Bollettino libero cristiano evangelico  dell'Associazione ONLUS  "Piccola Iniziativa Cristiana" a cui tutti possono partecipare utile per la riflessione e lo studio biblico

 

RIFLESSIONI TRA PSICOLOGIA E RELIGIONE

SU ALCUNI VERSETTI DELLA LETTERA DI PAOLO AI ROMANI (7:14-25 e 8:1-17)

Perché, come Paolo, il bene che vogliamo non lo facciamo, ed invece ci ritroviamo ad agire secondo il male che non vogliamo fare?

 

di Gabriella Ciampi – 2 luglio 2012

 

 

Romani 7:14-25 (e Romani 8:1-17 La liberazione per opera dello Spirito Santo)
Sappiamo infatti che la legge č spirituale; ma io sono carnale, venduto schiavo al peccato. 15 Poiché, ciō che faccio, io non lo capisco: infatti non faccio quello che voglio, ma faccio quello che odio. 16 Ora, se faccio quello che non voglio, ammetto che la legge č buona; 17 allora non sono pių io che lo faccio, ma č il peccato che abita in me.18 Difatti, io so che in me, cioč nella mia carne, non abita alcun bene; poiché in me si trova il volere, ma il modo di compiere il bene, no. 19 Infatti il bene che voglio, non lo faccio; ma il male che non voglio, quello faccio. 20 Ora, se io faccio ciō che non voglio, non sono pių io che lo compio, ma č il peccato che abita in me. 21 Mi trovo dunque sotto questa legge: quando voglio fare il bene, il male si trova in me. 22 Infatti io mi compiaccio della legge di Dio, secondo l'uomo interiore, 23 ma vedo un'altra legge nelle mie membra, che combatte contro la legge della mia mente e mi rende prigioniero della legge del peccato che č nelle mie membra. 24 Me infelice! Chi mi libererā da questo corpo di morte? 25 Grazie siano rese a Dio per mezzo di Gesų Cristo, nostro Signore. Cosė dunque, io con la mente servo la legge di Dio, ma con la carne la legge del peccato.

Questo passo della lettera di Paolo ai Romani si presta ad una interessante riflessione di tipo psicologico, ponendosi il tema della dicotomia mente-corpo o, secondo un’altra prospettiva, della dualitā carne-spirito. In vero tra le righe vi troviamo tante dualitā, pių o meno esplicitate, in quanto vengono richiamati diversi concetti opposti: carne-Spirito, corpo-mente, senso morale-inclinazione carnale, bene - male, l’uomo interiore-l’uomo carnale, intenzione-azione. Questi concetti sono accompagnati dai propri specifici contenuti: cose della carne-cose dello Spirito, legge del corpo-legge della mente, legge di Dio - legge del peccato.

Lo stimolo che viene suggerito riguarda la caratteristica propria dell’uomo, cioč la sua doppia natura fisica e spirituale, e come questa sua natura possa essere il nucleo di un conflitto profondo che vede la persona in contraddizione con se stessa, col suo desiderio, con la sua buona intenzione:  7, 22 “(…) io mi compiaccio della legge di Dio, secondo l'uomo interiore, 23 ma vedo un'altra legge nelle mie membra, che combatte contro la legge della mia mente e mi rende prigioniero della legge del peccato che č nelle mie membra”.

Perché talvolta non siamo capaci di agire seguendo ciō che sappiamo essere il Bene?

Perché, come Paolo, il bene che vogliamo non lo facciamo, ed invece ci ritroviamo ad agire secondo il male che non vogliamo fare?

Dal punto di vista della psicologia questa condizione puō avere diverse spiegazioni. Non sempre siamo coerenti con noi stessi, non sempre la scelta dei valori č autentica e consapevole; talvolta poi l’agire impulsivamente ci allontana dai concetti-base scelti come riferimento, oppure accade spesso che trascuriamo di capire ed elaborare le emozioni che proviamo e che possono interferire ed ostacolare l’attuazione delle nostre buone intenzioni.  Come Giano[1]

abbiamo due facce e ciō significa due dimensioni, due livelli di azione e reazione, uno fisico e l’altro mentale, su diversi strati: il comportamento e il pensiero ma anche una parte emotiva e una parte razionale.

La nostra doppia natura porta con sé un vissuto di contraddizione interna di cui possiamo divenire coscienti; tale consapevolezza causa una sofferenza sottile che coinvolge tutta la persona.  L’uomo che ha fede sente la propria naturale imperfezione, quale creatura terrena, mentre si trova anche di fronte alla propria spontanea aspirazione alla perfezione, in quanto creatura di Dio.

7,24 Me infelice! Chi mi libererā da questo corpo di morte?

La risposta ci arriva dai versi seguenti (8, 1-17): possiamo uscire da questo tormentoso conflitto scegliendo la fede. Se crediamo che Gesų sia il figlio di Dio “in carne”, allora ecco l’unico esempio di persona che ha risolto il problema, che ha sconfitto la carne,  perché “ciō che era impossibile alla legge [cioč alla carne, a ciō che č terreno, umano], Dio l’ha fatto”. E se lo Spirito entra nell’uomo, se l’uomo sceglie di vivere in Cristo, diventa anche lui coerede di Gesų assumendone gli stessi privilegi, grazie allo “Spirito di adozione”.

Questo dono, quando abita veramente nell’uomo, permette alla persona di seguire uno stile di vita alla luce delle “cose dello Spirito”, regalandole un senso di coerenza, di fedeltā a Dio e contemporaneamente di armonia con se stessa, nonostante le inevitabili debolezze. Si tratta di un cammino di crescita spirituale importante e profondo che porta dal corpo (“le membra”) all’ “uomo interiore” (la coscienza) per arrivare infine all’ “uomo nuovo”, l’uomo cioč rinato nello Spirito ed in Lui rinnovato.

 

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[1]

antico dio romano che presiedeva al cambiamento e in generale a tutti i passaggi, dal guado di un fiume alla soglia di una porta; veniva rappresentato come un dio bifronte, con un volto giovane che guardava avanti e uno anziano che guardava indietro

 

 

 

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