UMILTÀ
E CONSAPEVOLEZZA
Il cristiano trova disagio
in una società come la nostra, dove ci si deve far valere a tutti i costi e in
tutti i modi, dove non puoi perdere un’occasione di successo e dove la moralità
è derisa. L’umiltà è la parola più assurda che il nostro sistema possa riuscire
ad accettare. Non porta guadagni pratici, non ti fa emergere, a che serve? Vuoi
mettere invece uno con la “grinta”, che sa quello che vuole? Chi è umile nel
lavoro non viene promosso e non prende mai una gratifica (quando non viene
licenziato), invece “chi ci sa fare” brucia le tappe, fa carriera (sulle spalle
degli altri) ed ha incarichi di potere.
Chi ha il cuore davvero in
Cristo si può sentire alle volte come fuori posto. Egli non vuole correre, non
vuole avere, laddove tutti corrono e tutti hanno. Si trova a vivere due vite
con due velocità diverse alla continua ricerca di un instabile sincretismo.[1] Tuttavia se il Signore
qui ci ha fatto nascere vuol dire che qui ci chiama; perciò seppure in esigua
minoranza dobbiamo continuare a testimoniare la salvezza, la conversione, in
vista della pienezza dei tempi. Ho detto una bella frase, vero? Di quelle che i
predicatori usano per chiudere i discorsi. Si dice “Amen” e si torna fuori. Ma
questa volta noi inizieremo a parlare proprio da qui, dalla fine dei bei discorsi
cristiani, per esaminare al microscopio cosa resta.
Tolta la fetta di mondo
che rifiuta l’umiltà perché presa da altri falsi valori, riferiamoci alla
categoria dei cristiani. Esaminiamoci spietatamente: ebbene quanto e dove siamo
umili, fratelli? Qual è la testimonianza che diamo al resto del mondo?
Fastidio, intolleranza e addirittura odio (quando non è guerra) tra chiesa e
chiesa.
Prendiamo un momento
importante: la preghiera. Parlo della preghiera comunitaria; quella che si dice
a voce alta nelle chiese. I Quaccheri dicono che c’è sempre un certo
compiacimento nell’udire il suono della nostra voce e che le parole nostre non
potranno mai essere rapportate alla grandezza di Dio; per questi motivi restano
in silenzio. Ma se non si esprime almeno parte di quello che abbiamo nel cuore,
come potremo edificarci a vicenda? All’opposto i Pentecostali danno libero
sfogo a ciò che sentono; ma chi frenerà gli eccessi? I Cattolici risolvono
delegando ad una èlite (il clero) il compito di pregare e prendere decisioni,
ed alla massa dei fedeli il compito di stare in silenzio ed obbedire. Ma anche
qui, su quale base e chi determina la scelta? A noi sembra che non esista la
chiesa perfetta. Purtroppo facciamo sempre delle regole, più o meno
legittimate, delle differenze dottrinali; e chi è nella regola, come chi è
nella legge, giudica troppo rapidamente il fratello. Eppure la Scrittura parla
chiaro: “Non essere
precipitoso con la tua bocca, e il tuo cuore non si affretti a proferire alcuna
parola davanti a DIO, perché DIO è in cielo e tu sulla terra, perciò le tue
parole siano poche”[2]. Ecco, un sano
equilibrio nel rispetto di Dio. Un comportamento, crediamo, possibile a tutti.
Un parlare meno (e ascoltare di più).
Ma “scaviamo” ancora di
più: noi sappiamo come siamo? Siamo consapevoli ed obiettivi del nostro modo di
essere? Certo abbiamo di noi stessi un’idea. E com’è questa idea? Dice
l’apostolo: “Infatti,
per la grazia che mi è stata data, dico a ciascuno che si trovi fra voi di non
avere alcun concetto più alto di quello che conviene avere, ma di avere un
concetto sobrio, secondo la misura della fede che Dio ha distribuito a
ciascuno”[3]. E come si fa a capire il giusto concetto di sé?
Ragioniamoci un poco con l’aiuto di questa stessa frase. E’ interessante notare
che Paolo non dice “di non avere alcun
concetto più alto o più
basso di quello che conviene avere..” ma
si raccomanda solo di non avere un concetto di sé troppo alto. Mi pare un segno
evidente di come Paolo conoscesse a fondo l’animo umano (non solo in
riferimento ai cristiani di Roma a cui era indirizzata la lettera), che
tendenzialmente non è portato ad abbassarsi. Per cui secondo me (è solo la mia
opinione naturalmente), noi ci troviamo
tutti a combattere una tendenza che è quella dell’orgoglio e della superbia.
Tutti, credo, abbiamo questa radice di peccato. Nessuno potrà dire guardandosi
allo specchio: “ok sono umile!” senza cadere nel ridicolo. Bene, se questa è la
radice, è anche una spinta, una forza, che continuamente preme e ci incalza ad
emergere, a farci notare, ad imporci. Non ci sono vie di mezzo: o la
contrastiamo con una lotta chiara e senza mezzi termini, ammettendo che siamo
tutti poco umili, oppure rischiamo di cadere nel mondo, dove l’umiltà viene
respinta.
Ci sono molti modi, e non
tutti evidenti, di annullare l’umiltà. I più pericolosi sono le tendenze di
certe filosofie e idee di carattere orientale tipo:“La divinità è in te, non nei
concetti o nei libri. La verità si vive non si insegna”[4] Col discorso che la divinità è in noi si finisce col divinizzare
l’uomo o rendere Dio come un insieme di umanità, e si perde la misura della
nostra statura (che è bene ricordare, è più piccola di quella di Dio). Anche se
oggi va di moda l’esibirsi per essere famosi, l’umiltà è una qualità
fondamentale: “ ..è la
qualità di chi riconosce onestamente i propri limiti. Nel periodo di
maggiore elaborazione teorica del Cristianesimo, l'umiltà sottolineò in
particolare la consapevolezza della miseria che è propria della natura
dell'uomo, in quanto soggetto al peccato”.[5]
Per Lutero è
poi l’unico mezzo affinché Dio si riveli: “La teologia
cristiana, secondo Lutero, è la teologia della Croce più che una teologia della
gloria. L'uomo non può arrivare a Dio mediante la filosofia o l'etica, ma deve
lasciarsi guidare da Dio e può raggiungerlo solo corrispondendo nella fede alla
sua rivelazione: Dio rivela la sua sapienza nell'umiltà della preghiera, il suo
potere nella sofferenza, e il segreto dell'esistenza attraverso la morte di
Gesù Cristo sulla croce[6]” E’ proprio dunque
nella consapevolezza che l’uomo nasce nel peccato che in noi si deve sviluppare
un attento continuo esame, che possiamo inserire nel concetto di “vigilanza”:
L’umiltà è la “coscienza della propria debolezza
che induce l’uomo ad abbassarsi reprimendo ogni moto d’orgoglio”[7]
Pensiamo
al meccanismo della crescita spirituale: ogni giorno aumenta la nostra
sapienza, per grazia di Dio, per cultura, per esperienza, ecc. ma aumentando la
sapienza aumenta pure il rischio di giudizio, secondo come dice:. “….a chiunque è stato dato molto, sarà domandato molto; e a chi molto è
stato affidato, molto più sarà richiesto»[8]. Assieme alla scienza allora aumenta la nostra
responsabilità ed il nostro dover riflettere, pensare, essere cauti. La
tentazione dell’orgoglio non va in vacanza, ma risorge ogni mattina, e magari
più forte di prima, sapendo di avere più terreno in cui radicare.
Vegliamo
dunque e ringraziamo se il responsabile della nostra chiesa ci riprende in
qualcosa, sapendo quanto deve essergli costato dirlo. Alleniamoci a considerare
gli altri migliori di noi[9].
Nelle preghiere non evidenziamoci troppo; e non diciamo “ma io sento di fare
così…” perché la tua posizione troppo maestosa o troppo genuflessa, la tua voce
troppo sconsolata o troppo zelante, può turbare il fratello che timidamente
apre il suo cuore al Signore… Quando sei solo nella tua stanza sii come vuoi, è
un aspetto che riguarda solo te e Dio, ma quando sei in preghiera con gli altri
fatti piccolo, dai spazio a quelli più
impacciati, “le tue parole siano poche”, suggerisci elementi di riflessione
senza fare soliloqui, accenna un pensiero utile per la meditazione senza fare
disquisizioni, fai crescere anche gli altri, per questo forse il Signore ti ha
messo lì.
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INDICE-ES3
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[1] Sincretismo sm. Fenomeno frequente nella storia del pensiero e delle religioni, che consiste nella confluenza di motivi di origine diversa in una nuova ideologia o in una nuova fede. Anche Movimento ideologico o religioso che fa propri elementi precedenti, dei quali si pone come conciliatore e superatore. Evidente è ad es. il sincretismo giudaico-cristiano operato dall'islamismo (Treccani)
[2] Ecclesiaste 5:2
[3] Romani 12:3
[4] Herman Hesse “Il gioco delle perle di vetro”
[5] Enc.Treccani
[6] Enc. Encarta
[7] Enc Encarta
[8] Luca 12:48
[9] Parlo soprattutto per me, del mio orgoglio e del mio giudizio verso gli altri, perché il Signore mi sta mostrando quanto non sono affatto umile e devo ringraziarLo perché in tutto questo ancora mi ama. Lo ringrazio dal profondo del cuore, assieme a molti fratelli e sorelle che pazientemente mi accolgono e mi vogliono bene.