nostri giorni. Come sappiamo, ci sono chiese (pen-so ad esempio a quella cattolica), in cui sono state create delle strut-ture organizzative di stampo “monarchico”, delle figure di “re spiri-tuali” che vengono osannati dal popolo dei fedeli, e nelle cui mani viene posto un valore e un potere che dovrebbero essere attribuiti solo a Dio. Ancora oggi, molti credenti si adagiano su un atteggia-mento “di delega” nei confronti del responsabile di turno, cioè si appoggiano all’idea (che poi è una pia illusione) di poter dormire sonni tranquilli perché c’è Tizio o c’è Caio, che conosce, che decide e che fa quel che è giusto per tutti. E’ anche salutare domandarci se in certe comunità protestanti non sia presente, a volte, un convinci-mento di questo tipo: “La nostra chiesa andrebbe meglio se potesse avere X come pastore, o Y come diacono, o Z come monitore di Scuola Domenicale…” In questo modo, però, forse inconsciamente, molti credenti prendono le distanze dalle proprie responsabilità. Come non può essere certo un singolo re, o un qualsiasi capo di stato, a rendere più maturi e civili i cittadini della propria nazione, allo stesso modo non possono bastare gli sforzi di un singolo pastore, o anche di pochi volenterosi credenti, a incidere profondamente sul clima e sul cammino di una comunità. La vera soluzione, infatti, è quella di sempre, e che ci è sempre stata annunciata: ascoltare la voce di Dio che parla nella nostra coscienza, e obbedirle!...

 

 

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