CONOSCIAMO LA SOLITUDINE - (da una risposta ad una persona che ci ha scritto) - RR - lug 2000)

 

 

 

(…) La solitudine ha radici profonde, esistenziali. Nessun essere umano potrà mai farci sentire completi, sereni, appagati, realizzati. Potrà dividere con noi momenti diversi, anche la stessa solitudine, alleviandone il peso, ma non potrà mai risolverla per noi. Anche gli ideali possono in qualche modo costituire un rimedio apparente perché impegnano la mente con molti interessi e i sentimenti con molte speranze, tuttavia finché vivremo, se oseremo pensare, scendere in noi stessi, allora dovremo confrontarci con la solitudine.

 

La psicologia e la sociologia, la filosofia e la religione tentano di dare una risposta a quel sottile e doloroso velo di tristezza che avvolge i nostri pensieri e chiaramente le risposte saranno diverse.  

 

[...] Secondo me è sbagliato investire tutte le nostre speranze su un compagno o una compagna; così come è sbagliato investirle solo sui figli o solo sull’amicizia. Certo è bene che speranze ci siano in queste direzioni, ma non totalmente. L’inevitabile delusione di un rapporto idealizzato per esempio, ci distruggerebbe. Occorre sollevare lo sguardo e andare oltre, alla ricerca il più possibile delle radici e delle prospettive.

 

A volte quel sentimento che si fa sentire acuto e doloroso e che chiamiamo solitudine, non si placa con l’affetto di altre persone; è un’irrequietezza che ci sfugge... Ma è davvero una disgrazia da sfuggire o un utile esigenza dell’anima? E’ “l’inclinazione del poeta alla contemplazione, al raccoglimento” (De Sanctis). Senza questa spinta come faremmo a “raccogliere” i pensieri in noi stessi a capire, a discernere le esigenze più vere? La solitudine è anche utile, perché “ravvalora e mette in opera l’immaginazione” (Leopardi). L’immaginazione è l’anticamera della creatività, è il tavolo di lavoro del progettista, la tavolozza dell’artista che dipinge la sua vita… Dunque il primo passo da fare quando ci sentiamo in solitudine non è quello di respingerla, come il nostro istinto ci suggerirebbe al momento, ma di accoglierla, conoscerla.

 

E’ nella solitudine –come potrei mai scordarlo- che il Signore per la prima volta si manifestò nella vita mia. Una solitudine che anch’io come tutti cercavo di evitare con tutte le mie forze. Eppure fu lì, in quel silenzio apparentemente vuoto e disperato, dove tutto sembrava morto, che io ricevetti la prima parola di vita. Dunque cerca di non aver paura della solitudine, ma di conoscerla.

Dice Isaia 35:1 “Il deserto e la terra arida si rallegreranno, la solitudine gioirà e fiorirà come la rosa”; infatti noi  approdiamo a momenti di trasformazione, risveglio, crescita, che non sempre comprendiamo e li definiamo spesso crisi, esaurimenti, ecc. Ora patologie a parte, capita spesso che invece di momenti di disgrazia siano momenti di grazia.  Diamo adesso qualche chiave di interpretazione della solitudine:

 

SOLITUDINE COME PERIODO INTERMEDIO VERSO LA LIBERTA’

Un periodo intermedio, positivo, terapeutico,  di purificazione e passaggio da una dipendenza verso libertà. Immagina un tossicodipendente: per tornare ad essere libero di pensare e di agire deve sottoporsi necessariamente ad un periodo molto disciplinato, a volte duro, di privazioni e di risistemazione di valori…  Noi non siamo molto diversi: questo sistema di cose è basato su una serie di “droghe” affascinanti che ci condizionano e ci impediscono di pensare liberamente. Pensa ai programmi televisivi, alle pubblicità che vediamo e sentiamo di frequente passivamente, alle mode, alle mentalità e ai modelli costruiti a tavolino ed imposti con sofisticati sistemi…  Sarà normale allora nella solitudine sentire la mancanza della compagnia e delle abitudini  di prima;  l’avvertiremo all'inizio in forma dolorosa, come una punizione… ma non c’è punizione alcuna: stiamo per distaccarci da una schiavitù spesso idolatrica di cui non ci rendevamo conto. Resistiamo ancora un poco e dopo saremo altre persone; più forti, più complete e più felici. Gli Israeliti liberati dalla schiavitù egiziana con Mosè passarono nella solitudine formativa e purificatrice del deserto; ma non capirono il valore di quel passaggio: “Quante volte lo provocarono a sdegno nel deserto e lo contristarono” (Salmo 78:40); forse per questa ribellione  e durezza del loro cuore fu concesso solo alla generazione successiva di vedere la terra promessa. Come avrebbero potuto vedere infatti le cose nuove di Dio se loro stessi rimanevano chiusi, vecchi, e non si aprivano alla speranza? Ciò che prepara Dio è meraviglioso e si può percepire solo con la fiducia nelle Sue promesse: “Ecco, io faccio una cosa nuova; essa germoglierà; non la riconoscerete voi? Sì, aprirò una strada nel deserto, farò scorrere fiumi nella solitudine.” (Isaia 43:19)L'Eterno infatti sta per consolare Sion, consolerà tutte le sue rovine, renderà il suo deserto come l'Eden e la sua solitudine come il giardino dell'Eterno. Gioia ed allegrezza si troveranno in lei, ringraziamento e suono di canti.” (Isaia 51:3). Se veramente dunque hai fede in Dio, non scappare la solitudine che al momento sembra suggerirti, ma accoglila e vivila, semplicemente per come si presenta, senza voler bruciare le tappe.

 

… COME ESIGENZA INTERIORE

Nella solitudine si matura una esigenza inconscia (non consapevole, non chiara alla nostra mente) della nostra persona intera (spirito e corpo) che si può manifestare prima con una brusca fermata ed un crollo apparente degli interessi del momento, poi con la febbrile ricerca di qualcos’altro non meglio definito…. Questo è tutto un lavoro interiore che fuori si nota poco. Magari possiamo dare l’idea della noia o della malinconia… ma non c'è da spaventarsi, la nostra natura è meravigliosa… vi è qualcosa di vivo che non vuol morire e che non si sente di lasciarsi soffocare dalla routine o da obblighi doverosi o abitudini mortificanti… Vi è una scintilla insopprimibile di vita che non vuole configurarsi col presente e lotta per uscire… 

Per cui quando si affaccia la solitudine non andiamo subito a cercare compagnia. Prima proviamo a pensare. La compagnia è buona per un confronto e se è amicizia vera è buona anche anche per aprirci, ma certe strade, inevitabilmente, si devono percorrere da soli. Appena poi ci sembrerà di aver trovato qualcosa di valore, una verità importante, allora si che sarà bello condividerla e trasmetterla per dividere la felicità anche con altri!

 

L’UOMO E’ DAVVERO SOLO

Sono convinto che l’uomo sia davvero solo per tutta la vita terrena, ma che sia allo stesso tempo nato per non restare mai solo. Una condizione controversa che non si risolve facilmente. Egli si sforza di sfuggire e di coprire  con uno spesso strato di vernice  questa contraddittoria verità; da bambini cerchiamo l’abbraccio dei genitori, da giovani quello dell’amicizia nelle comitive; poi sogniamo il grande amore ed approdiamo al matrimonio come fosse la soluzione di tutto. Facile che fallisca quando lo mitizziamo in questo modo; qualsiasi amore idealizzato finirebbe deludendoci  tristemente.

Penso che se non risolviamo un certo discorso di fondo non ne usciremo mai: per noi che siamo cristiani credenti, la solitudine ha un causa precisa: nasce in Genesi, nel momento in cui l’uomo si allontana da Dio scegliendo l’ipotesi ingannevole dell’antico serpente. Da quando siamo usciti dalla casa del Padre soffriamo di nostalgia e solitudine e viviamo nella sola attesa di potervi ritornare. La fede sulla parola di Chi ci ha promesso questa possibilità di ritorno ci permette, bene o male, di andare avanti nell’attesa. E’ in fondo questa speranza che ci permette di proseguire e vivere. Diversamente chi è “troppo intelligente” per credere in Dio, si trova a dover colmare un vuoto di cui non si spiega bene la causa né la profondità; per questo si inventa di tutto pur di non pensare; oppure pensa di tutto per non restare mai solo. Nella solitudine escono fuori le verità. Chi non ha speranza si sente come senza gambe, reciso, troncato. O si innamora continuamente nel puerile tentativo di non crescere mai, oppure va in crisi e rischia molto perché senza Dio non vi è altro che la distruzione di se stessi e la morte. Tutto è senza senso se lo vediamo senza la fede:

Romani 8:18-25 “Io ritengo infatti che le sofferenze del tempo presente non sono affatto da eguagliarsi alla gloria che sarà manifestata in noi.  Infatti il desiderio intenso della creazione aspetta con bramosia la manifestazione dei figli di Dio[1],  perché la creazione è stata sottoposta alla vanità[2] non di sua propria volontà, ma per colui che ve l'ha sottoposta, nella speranza che la creazione stessa venga essa pure liberata dalla servitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio. Infatti noi sappiamo che fino ad ora tutto il mondo creato geme insieme ed è in travaglio[3].  E non solo esso, ma anche noi stessi, che abbiamo le primizie dello Spirito noi stessi, dico, soffriamo in noi stessi, aspettando intensamente l'adozione, la redenzione del nostro corpo.  Perché noi siamo stati salvati in speranza; or la speranza che si vede non è speranza, poiché ciò che uno vede come può sperarlo ancora?  Ma se speriamo ciò che non vediamo, l'aspettiamo con pazienza.”

 

 

 


[1] “Il momento in cui Dio mostrerà il vero volto dei suoi figli” (traduz. Interconfess.)

 

[2]  “Il creato condannato a non avere senso” (traduz. Interconfess.)

 

[3]  “Il creato soffre e gene come una donna che partorisce” (traduz. Interconfess.)

 

 

 

 

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