LAVORIAMO SULLA GESTIONE DELLA RABBIA - Psicologa psicoterapeuta Gabriella Ciampi  - 31-1-20

 

 

 

 

La rabbia è un’emozione molto forte e spesso incontrollabile. Ne abbiamo già parlato in questo sito tempo fa, potete trovare da leggere su questo tema in NELLE EMOZIONI COME FUNZIONIAMO? , ma qui vorrei approfondire alcuni punti.

 

REPRIMERE LA RABBIA CON L’AUTOCONTROLLO

 

Generalmente la prima cosa che si pensa di dover fare con l’emozione della rabbia è reprimerla controllandola. Certamente l’autocontrollo è una caratteristica importante dell’essere umano: abbiamo la capacità di regolare i nostri istinti, di gestire gli impulsi, in modo più o meno efficace. In psicologia si parla anche di “capacità di contenimento delle proprie emozioni”, cioè di come e quanto una persona, valutando la situazione, sa regolare l’espressione di quelle emozioni che istintivamente uscirebbero inondando tutto, come una valanga d’acqua che rompe i margini di una diga, con effetti negativi.

Tuttavia reprimere semplicemente le emozioni - soprattutto quando poi il risultato generale non è sentirsi in equilibrio e sereni ma, al contrario, si sente frustrazione e perdita di controllo sul proprio comportamento – non basta per gestire la rabbia, non è sufficiente e non è risolutivo.

 

·     CAPIRE L’ORIGINE DELLA RABBIA

 

Come già ho scritto, è importante andare a capire cosa ha scatenato la reazione di rabbia, non cercandola all’ esterno (individuando chi mi ha fatto o detto qualcosa che mi ha offeso o su cui non sono d’accordo) ma cercando dentro se stessi quale corda è stata toccata.

Quando si sente che sta montando la rabbia, ci si dovrebbe subito chiedere “ COSA E’ STATO TOCCATO DENTRO DI ME ? QUALE FERITA VIVA? QUALE PARTE SENSIBILE?”, spostando quindi per un momento l’attenzione dall’esterno all’interno, a me stesso. Se ci si conosce abbastanza, individueremo la relazione, il collegamento, tra ciò che è stato detto/fatto da qualcuno e una qualche situazione passata vissuta in cui si è sofferto. Probabilmente sarà un’esperienza negativa personale non abbastanza superata, ancora accesa sotto la cenere, che si riattiva nel presente.

Questo lavoro di autointrospezione si può fare anche in un secondo momento, se non si riesce subito; l’importante è farlo prima o poi per contrastare il meccanismo automatico di innesco.

 

·     RALLENTARE IL MOMENTO DELLA REAZIONE DI RABBIA

 

Un’altra possibilità per lavorare sulla rabbia riguarda la velocità della reazione arrabbiata.

Immaginate una persona che si arrabbia: immaginate gli spostamenti del corpo, la gestualità, ciò che dice e come lo dice, la mimica facciale, la rigidità muscolare, l’agitazione.  Ora immaginate di rallentare la velocità di tutta la scena: insieme al corpo che si muove più lentamente, immaginate che anche i pensieri vadano più lentamente. Quando le cose vanno lente, sono più gestibili, controllabili, si possono afferrare. (A volte, al ritiro bagagli dell’aeroporto, vorrei tanto che rallentasse quel nastro trasportatore dove afferrare le valigie! ).

Se volete, in AZIONI E REAZIONI: PARLIAMO DI COME CI COMPORTIAMO c’è un articolo sulla lentezza che può aiutare a capire ( RICONOSCERE LE COSE (E SE STESSI)ATTRAVERSO LA LENTEZZA )

 

Consideriamo la reazione della rabbia come una serie di step su un percorso che va da un fastidio iniziale che, crescendo e lievitando, porta all’esplosione dell’ira senza controllo. Non guardiamola come una reazione ON/OFF, con un click, da niente a tutto, da zero a mille in un secondo. Assolutamente no! È un crescendo graduale che può essere rallentato, dove si può intervenire in ogni momento tranne che verso la fine. Perciò è necessario ASCOLTARE IL PROPRIO CORPO, LE PROPRIE SENSAZIONI, per capire quando sta cominciando a crescere, e intervenire con azioni utili a smorzare quei segnali.

Se credete nel fatto che si può rallentare il proprio corpo, i gesti, il respiro, il flusso di pensieri, abbiamo praticamente quasi risolto il problema degli scoppi d’ira.

 

·     COSA SI PUO’ FARE PRATICAMENTE QUANDO CI SI ARRABBIA?

 

1-   Iniziamo con il ricordare di SEDERSI se si è in piedi, di RESPIRARE PIU’ LENTAMENTE (non respiri più lunghi o profondi, soltanto meno veloci), di ABBASSARE IL TONO DELLA VOCE. Queste sono comportamenti che NON fanno parte della reazione della rabbia e che quindi portano le persone a calmarsi; mandano un messaggio non verbale positivo anche all’interlocutore con cui si sta discutendo.

 

2-   Cominciamo a CAMBIARE MODO DI PARLARE: dall’accusare, dal pretendere, dal chiedere qualcosa, esprimiamo quello di cui abbiamo bisogno, quello che vorremmo ottenere. (Certamente anche l’interlocutore potrà fare altrettanto e bisognerà trovare un compromesso). Usciamo dall’autodifesa o dall’attacco/contrattacco e cerchiamo di capire quale sentimento forte collegato al proprio bisogno, ci sta guidando.

Una volta capito che ciò che mi attiva in modo sbagliato (con la rabbia) non è responsabilità dell’altro con cui sto litigando ma dipende da un mio bisogno frustrato, non cercherò di aggredire o assalire verbalmente nessuno ma mi interesserà soltanto far capire di cosa ho bisogno.

 

Un esempio: In una coppia coniugale può accadere che si litiga per due diverse opinioni. Dopo aver a lungo discusso, ad un certo punto si comincia ad alzare la voce (1 - prima occasione per intervenire). Si continua a gridare, aumenta l’agitazione (2- ancora si può intervenire), e cominciano i giudizi, le accuse di non capire, di non ragionare, di sbagliare, sostenendo le proprie ragioni. Arriverà il momento dello scoppio (3- qui non si può più fermare il meccanismo), che può diventare anche aggressione fisica.

 

-Nel primo step si poteva intervenire modificando il proprio comportamento (abbassare la voce, prendere una pausa, bere un po’ d’acqua, ecc), così ci si dà la possibilità di ricominciare a parlare in un modo diverso, con più disponibilità ad accettarsi e capirsi.

 

-Nel secondo step si poteva correggere i messaggi. Accantonando le critiche, le accuse, le prese di posizione rigide (che mai funzionano bene), si può spostare il discorso su quali sono i desideri, i bisogni, le aspettative di ognuno dei due, cosa si vorrebbe (essere ascoltata/o senza distrazioni, essere considerata/o di più nelle decisioni, avere un margine di libertà maggiore, ecc) e quali soluzioni sono possibili. Ognuno dal proprio punto di vista (frutto della propria personalità ed esperienza di vita) ha una valida visione delle cose. Il difficile è trovare l’accordo del compromesso, ma questo dovrebbe essere l’obiettivo del confronto quando si dialoga, soddisfare entrambe le parti.

Nell’esempio portato, si può riuscire a correggere l’automatismo delle reazioni se si ha l’idea che tutto questo processo è governabile, osservabile e modificabile, compreso il proprio modo di parlare e pensare.

Non è facile, ma si può imparare. E di sicuro si deve provare a cambiare qualcosa del proprio agire e pensare, se vogliamo cambiare quello che ci crea disagio nelle relazioni.

 

 

 

 

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