PAGINA 4  DI ES3

 

 

COSA FARE DAVANTI AL SIGNORE?

(Da “Il Ritorno” n.3 di febbraio 2000)

 

Il modo più semplice e più rapido per unire due punti A e B è tracciare una linea retta. Qualsiasi punto fuori dalla linea ci farebbe aumentare il percorso. Supponiamo ora che A sia un ipotetico punto fuori dal nostro spazio terreno, un misterioso luogo in cui risiede Dio; e B sia invece il punto in cui siamo noi, il nostro cuore, la mente, il centro del nostro essere pensante ed amante. La strada più breve tra i due punti è l’ascolto, l’intimità, il silenzio, la solitudine, la preghiera. Qualsiasi altro riferimento di pensiero, di preghiera di ragionamento, non dico che sia sempre inutile o dannoso, ma certo non aiuta. Ecco dunque che quando dico preghiera non intendo altro che la preghiera solo ed unicamente a Dio. Senza triangolazioni. Cosa si fa in questi momenti di silenzio con Dio? Niente. Questo è enormemente difficile da capire per la nostra mentalità occidentale che si basa sul “fai da te”, o sul concetto di forza in se stessi. Niente, non si fa niente. Due innamorati mentre si guardano provano un senso di riempimento piacevole, desiderabile, mai finito. Avviene qualcosa tra loro, ma la ragione non sa cosa. Ci si lascia amare, arrendendosi ogni giorno di più. Un riempimento. Il nostro cuore si scioglierà un poco alla volta. Da duro e ghiacciato com’era, diviene caldo ed elastico nelle mani del Signore.

Approfondiamo appena un poco questo sublime rapporto d’amore: evidenziamo due inganni tipici:

Il primo è che per amare o essere amati bisogna necessariamente dare e ricevere qualcosa. Non è vero: noi siamo amati. Semplicemente. Punto. Così come siamo. Non dobbiamo raggiungere una linea fisica estetica particolare, e tanto meno una particolare spiritualità interiore per essere amati. E’ l’amore che riceviamo che ci cambia; non è il nostro cambiamento a farci meritare l’amore di Dio. Questo punto deve essere ben chiaro. Certe severe forme di ascetismo, o di discipline spirituale,  possono diventare gravi forme patologiche o costituire alienazioni mentali pericolose. Non occorre fare i salti mortali per dimostrare a Dio quanto siamo meritevoli del Suo amore. Anzi, in questo sforzo insano potremmo mostrare proprio la nostra superbia, o l’incapacità di accettare proprio quell’amore che gratuitamente ci viene offerto.

Il secondo è che per poter essere qualcosa bisogna necessariamente fare. Questo principio tipicamente occidentale viene dall’America che ci soffoca con i suoi film dove tutti i personaggi sono soli contro tutti, lottano contro tutti, ed alla fine, poiché hanno confidato in se stessi, hanno vinto tutti. Più che la “cultura del fare” dovremmo invece occuparci della cultura del recepire. Non è Marta, preoccupata di fare e di preparare ad essere elogiata da Gesù, ma la sorella Maria, che sa ascoltare.

Allora l’amore di Dio non è un possesso di una ristretta cerchia di eletti di illuminati per i loro singoli meriti; l’amore è dato. E’ dunque la sua crescita, la sua manifestazione che ci rende speciali. Non siamo noi speciali, lo ripeto, è l’opera dell’amore di Dio in noi, che ci rende tali. Inutile dunque correre per cercare di essere sempre i primi della classe. Coi nostri sforzi non potremmo mai salvarci. Accogliere l’amore di Dio gratuito, essere consapevoli del tesoro che ci viene offerto, aprire a Lui il nostro cuore. Con l’espansione, ovvero questa crescita operante e rivelante dell’amore divino, ci rendiamo conto che davanti a Dio servono a poco le discipline. Siano esse psicologiche, spirituali, corporali. Non sono inutili, ma possono essere pericolose perché alimentano solo la nostra superbia ed il nostro orgoglio.

 

 

 

 

UNA CONVERSIONE DA EVITARE ED UNA DA SEGUIRE

(Da “Il Ritorno” n.3 di febbraio 2000)

 

Se accettando il Signore seguo ciò che leggo sulle Scritture “perché sono giuste”, applicando da subito un cambiamento drastico delle mie abitudini, magari forzandomi, o peggio reprimendo le mie inclinazioni caratteriali, è molto probabile che sembrerò un bravo cristiano all’esterno. Ma leggere ed applicare senza elaborare non è di una fede matura e nemmeno esempio di saggezza. Si rischia di fare come quegli “scribi e farisei” che Gesù contestò duramente: “Guai a voi, scribi e farisei ipocriti, che pagate la decima della menta, dell'anèto e del cumìno, e trasgredite le prescrizioni più gravi della legge: la giustizia, la misericordia e la fedeltà. Queste cose bisognava praticare, senza omettere quelle. Guide cieche, che filtrate il moscerino e ingoiate il cammello!” (Matt.23:23-24) E purtroppo, inutile nasconderlo, in parte siamo quasi tutti così. Varia un poco la quantità di grettezza, ma abbiamo tutti tanti piccoli “dogmi” mentali; prendiamo in blocco certe frasi, certi concetti, insegnamenti, li chiamano “verità” e senza più discuterli per tutta la vita, li usiamo come paragone per vedere quanto gli altri sbagliano e si distaccano dalla verità:  ovviamente la nostra verità, quella che noi abbiamo imprigionato nella nostra mente, non quella di Dio. . Una conversione intellettuale, che segue il cammino di quella chiesa perché  ha “dimostrato” di essere quella “giusta” è solo una parte della nostra crescita; non può restare da solo l’intelletto senza il cuore. Il primo passo non è accettare una chiesa, ma accettare Gesù. L’ingresso di Gesù nel nostro essere (mente, corpo, spirito) all’inizio farà il vuoto di tutto ciò che è estraneo: “Gesù entrò poi nel tempio e scacciò tutti quelli che vi trovò a comprare e a vendere; rovesciò i tavoli dei cambiavalute e le sedie dei venditori di colombe e disse loro: «La Scrittura dice: La mia casa sarà chiamata casa di preghiera ma voi ne fate una spelonca di ladri». (Matt. 21:12-13). In seguito lo riempirà con la sua gratificazione, il suo infinito amore. Gesù entra. Questa è la vera conversione: Gesù che entra  in noi stessi, osserva, manda fuori le estraneità, ristabilisce la solennità e l’integrità del tempio… Non siamo noi stessi che per un motivo o un altro passiamo su un altro fronte senza modificare il nostro cuore. Cambiare chiesa, in questo caso,  non serve proprio a niente. Supponiamo che io sia un fanatico che segue il catechismo della chiesa “X” giudicando e condannando chi è diverso; poi per una serie di motivi passo alla chiesa “Y” e divento un fanatico della nuova dottrina e giudico e condanno chi non la pensa come me. Dov’è la conversione? No, non sono le chiese che ci cambiano, ma deve cambiare il nostro cuore preso nella grazia di Dio. Infatti in Galati 5:6 si dice: “Poiché in Cristo Gesù non è la circoncisione che conta o la non circoncisione, ma la fede che opera per mezzo della carità.”

 

 

 

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