"HO PAURA CHE SATANA MI FACCIA DEL MALE…" - di Renzo Ronca - 7-5-10

 

 

 

 

 

Cara sorella, c’è una contraddizione in quello che scrivi nella tua mail:

 

1-    Io non ho paura del castigo di  Dio….

2-    Ho paura di Satana e che possa farmi del male più di quanto già me ne abbia fatto.

 

Non hai paura del giudizio di Dio: vuol dire che lo vedi come un Padre amabile e comprensivo e che ti fa del bene? Vuol dire che senti dentro di te che ti ha salvato già, da quando ti battezzasti? Se è così posso capirti. Ma se nonostante questa consapevolezza di bene da parte di Dio, hai paura che Satana possa farti del male,  allora rinneghi la prima parte (se Dio è buono come può permettere che una creatura –che non è un dio- possa farti del male?).  Dai forse a Satana più potere di Dio? come se il diavolo possa farti del male anche se Dio non lo vuole? Questa cosa lo capisci da sola è impossibile.

 

Credo che l’origine della paura, al di là delle profonde analisi psicologiche che hai fatto e che possono solo indicarci alcuni episodi-chiave su cui migliorarci, sia comunque una mancanza di fede in Dio. E’ quello il punto, secondo me.

 

Noi sappiamo che Dio ci ha amato e ci ama di un amore perfetto. Se recepiamo questo amore dall’alto, allora capiamo che la paura della vita è una emozione estranea.

 

Vediamo invece più da vicino la “paura di soffrire”: Questa è la cosa più umana e normale che possa esistere, ma è anche la meno spirituale.  Chi inizia un cammino di spiritualità come hai fatto tu, impara a passare da uno stato puramente umano, con tutte le sue paure e le sue limitazioni, ad un altro in cui “si rinasce ad una nuova vita di fede”; cioè ad un modo diverso di intendere le emozioni e di identificare se stessi.

 

L’”Io” non è più un “ego” (scusami se mi esprimo un poco terra-terra) al centro dell’universo, che deve stare bene, fisicamente appagato, per essere felice; ma il tuo nuovo “io” confluirà e si scioglierà nell’ “Io-sono” che è Dio. Solo Dio “è”. Noi “siamo” in Lui, altrimenti, pur vivendo, non siamo nulla. Chi ha ancora il suo “ego” non è nello stato di comunione con Dio. Ci arriverà più avanti forse, ma ancora è “carnale”, il “vecchio uomo”, come direbbe l’apostolo Paolo.

 

Chi è unito a Dio nella fede, ha tutto pur non avendo niente, e non tiene in nessun conto l’esigenza della propria persona  perché sa che ad essa ci pensa Dio.

Questa persona “nata di nuovo” ha capito che la “propria” persona non è “propria”, ovvero non gli appartiene più, in quanto è stata comprata/riscattata da Cristo.

Il nostro corpo è proprietà di Dio, non è nostro (tutta l'anima "nostra" comprensiva dello "spirito" è Sua). Dunque sarà Lui a pensarci se glielo affidiamo; noi dobbiamo solo averne cura e trattarlo nella maniera più sana e corretta possibile. E’ per questo che il suicidio per esempio è da considerarsi come un peccato, perché il corpo non è tuo e non ci puoi fare quello che ti pare senza renderne conto al Signore.

 

Tu dirai ma se il corpo è di Dio, allora perché in certe persone lo lascia malato, infermo, paralizzato? Non ti so dare una risposta esauriente; ma se ci pensa Lui, se mi affido a Lui veramente, lo devo anche mettere in pratica. Io so solo che “tutto coopera al bene di coloro che amano Dio” (Rom 8:28) e intendo quel “tutto” alla lettera. Anche lo star male, pure se può sembrare un paradosso può certe volte cooperare al bene. Io quando sto male dico così: “ Signore io sto male e tu lo sai. Ti supplico di guarirmi. Però Tu sai ogni cosa e quello che non riesco a capire lo capirò quando tornerai. A Te cerco comunque di affidarmi sempre. Aiutami Tu a fare la tua volontà”.

Inoltre so anche un’altra cosa: che devo amare Dio “con tutto il cuore, tutta l’anima, tutta la mente e tutta la forza” (Mar 12:29) in pratica lo devo amare con tutto quello che ho; sia questo poco o tanto sarà comunque il massimo di quello che ho. Questo devo fare e questo mi impegna totalmente. Dopo aver raccomandato me stesso a Dio basta che devo fare di più? Lodarlo, servirlo se me ne dà l’opportunità.

 

“La paura di soffrire” poi, non è il soffrire, ma una elaborazione mentale che anticipa ed amplifica la sofferenza. Dobbiamo saper discernere e saper gestire queste paure: esempio: io so che se metto la mano sulla presa della corrente prenderò la scossa, che magari ho già provato una volta da piccolo; la scossa fa male, dunque la mia esperienza negativa subita in passato mi fa provare una paura positiva che mi allarma e previene l’atto di mettere di nuovo la mano nella presa della corrente. Qui la paura di soffrire è educativa, positiva.

Se invece io mi metto a ristagnare sulla paura depressione, la mia mente innescherà un meccanismo di paura che si ingigantisce da solo. Anche se non sono più depresso è probabile che la paura di esserlo mi farà rivivere momenti di depressione nella memoria, ed il mio fisico si comporterà come se quel ricordo sia ancora reale. In pratica la paura della depressione può farmi cadere davvero nella depressione. IN questo caso la paura di soffrire è patologica e da eliminare. La fede con la speranza con l’amore trasmesso da Dio, producono una aspettativa serena e felice e cacciano la paura.

 

 

 

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