Bollettino libero cristiano evangelico  della "Piccola Iniziativa Cristiana" a cui tutti possono partecipare utile per la riflessione e lo studio biblico

 

LA PARABOLA DELLA ZIZZANIA – ALCUNE LIBERE RIFLESSIONI

di Angelo Galliani - 4-11-15 - h. 8 - (Livello 3 su 5)

 

 

E’ bene dirlo subito: ci si potrebbe benissimo accontentare della spiegazione che Gesù stesso dà della parabola. Anzi, nessuna spiegazione può pretendere di essere migliore di quella fornita dallo stesso Autore del racconto. Tuttavia, prendendo spunto dalla parabola stessa, nulla vieta di riflettere ulteriormente intorno ad alcuni elementi che vi compaiono. Vediamone alcuni.

 

a) La convivenza di due realtà antagoniste.  Nello stesso campo vi sono due piante che si contendono spazio e risorse: una è utile alla sopravvivenza umana, l’altra è invece una presenza che non produce niente di buono. La contrapposizione è elementare e quindi evidente; ma è chiaro che viene così proposta una visione estremamente semplificata delle cose, giacché la realtà del mondo non si presta affatto (almeno per i nostri occhi umani) ad essere distinta così nettamente: Buono e Cattivo, Giusto e Ingiusto, Utile e Dannoso … In effetti, lo scenario reale ci appare molto più complesso, e spesso non sapremmo tracciare alcun confine che divida chiaramente le due categorie prese in esame. Ad esempio: che cosa pensare di ciò che accade nel campo della ricerca scientifica, o della tecnologia, o dell’industria farmaceutica? E che cosa pensare di certi eventi legati a determinati sistemi politici, o alle banche, o alla competizione economica globale? … Grandi temi, questi, ed altrettanto grandi punti interrogativi. Ma Gesù riduce all’osso la questione presentando la contrapposizione radicale fra tutto ciò che è in armonia col Creato (e quindi da considerarsi positivo anche in relazione alla qualità della nostra vita) e tutto ciò che invece non lo è, e che perciò si presenta come un ostacolo, più o meno evidente. In questo scenario, dunque, sembra non esistere alcuno spazio per un’indifferente neutralità; come per dire: quel che non fa bene, fa male. Tutto ciò riecheggia la famosa frase di Gesù: “Chi non è con me è contro di me; e chi non raccoglie con me, disperde” (Mat. 12:30 ). Questa prima semplice considerazione suona dunque come un’implicita accusa rivolta a tutti coloro che per proprio comodo vorrebbero assumere, appunto, una posizione “neutrale”, che vorrebbero evitare le noie dovute ad una qualsiasi presa di posizione. In effetti il Male beneficia moltissimo delle grandi schiere di indecisi, di ignavi, di pavidi che riducono la propria vita ad un incedere strisciante, ad un acrobatico slalom tra i problemi propri ed altrui. Tutti coloro che rimangono dolosamente “senza opinione”, e che perciò non prendono mai posizione per il Bene, non si rendono conto della loro effettiva complicità con quanti hanno scelto il Male. Con un’efficace metafora si potrebbe dire che, davanti a Ponzio Pilato, chi rimase in silenzio contribuì a non coprire il grido di quanti invocavano Barabba come prigioniero da liberare, con le conseguenze che tutti ben conoscono.

 

b) Radici intrecciate. Il problema della situazione descritta nella parabola è serio, perché le due realtà presenti sono intimamente connesse. Anche se, in linea di principio, esse sono distinte e distinguibili (almeno nelle loro manifestazioni esterne, al di fuori del terreno), nelle loro relazioni profonde si confondono l’una nell’altra, al punto da diventare inestricabili: se da un male può nascere un bene, o viceversa, questo sta ad indicare che il problema di discernere le due realtà si presenta estremamente difficile, anzi addirittura insolubile con l’uso delle forze umane. Per chiarire meglio il concetto qui espresso, forse è utile fare un paio di esempi. Prendiamo il famoso tradimento di Pietro, con cui questi prende pubblicamente le distanze da Gesù. Pietro stesso riconosce in questo fatto un “male”, perché poi se ne pente e piange amaramente. Tuttavia da questo evento Pietro trae spunto per crescere: non solo egli ha modo di valorizzare ancor più l’amore che Gesù nutre per lui; non solo egli ha modo di vedere meglio in se stesso per riconoscere tutti i propri limiti umani: alla fine il Pietro riconciliato (con se stesso e con Dio) trae da questo triste episodio un’energia incredibile, che lo rende capace di diventare un pubblico testimone dell’amore di Cristo. Anzi, proprio in virtù della riconciliazione ricevuta, Pietro può diventare un apostolo della Buona Notizia, cioè della riconciliazione per eccellenza: quella di Dio con l’umanità. Prendiamo ora un esempio opposto: l’uomo religioso descritto da Gesù nella sua famosa parabola del fariseo e del pubblicano. Anche se qui non si tratta, evidentemente, di un personaggio reale, possiamo però dire che egli rappresenta molto bene (secondo l’intento di Gesù) tutti coloro che dall’osservanza della legge religiosa traggono spunto per alimentare il loro orgoglio spirituale e il loro senso di superiorità rispetto agli altri, considerati solo come individui “indegni e peccatori”. Da una buona partenza, dunque, si giunge ad un tragico epilogo: da un bene a un male. A questo punto, quindi, penso che possa apparire chiaro il concetto che intendo esprimere, e che in fondo è uguale a quello reso da un famoso detto popolare: “E’ bene tutto quel che finisce bene”.  D’altra parte, gli stessi tragici eventi della Passione, vissuti da Gesù e narrati nei vangeli, furono visti e giudicati dai suoi discepoli in modi diametralmente opposti: dapprima, nel corso degli eventi stessi, furono considerati la fine di ogni speranza, il crollo di un sogno; poi, con gli occhi della fede, furono finalmente riconosciuti come l’estrema manifestazione dell’amore riconciliante di Dio. Perciò, il “gioco” che avviene sotto i nostri occhi, nelle varie circostanze della vita, può essere compreso davvero solo alla fine, quando gli eventi hanno prodotto tutte le loro conseguenze.

 

c) Operai ignoranti, frettolosi e superficiali.  Un altro componente importante della parabola è la presenza, sulla scena, di un gruppo di operai impulsivi che il padrone del campo è costretto a frenare. Essi, profondamente turbati dalla presenza della zizzania, vorrebbero adottare una loro “soluzione”.  Il guaio, però, è che essi vorrebbero risolvere un problema che non conoscono a fondo. Infatti essi vedono solo ciò che è alla loro portata, ossia ciò che emerge dal terreno; ma non possono invece vedere l’inestricabile intreccio che le diverse radici formano tra loro. Se fosse attuata la loro idea, insieme alla zizzania verrebbe sradicato anche il grano, e così il raccolto si perderebbe del tutto, anziché in parte. Ebbene, questi operai illustrano molto bene la nostra condizione umana. In primo luogo, ci sfugge troppo spesso che la realtà è sempre molto più complicata di ciò che sembra a prima vista. Anzi, la realtà è sempre più complicata anche di quel che riusciamo ad immaginare. Dunque la nostra visione delle cose tiene conto solo di alcuni aspetti, di alcuni fattori, ma non può mai abbracciare integralmente l’oggetto della nostra indagine. Questo vale, in particolare, per qualsiasi “problema”: non ne vediamo mai del tutto i contorni, e ce ne sfuggono molte componenti, come anche le sue cause profonde, le sue possibili conseguenze, e tutto ciò che collega il “problema” ad altri aspetti della realtà in cui esso si manifesta. Certo, questa visione piuttosto superficiale è l’unica che siamo in grado di avere; ovviamente non siamo Dio, e quindi non siamo in grado di comprendere a fondo la realtà. Tuttavia, spinti come siamo verso il superamento di tutto ciò che possa turbare i nostri sonni, non siamo capaci di sopportare certe difficoltà, e quindi tendiamo a superarle in qualunque modo ci sembri possibile. Così facendo, però, presi anche da una certa impazienza, finiamo per mettere mano in faccende più grandi di noi, con conseguenze che non di rado possono risultare controproducenti o addirittura tragiche. Detto in altri termini, siamo creature piuttosto presuntuose: pretendiamo di poter decidere anche su questioni che sfuggono completamente alla nostra indagine e al nostro controllo. Tanto per dirne una, e tanto per citare un argomento che sta diventando “di moda” (in senso negativo, perché ci si abitua a sentire certe cose e a non fare nulla), noi umani in questi ultimi cento anni abbiamo svolto le nostre attività senza pensare ad altro che ai nostri interessi immediati, e così abbiamo creato seri squilibri nell’ecosistema in cui viviamo. Purtroppo ci sfugge completamente ogni cognizione sui delicati equilibri su cui tale ecosistema si regge, e quindi ci sfugge anche la consapevolezza di quali possano essere i tempi e i modi in cui inevitabilmente si manifesteranno le relative conseguenze. Questa è una condotta a dir poco irresponsabile, proprio come potrebbe essere quella di uno scolaretto che, entrato nella sala di controllo di una centrale nucleare, si mettesse a giocare coi tanti bottoni colorati che trova.

 

d) La pazienza in vista del raccolto finale. In questi nostri tempi caratterizzati da un certo attivismo, non è affatto diffusa l’idea che la pazienza possa essere una virtù (decisiva, in certi casi). Infatti si è portati a pensare che, di fronte a un qualsiasi “problema”, si debba necessariamente intervenire. Certo, questa non è un’idea di per sé negativa; anzi, la maggior parte delle volte può essere senza dubbio giustificata e legittima. Tuttavia, come visto poco fa, non tutti i problemi sono uguali, perché non tutti sono alla nostra portata. Se, tanto per fare un esempio, nella nostra chiesa facessero ingresso individui di dubbia moralità, o dagli intenti poco chiari, che creano tensioni e fastidi, o che hanno l’attitudine di criticare continuamente, o che non sembrano accogliere granché l’annuncio evangelico, che cosa dovremmo fare?... Scomunicarli? Avvisare la chiesa circa la loro pericolosità? Emarginarli per renderli inoffensivi, pur senza cacciarli via? … O dovremmo forse assecondarli per appianare le tensioni, o per non suscitare pericolose polemiche? … Ebbene, la risposta che ci giunge dalla parabola di Gesù che stiamo esaminando è evidentemente la PAZIENZA. Ma si badi bene: non una pazienza intesa in senso fatalistico e rassegnato, bensì una pazienza attiva: che perseveri nelle scelte giuste, che resista alle tensioni e alle provocazioni, in attesa di un sempre possibile miracolo che avvenga nelle coscienze, affinché il “problema” produca maturità nella vita di chi già è credente (ossia, una spiga ricolma di semi in chi pensa di essere “grano”). D’altra parte, la realtà potrebbe presentare delle sorprese che la parabola sembra non prevedere. Infatti, secondo la parabola stessa, chi nasce come grano o come zizzania resta tale fino alla fine: nessun cambiamento è possibile. Nella realtà, invece, può succedere (eccome!) che delle “zizzanie” si trasformino in “grano”, o viceversa. E’ quanto esprimeva Gesù in altri termini, ai “pii benpensanti” del suo tempo, quando affermava: “I pubblicani e le prostitute entrano prima di voi nel regno di Dio (Mat. 21:31). Prima di concludere, va sottolineato ora un aspetto paradossale: proprio perché la realtà presenta una profonda complessità, e ci è ignota per molti aspetti, noi esseri umani abbiamo sempre lo spazio per sperare, giacché non possiamo escludere eventi che in teoria ci sembrerebbero impossibili. Nella realtà, infatti, può anche accadere che un persecutore della chiesa si trasformi in “apostolo delle genti”, come fu per Paolo. E può accadere inoltre che certi tragici eventi, legati ad un uomo condannato a morte, quale fu Gesù, diventino fonte di gioiosa speranza per molti popoli.

 

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[studio completo in PDF in  IL TERRENO CHE SIAMO    (www.ilritorno.it/es/eshtml/dossier/RACC%20zizzania.pdf )]

 

 

 

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