… imparate da me… (Matteo 11,29)
Essere miti significa avere tendenzialmente un comportamento verso gli altri e il mondo caratterizzato da pacatezza, gentilezza, pazienza. E’ un modo di essere all’opposto dell’aggressività e della violenza, dell’agitazione e dell’ansia.
Il mite non chiede, non pretende, non aspetta di essere corrisposto perché il suo non è un sentimento che presuppone reciprocità ma è un atteggiamento verso se stesso e l’esterno che prescinde da ciò che fanno gli altri.
Possiamo pensare alla mitezza su tre dimensioni: verso gli altri, verso se stessi e verso Dio.
- Chi è mite non solo non è violento verso gli altri ma sa essere comprensivo; sa perdonare perché sa bene che l’errore dell’altro nasce da una fragilità che lui stesso possiede, quella propria della natura umana. Chi non è mite è sempre pieno di astio, di giudizi, di ragionamenti sterili che lo allontanano dall’amicizia e dalla tranquillità.
- Si è miti anche verso se stessi perché stiamo parlando di un atteggiamento verso la vita e gli accadimenti. Quindi il mite sa attendere: sa attendere che passi la tristezza, sa attendere il momento adatto per parlare, sa attendere il momento della sua gratificazione senza sentirsi frustrato o angosciato se non ottiene all’istante ciò di cui ha bisogno. In fondo si tratta di fiducia: la certezza che prima o poi arriverà quello che aspetto. Il mite sa accettare i propri limiti e sa perdonare se stesso quando sbaglia: nessuno può essere infallibile e perfetto su questa terra, inutile e presuntuoso è pretendere da se stessi l’impossibile, mentre possiamo sicuramente sempre cercare di migliorare. Il mite sa anche accettare i momenti dolorosi della propria vita, sa accettare le perdite, l’età che avanza: accoglie tutto ciò con pacatezza perché ha capito che questo è lo svolgersi dell’esistenza umana ma ha anche capito che l’esistenza non è solo questo.
- Circa la mitezza verso Dio, dirò soltanto un pensiero personale. Per me essere mite significa mettere in atto una fiducia di base, che c’è un Dio, che ha pensato a noi dall’inizio dei tempi e continua ad amarci. Essere miti verso Dio per me significa scegliere di accogliere e seguire la forza della Speranza e della Fiducia perché non ho tanto bisogno di farmi valere davanti agli uomini, di affermare la mia superiorità o abilità, quanto di sentirmi degna e onesta davanti alla fedeltà di Dio. (Lascio il seguito di questo argomento e i riferimenti biblici al precedente articolo: MITEZZA – BREVE CONSIDERAZIONE ALLA LUCE DELLA FEDE - R.R.)
Voglio concludere sottolineando un aspetto importante per confutare un’idea che senz’altro sarà venuta in mente a qualcuno.
Essere mite non significa essere passivo, succube, debole, anzi.
La nostra società è violenta, molte sono le persone aggressive, quelle che distribuiscono nervosismo, agitazione, tutti atteggiamenti che non fanno altro che alimentare altro nervosismo e altra aggressività contribuendo a diffonderla e a moltiplicarla.
Ma sappiate che esiste anche la forza dei miti (qualcuno l’ha chiamata “l’ira dei miti” (1) ed è quella di contrapporre alla violenza la non-violenza, all’agitazione la calma, alla fretta la lentezza, alle urla il sussurro. Remissivo è colui che rinuncia alla lotta per paura, debolezza o rassegnazione; il mite non rinuncia al dialogo, al confronto, ma usa una modalità diversa perché il suo atteggiamento di partenza è diverso.
Per il mite vivere non è gareggiare per ottenere più potere, o ricchezza, o autorità. Non gli interessa primeggiare né vincere perché per il mite la vita non è una gara o una lotta e quindi non esistono per lui né vinti né vincitori.
Gabriella Ciampi
(1) G. Zagrebelsky – in “ Bobbio, perché la mitezza è ancora una virtù. L'attualità delle riflessioni del filosofo su un atteggiamento all'apparenza impolitico” – in questo articolo l’autore prende in esame l’interessante libro di N. BOBBIO “L’ELOGIO DELLA MITEZZA” ediz. Il Saggiatore