PERCHE’ E’ PIU’ FACILE CREDERE ALLA CROCE CHE ALLA RESURREZIONE? - Risposte di Renzo Ronca e del Prof. Roberto Sargentini - 13-7-18

 

 

 

 

 

 

Risposta di Renzo Ronca 11-7-19

 

1) Se per “Croce” intendiamo sofferenza e prove da sopportare nella vita, possiamo dire che non si tratta di credere ma solo di constatare. La “croce” in questo caso è una esperienza “normale” che riguarda tutti gli uomini. Le fedi religiose di tutti i tipi si affiancano a questa realtà umana esistente e ne danno spiegazioni diverse, a volte accettandola passivamente, a volte sublimandola; resta il fatto che comunque, quando parliamo di “croce” non abbiamo in mente qualcosa di astratto ma esperienze dolorose comuni a tutti.

 

2) La “Resurrezione” invece, pure se si comprende razionalmente cosa significa, è poco accessibile nel suo contenuto sia mentalmente che fisicamente e non si presta ad una condivisione con altre persone. La “Resurrezione” può essere un concetto teologico o una esperienza. Nel primo caso (concetto) ci possiamo ragionare ed anche avvicinare faticosamente al suo significato cristiano, ma difficilmente lo faremo “nostro”. Nel secondo caso (esperienza interiore in Cristo) pur non spiegando bene a parole cos’è la Resurrezione, la viviamo; e in questo riempimento interiore non abbiamo più bisogno di porci alcuna domanda. Purtroppo questa esperienza piena, più mistica che teologica, non è molto comune. Cercare di spiegare ad altri l’incontro col Risorto (perché di questo si tratta) fallisce quasi sempre, perché presuppone di racchiudere Dio in forme raggiungibili dalla limitata mente umana. Ritengo che solo dove sia presente una vera rivelazione di Sé, che parta da Dio stesso, l’uomo possa davvero percepire il senso della Resurrezione.

 

3) Vi sono poi anche motivi personali o sociali nella nostra vita o nella popolazione in cui si passano stati di esaltazione o di depressione che ci spingano a considerare maggiormente o la croce o la resurrezione: si pensi al periodo della fine della seconda guerra mondiale in Italia, dopo tanti bombardamenti dove tutto era crollato: era  diffuso il senso della disfatta e della confusione -come nell'8 settembre-; si metta in relazione con gli anni del boom economico del 1955-60 nella ricostruzione post-bellica. Nel primo (disfatta depressione) il credente era più portato a vedere la croce; nel secondo (anni 50-60) si era più spinti all’ottimismo ad avvicinarsi al concetto di resurrezione (1). Così oggi si pensi al grande diffondersi della malattia psicologica della depressione nel mondo occidentale, alle droghe, allo spiritismo, alle malattie, agli esodi disperati, ai pericoli di guerre, alle divisioni politiche ecc. (in fondo stiamo andando verso gli ultimi tempi)… è evidente che nei periodi in cui viviamo ci sia una propensione a identificarsi maggiormente con la croce. E’ qui però che interviene, che DEVE intervenire la forza della fede. Non credo sia questione solo di quantità, quanto di qualità della fede. Un credente pur mettendocela tutta, sa che non può confidare solo in se stesso, sa deve confidare in Dio perché certe lotte interiori sono ben più complesse di quanto immaginiamo (2).  Penso siano queste forze oscure maligne che ci spingano più verso la croce, distorcendola, facendocela intendere non più nel suo significato salvifico come intendeva Lutero, bensì nella sofferenza umana passiva a cui rassegnarci. Questa tendenza (basti pensare alla decadenza continua dei film su Gesù sempre più centrata sul sangue, sugli effetti speciali della violenza e della sofferenza, dove la resurrezione scompare sempre più dal racconto)  è solo una progressiva umanizzazione del divino. Una sconfitta del “Risorto”. Un Gesù spiegato e ricordato solo con la croce, senza resurrezione, non avrebbe alcuna particolarità. Quanti cristiani oltre a Gesù furono messi in croce in quegli anni?  E’ la resurrezione, secondo me, la chiave; la Resurrezione di Gesù, anticipo della nostra, di cui purtroppo si parla sempre meno. Anche questo –seppure in maniera lenta e soft-  è un modo di negarla.

 

  

(1) Una considerazione simile è accennata nell’introduzione  del testo del teologo cattolico passionista Adolfo Lippi c.p. “Teologia della gloria e teologia della croce” ed. elle di ci, Leumann TO

 

(2) “il nostro combattimento infatti non è contro sangue e carne, ma contro i principati, contro le potenze, contro i dominatori di questo mondo di tenebre, contro le forze spirituali della malvagità, che sono nei luoghi celesti” (Efesini 6:12)

 

 

 

 

 

Risposta del Prof. Roberto Sargentini – 13-7-18

 

“Credere alla croce” è una affermazione poco chiara che andrebbe definita meglio. Solitamente questa è un’espressione molto cattolica tra le cui usanze c'è l'adorazione della croce in sé. La parola di Dio non ci invita a credere alla croce ma a Cristo morto in croce ed è questo che io credo. Se la domanda è "perché è più facile credere a Gesù morto in croce invece che alla risurrezione" non posso rispondere che in un modo: perché la morte è una realtà che tutti noi sperimentiamo già da vivi quando i nostri cari o le persone che ci circondano ci lasciano. Crediamo che realmente Gesù è morto in Croce perchè la morte è una realtà, l'assassinio è una realtà, e perchè ci sono fonti bibliche e extrabibliche che testimoniano della morte di Gesù. Intendo dire che la morte di Gesù non è solo una cosa possibile, nel senso che in quanto uomo poteva morire, ma è un fatto storico suffragato da una documentazione certa. Quindi non richiede un atto di fede ma l'accettazione di fatti dimostrati. Altro è credere che Gesù sia il Messia e nei suoi miracoli. Lì subentra la fede ma soprattutto, per credere, deve subentrare un incontro con Gesù che a quel punto travalica la semplice fede e diventa esperienza, per non dire sperimentazione, personale, oserei dire fisica, della realtà di Dio e di Cristo.

 

Credere invece nella risurrezione significa dare come certa qualcosa che nessun uomo ha mai sperimentato. Nella bibbia si parla di alcune risurrezioni, ma siamo ancora nell'ambito della fede, non abbiamo nessuna prova "scientifica" che un corpo morto possa tornare alla vita o che un cumulo di ossa possano ricoprirsi di nervi e muscoli e riprendere vita. Credere alla risurrezione di un uomo vuol dire andare al di là di ogni logica umana e sperare l'incredibile, il non sperimentabile. Umanamente parlando. E noi siamo uomini. Anche qui solo una forza, una convinzione non nostra, che ci viene donata dall'esterno, solo un'esperienza personale con il Trascendente può darci non la fede ma la certezza della risurrezione; di Cristo prima e poi dei nostri corpi alla fine dei tempi. Il credere nella risurrezione è indispensabile per dare certezza alla nostra salvezza. Se Cristo è certamente morto ma non è risuscitato - e per chi non crede nella sua risurrezione non è risuscitato - siamo dei miseri uomini, con una vita senza scopo e speranza. siamo una fugace apparizione sul teatro della vita se non un'espressione biologica. Senza risurrezione Gesù è morto invano. Credere in una cosa così grande (la risurrezione di Gesù e dei morti) a mio parere è un dono di Dio, come la grazia. Anzi, è un frutto prezioso della grazia che ci è data gratuitamente; gesto di sublime amore del Padre, del figlio e dello Spirito Santo.

 

 

 

 

 Indice posta -    Home

per la posta-PIC scrivere a mispic2@libero.it - sarà mantenuta la privacy

 

 

 

 

Questo sito ed ogni altra sua manifestazione non rappresentano una testata giornalistica sono scritti NON PROFIT, senza fini di lucro, per il solo studio biblico personale di chiunque lo desideri - vedi AVVERTENZE