QUAL E’ LA VERITA’?  -Immagini e confronti-  di Renzo Ronca (11-12-08)

 

 

 

Domanda di D.L.:

Renzo leggevo sul tuo racconto “Le stature degli uomini” un passaggio che mi è piaciuto molto: il “gioco proibito del dirsi la verità”:

“Il giovane proseguì: -.. è un’altra proposta, ma  bada, forse è peggio di quella che pensavi tu... Ti vorrei proporre un gioco “assurdo e perverso” che è proibito fare. Solo per stasera, solo per stanotte... Dirsi la verità!  La verità che abbiamo nel cuore qualunque essa sia! La verità sul passato sul presente, su chi e come siamo, su come vorremmo essere e su come forse invece saremo. Qualsiasi cosa diremo, a qualsiasi domanda risponderemo diremo la verità. Nulla di scontato, forzato, ipocrita... solo la verità. E poi in fondo che importa.... tanto domani probabilmente non ci vedremo più. In fondo come ci si potrebbe rivedere dopo essersi aperti il cuore veramente? Come potrebbe vivere un sentimento basato sulla verità in una società che fonda tutto sul suo contrario? Si dovrebbe uscire dal mondo! Non potendo uscire dal mondo allora stasera noi faremo finta di essere liberi, come in un gioco... in questo momento magico che stiamo vivendo, se ti va, possiamo fare questa follia. La verità per una volta nella vita! Con una persona sconosciuta...  Naturalmente ciò che ci diremo avrà vita solo stasera e solo per noi. Non riveleremo mai a nessuno quanto abbiamo sentito; resterà sepolto, morto, in un tempo che non è mai esistito. Allora, che ne pensi?-“

"Dirsi la verità!   La parola verità è qualcosa che mi colpisce sempre.  Ed è fondamentale dal punto di vista cristiano, vivere nella verità. Ma non è così.. eppure, il Signore ci chiama ad essere sinceri... leali... veri l'uno con l'altro; ma non è così; eppure, se siamo nati di nuovo la verità dovrebbe fare parte di noi. Quando penso a ciò che siamo e a ciò  invece dovremmo essere come figli di Dio.. mi sento sempre estremamente confusa...e triste. Vorrei un tuo commento in merito.

 

 

Risposta:

A volte la verità ce l’abbiamo davanti  ma non la riconosciamo: proprio come Pilato che aveva davanti Gesù (che è “LA Verità”) e non riconoscendolo se ne andò scettico dicendo “che cosa è la verità?”,  magari scuotendo la testa come per dire “tanto non si troverà mai la verità..”[1]

 

La parola “verità” ci manda in crisi è vero; ed è bene che sia così, altrimenti come potremmo sentire l’esigenza di cercarla? E’ una crisi positiva se ci dà il desiderio di sapere e non la disperazione di non poter trovare.

 

Nicodemo da questa crisi seppe trovare la giusta via d’uscita tornando per suo conto davanti a Gesù ed interrogandolo privatamente. Ma attenzione: come vi andò? E’ questa la chiave. Nicodemo pur facendo parte del sinedrio in Israele ed essendo stimato dottore,[2] non vi andò come saccente maestro; non andò portandosi appresso l’ingombrante immagine di sé, di uomo sapiente “che non poteva perdere la faccia se no che avrebbero pensato di lui?”; nemmeno vi andò con lo stupore della gran parte della gente affascinata solo dai miracoli (che forse avrebbe seguito chiunque); Nicodemo vi andò con l’umiltà, la semplicità e la serietà di chi desidera veramente capire. Né troppo zelo né troppo servilismo, ma vero interesse per capire un significato che sentiva indispensabile per la sua formazione. Non atteggiamento dall’alto, ma normale statura di uomo. Già, ma qual è la “normale” statura dell’uomo? Il racconto che la nostra amica ha citato (“Le stature degli uomini”) mostrerà alla fine che le stature più grandi sono proprio quelle apparentemente più piccole come i piccoli “Mei” della foresta. Non è necessario infatti avere un ruolo da difendere, ma una vita da vivere, pensando più che altro al Signore e non a come noi vorremo-dovremmo essere per gli altri.

E’ in fondo l’esempio che ci ha lasciato Gesù, il quale, essendo Dio, lavò i piedi ai suoi discepoli.

Allora dobbiamo fare il nostro confronto umile e sincero con il Cristo?

Si, ma attenzione! Anche qui, se non stiamo attenti, c’è il rischio di cadere in una crisi peggiore della prima: nella riunione di sabato scorso ho avuto la gioia di condividere questo aspetto con altri fratelli molto più preparati di me e tra le tante cose su cui abbiamo riflettuto c’era questa: quando ci paragoniamo a Gesù, leggendo le Scritture è inevitabile sentirsi mancanti! Gesù era perfetto; pure se tentato in tutto non peccò. Egli è il Signore! Noi siamo umani. La nostra aspirazione ad essere perfetti[3] non può non deve diventare “perfezionismo”, altrimenti cadremmo in una specie di legge, di auto-giudizio; e dunque, trovandoci ovviamente inadeguati, ne sentiremmo un senso di colpa e di infelicità, che ci accompagnerebbe tutta la vita. Infatti se ci osserviamo con l’ottica umana ci vedremo sempre colmi di difetti e di peccati in confronto al nostro Signore. L’incitamento “siate perfetti”, come ha detto un fratello in riunione, è da intendere in un altro modo: vi sono molti livelli nella vita dell’’uomo: fisici, psicologici, di fede, ecc. allora “siate perfetti” si, ma in base alla condizione in cui siete, in base alla possibilità che avete, alla maturità che avete nel momento che vivete”. Un bambino per esempio deve essere “prefetto” per quello che il suo fisico e la sua mente gli permettono. La sua “perfezione” sarà molto diversa da quella che il Signore si aspetta da un adulto. Dio è “perfetto” come Dio: l’uomo creato da Dio può essere perfetto nella sua statura di uomo, esattamente nel momento che sta vivendo. La nostra natura umana avrà sempre dei limiti se paragonata a quella del Cristo e dobbiamo tenerne conto; per cui in riferimento al Signore dovremmo pensare al nostro stato generale come “in via di perfezione”.

Il rischio di farsi una colpa per non essere come vorremmo è reale, ma il confronto tra fratelli, alla luce serena e calma dello Spirito di Dio, lo ridimensiona e lo mostra per quello che è, senza alcuna colpa; ecco infatti come si esprime il frat. Roberto Sargentini all’ultima nostra riunione: “Soprattutto ci siamo resi conto che certe realtà non sono appannaggio di un singolo credente, ma che sono condivise da tutti. Il sentimento di insufficienza, l'impressione di marcare il passo, il colpevolizzarsi perché non si è così bravi come si vorrebbe ecc. si crede che siano sentimenti che proviamo solo noi mentre, come abbiamo visto sabato, sono condivisi da molti cristiani... per lo meno da quelli che si fanno un serio esame di coscienza senza mentire a se stessi.”

Dunque un altro elemento si aggiunge a questa riflessione ed è indispensabile: è necessario uscire dalla chiusura di uno stato di perfezionamento e crescita individuale. Osservare solo se stessi significa vederci o troppo bravi o troppo incapaci; alti e bassi; difficile trovare un equilibrio se non ci sono confronti fraterni con gli altri.

Tu dirai: “si giustissimo ma questo confronto si fa spesso in chiesa però non è ci cambia molto”; vero, ma come viene fatto? Quando ci si riunisce, il pastore o l’anziano ha di sé “la divisa” da pastore e da anziano mentre parla? Ha un ruolo da difendere o una bravura da “mostrare”? Quello che prende la parola ha paura di perdere la faccia? Ha un’immagine di sé a cui “deve” tener fede? Pensa quando parla “adesso devo dire questa cosa e non quest’altra se no faccio brutta figura”; Se è così non siamo “veri”. Magari possiamo dire cose dottrinalmente perfette, ma non mostriamo veramente come siamo. Anche per questo Gesù disse che per entrare nel regno di Dio bisogna esser come bambini, perché loro sono “veri”, sempre se stessi.[4]  Ecco dunque che se ognuno mostra non la verità di sé ma l’immagine che pensa di essere, la riunione di preghiera rischia di diventare una bella “recita”, in cui l’uomo che ha la funzione di “pastore” si comporta come lui ritiene che un pastore si debba comportare; e così via anche gli altri pregano e dicono come pensano pregherebbe e direbbe un credente in quella situazione. Magari senza esserlo. Sono così davvero o rivestono un personaggio?

Il discorso è difficile e rischiamo di cadere nel cerebralismo, ma c’è spesso da chiederci: Siamo noi stessi sempre?

La ricerca della verità, cara sorella, è un gioco “proibito” come nel racconto da cui ha preso lo stralcio, nel senso che tutti ci serviamo di questa parola, ma è raro che qualcuno mostri realmente quello che è. Chi lo fa spesso è giudicato o deriso.

Se mostrare realmente se stessi agli altri è difficile per paura di essere giudicati dagli altri (ma in fondo superabile perché basta infischiarsene di cosa pensano gli altri),  molto più sottile e difficile è invece scoprire realmente come siamo, in confronto a noi stessi. Uno magari si è convinto di essere in un certo modo: “bravo marito”, “persona onesta”, “persona di grande fede”, “persona che ama gli altri”, “persona ospitale”, “bravo responsabile di chiesa” ecc ecc. ed è come se camminasse con questa etichetta addosso a cui cerca di conformarsi ogni giorno al punto tale da identificarsi con essa. La cosa non è detto che sia vera; magari siamo tutt’altro ed abbiamo paura di scoprirlo.

Beh, posso capirlo, ma quando saremo davanti al Signore sarà comunque rivelata ogni cosa e ci mostreremo a Lui ed a tutto l’universo per quello che REALMENTE siamo; per cui, secondo me, tanto vale cercare di vederla subito la verità su di noi in modo da poterci correggere in tempo. Non a caso la grandezza di Davide stava proprio in quel suo umiliarsi profondamente dicendo con coraggio:

Esaminami, o Dio, e conosci il mio cuore.

Mettimi alla prova e conosci i miei pensieri.

Vedi se c'è in me qualche via iniqua

e guidami per la via eterna. (Salmo 139:23-24)

 

 

 

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[1] Giovanni 18:38 Pilato gli disse: «Che cos'è verità?»  E detto questo, uscì di nuovo verso i Giudei e disse loro: «Io non trovo colpa in lui.

[2] Giovanni 3:10 Gesù gli rispose [a Nicodemo]: «Tu sei maestro d'Israele e non sai queste cose?

[3] Matteo 5:48 Voi dunque siate perfetti, come è perfetto il Padre vostro celeste.

[4] Matteo 18:3 «In verità vi dico: se non cambiate e non diventate come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli.