PAGINA 15  DI ES3

 

UMILTÀ E CONSAPEVOLEZZA

 

Il cristiano trova disagio in una società come la nostra, dove ci si deve far valere a tutti i costi e in tutti i modi, dove non puoi perdere un’occasione di successo e dove la moralità è derisa. L’umiltà è la parola più assurda che il nostro sistema possa riuscire ad accettare. Non porta guadagni pratici, non ti fa emergere, a che serve? Vuoi mettere invece uno con la “grinta”, che sa quello che vuole? Chi è umile nel lavoro non viene promosso e non prende mai una gratifica (quando non viene licenziato), invece “chi ci sa fare” brucia le tappe, fa carriera (sulle spalle degli altri) ed ha incarichi di potere.

Chi ha il cuore davvero in Cristo si può sentire alle volte come fuori posto. Egli non vuole correre, non vuole avere, laddove tutti corrono e tutti hanno. Si trova a vivere due vite con due velocità diverse alla continua ricerca di un instabile sincretismo.[1] Tuttavia se il Signore qui ci ha fatto nascere vuol dire che qui ci chiama; perciò seppure in esigua minoranza dobbiamo continuare a testimoniare la salvezza, la conversione, in vista della pienezza dei tempi. Ho detto una bella frase, vero? Di quelle che i predicatori usano per chiudere i discorsi. Si dice “Amen” e si torna fuori. Ma questa volta noi inizieremo a parlare proprio da qui, dalla fine dei bei discorsi cristiani, per esaminare al microscopio cosa resta.

Tolta la fetta di mondo che rifiuta l’umiltà perché presa da altri falsi valori, riferiamoci alla categoria dei cristiani. Esaminiamoci spietatamente: ebbene quanto e dove siamo umili, fratelli? Qual è la testimonianza che diamo al resto del mondo? Fastidio, intolleranza e addirittura odio (quando non è guerra) tra chiesa e chiesa.

Prendiamo un momento importante: la preghiera. Parlo della preghiera comunitaria; quella che si dice a voce alta nelle chiese. I Quaccheri dicono che c’è sempre un certo compiacimento nell’udire il suono della nostra voce e che le parole nostre non potranno mai essere rapportate alla grandezza di Dio; per questi motivi restano in silenzio. Ma se non si esprime almeno parte di quello che abbiamo nel cuore, come potremo edificarci a vicenda? All’opposto i Pentecostali danno libero sfogo a ciò che sentono; ma chi frenerà gli eccessi? I Cattolici risolvono delegando ad una èlite (il clero) il compito di pregare e prendere decisioni, ed alla massa dei fedeli il compito di stare in silenzio ed obbedire. Ma anche qui, su quale base e chi determina la scelta? A noi sembra che non esista la chiesa perfetta. Purtroppo facciamo sempre delle regole, più o meno legittimate, delle differenze dottrinali; e chi è nella regola, come chi è nella legge, giudica troppo rapidamente il fratello. Eppure la Scrittura parla chiaro: “Non essere precipitoso con la tua bocca, e il tuo cuore non si affretti a proferire alcuna parola davanti a DIO, perché DIO è in cielo e tu sulla terra, perciò le tue parole siano poche”[2].  Ecco, un sano equilibrio nel rispetto di Dio. Un comportamento, crediamo, possibile a tutti. Un parlare meno (e ascoltare di più).

Ma “scaviamo” ancora di più: noi sappiamo come siamo? Siamo consapevoli ed obiettivi del nostro modo di essere? Certo abbiamo di noi stessi un’idea. E com’è questa idea? Dice l’apostolo: “Infatti, per la grazia che mi è stata data, dico a ciascuno che si trovi fra voi di non avere alcun concetto più alto di quello che conviene avere, ma di avere un concetto sobrio, secondo la misura della fede che Dio ha distribuito a ciascuno”[3]. E come si fa a capire il giusto concetto di sé? Ragioniamoci un poco con l’aiuto di questa stessa frase. E’ interessante notare che Paolo non dice  “di non avere alcun concetto più alto o più basso di quello che conviene avere..” ma si raccomanda solo di non avere un concetto di sé troppo alto. Mi pare un segno evidente di come Paolo conoscesse a fondo l’animo umano (non solo in riferimento ai cristiani di Roma a cui era indirizzata la lettera), che tendenzialmente non è portato ad abbassarsi. Per cui secondo me (è solo la mia opinione naturalmente),  noi ci troviamo tutti a combattere una tendenza che è quella dell’orgoglio e della superbia. Tutti, credo, abbiamo questa radice di peccato. Nessuno potrà dire guardandosi allo specchio: “ok sono umile!” senza cadere nel ridicolo. Bene, se questa è la radice, è anche una spinta, una forza, che continuamente preme e ci incalza ad emergere, a farci notare, ad imporci. Non ci sono vie di mezzo: o la contrastiamo con una lotta chiara e senza mezzi termini, ammettendo che siamo tutti poco umili, oppure rischiamo di cadere nel mondo, dove l’umiltà viene respinta.

Ci sono molti modi, e non tutti evidenti, di annullare l’umiltà. I più pericolosi sono le tendenze di certe filosofie e idee di carattere orientale tipo:“La divinità è in te, non nei concetti o nei libri. La verità si vive non si insegna”[4] Col discorso che la divinità è in noi si finisce col divinizzare l’uomo o rendere Dio come un insieme di umanità, e si perde la misura della nostra statura (che è bene ricordare, è più piccola di quella di Dio). Anche se oggi va di moda l’esibirsi per essere famosi, l’umiltà è una qualità fondamentale: “ ..è la qualità di chi riconosce onestamente i propri limiti. Nel periodo di maggiore elaborazione teorica del Cristianesimo, l'umiltà sottolineò in particolare la consapevolezza della miseria che è propria della natura dell'uomo, in quanto soggetto al peccato”.[5] Per Lutero è poi l’unico mezzo affinché Dio si riveli: “La teologia cristiana, secondo Lutero, è la teologia della Croce più che una teologia della gloria. L'uomo non può arrivare a Dio mediante la filosofia o l'etica, ma deve lasciarsi guidare da Dio e può raggiungerlo solo corrispondendo nella fede alla sua rivelazione: Dio rivela la sua sapienza nell'umiltà della preghiera, il suo potere nella sofferenza, e il segreto dell'esistenza attraverso la morte di Gesù Cristo sulla croce[6]E’ proprio dunque nella consapevolezza che l’uomo nasce nel peccato che in noi si deve sviluppare un attento continuo esame, che possiamo inserire nel concetto di “vigilanza”: L’umiltà è la coscienza della propria debolezza che induce l’uomo ad abbassarsi reprimendo ogni moto d’orgoglio”[7]

Pensiamo al meccanismo della crescita spirituale: ogni giorno aumenta la nostra sapienza, per grazia di Dio, per cultura, per esperienza, ecc. ma aumentando la sapienza aumenta pure il rischio di giudizio, secondo come dice:. “….a chiunque è stato dato molto, sarà domandato molto; e a chi molto è stato affidato, molto più sarà richiesto»[8]. Assieme alla scienza allora aumenta la nostra responsabilità ed il nostro dover riflettere, pensare, essere cauti. La tentazione dell’orgoglio non va in vacanza, ma risorge ogni mattina, e magari più forte di prima, sapendo di avere più terreno in cui radicare.

Vegliamo dunque e ringraziamo se il responsabile della nostra chiesa ci riprende in qualcosa, sapendo quanto deve essergli costato dirlo. Alleniamoci a considerare gli altri migliori di noi[9]. Nelle preghiere non evidenziamoci troppo; e non diciamo “ma io sento di fare così…” perché la tua posizione troppo maestosa o troppo genuflessa, la tua voce troppo sconsolata o troppo zelante, può turbare il fratello che timidamente apre il suo cuore al Signore… Quando sei solo nella tua stanza sii come vuoi, è un aspetto che riguarda solo te e Dio, ma quando sei in preghiera con gli altri fatti piccolo,  dai spazio a quelli più impacciati, “le tue parole siano poche”, suggerisci elementi di riflessione senza fare soliloqui, accenna un pensiero utile per la meditazione senza fare disquisizioni, fai crescere anche gli altri, per questo forse il Signore ti ha messo lì.

 

 

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[1] Sincretismo sm. Fenomeno frequente nella storia del pensiero e delle religioni, che consiste nella confluenza di motivi di origine diversa in una nuova ideologia o in una nuova fede. Anche Movimento ideologico o religioso che fa propri elementi precedenti, dei quali si pone come conciliatore e superatore. Evidente è ad es. il sincretismo giudaico-cristiano operato dall'islamismo (Treccani)

[2] Ecclesiaste 5:2

[3] Romani 12:3

[4] Herman Hesse “Il gioco delle perle di vetro”

[5] Enc.Treccani

[6] Enc. Encarta

[7] Enc Encarta

[8] Luca 12:48

[9] Parlo soprattutto per me, del mio orgoglio e del mio giudizio verso gli altri, perché il Signore mi sta mostrando quanto non sono affatto umile e devo ringraziarLo perché in tutto questo ancora mi ama. Lo ringrazio dal profondo del cuore, assieme a molti fratelli e sorelle che pazientemente mi accolgono e mi vogliono bene.