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La paga del mondo - (R. R. - 4-6-11)
[foto-PIC - vedi imm ingrandita]
«Ho cercato di dare loro parte di ciò che avevo, ma non è bastato.
Si sono accampati di fronte alla mia casa e si sono appropriati del terreno che non era il loro. Cercano di allargare i loro confini di notte per mettermi alle strette e cacciarmi; quando possono cercano di rubare e possedere quel poco che mi è rimasto.
La mia casa sembra una baracca di legno e latta.
Allora ho chiesto ad un giovane operaio di sradicare un grosso abete da un punto lontano e di trapiantarlo qui davanti, tra me e loro, come a difendermi.
Ma l’operaio era figlio loro, aveva fretta e non ha ascoltato i consigli per salvare le radici, così l’abete ha molto sofferto.
Io l’ho curato per un anno e gli ho dato l’acqua tutti i giorni. Le gazze ci hanno fatto un nido in alto, ma poi l’hanno abbandonato.
Il grosso abete ha cominciato a seccarsi a partire dalla punta più alta. Ho aumentato l’acqua ma i rami si sono seccati lo stesso. Tutti mi avevano detto che si sarebbe seccato, solo io non ci volevo credere.
Poi è morto del tutto.
Anche questo ultimo amico mi ha lasciato.
Sono salito con una lunga scala sul tronco secco e l'ho tagliato a metà, legandolo, in modo che non cadesse sulla terra che un giorno era mia e che ora appartiene a chi mi sta di fronte. Del tronco ne sono rimasti due pezzi ancora legati; sembra una croce.
L'ho raccolta con delicatezza, ferendomi le mani nel filo spinato.
In silenzio porto via la mia paga, mentre al suo posto torna uno spazio vuoto.»
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