Bollettino libero cristiano evangelico  dell'Associazione ONLUS  "Piccola Iniziativa Cristiana" a cui tutti possono partecipare utile per la riflessione e lo studio biblico

 

IL RIMUGINìO

Allegato allo scritto "La tristezza", di Gabriella Ciampi - psicologa psicoterapeuta

3-1-12

 

 

 

 

Il rimuginìo è quel processo mentale caratterizzato da un catena di pensieri negativi, ripetitivi e tanto pervasivi da occupare tutto lo spazio mentale.

Esiste in rimuginio normale e uno patologico. Preoccuparsi, rimuginare, porsi in uno stato di semi-allerta, a metà tra lo stato di tranquillità e lo stato di ansia acuto, è uno stato che si può essere funzionale perché permette di bloccare l’aspetto emotivo, di spostarsi sul piano della razionalità per analizzare la risposta più appropriata rispetto al problema incombente. Tuttavia se il rimuginio si prolunga e si protrae l’inibizione/esclusione dell’area emotiva, diventa maladattivo: il problema viene visto mille e mille volte ma soltanto nei suoi elementi negativi, le predizioni che ne escono sono unicamente catastrofiche, ci si sente bloccati nell’incapacità di scegliere una soluzione poiché ogni soluzione viene considerata inadatta, insufficiente, non risolutiva. Ciò che non funziona in questo caso è che colui che rimugina ha una visione falsata della realtà perché la vede in modo astratto, pietrificata, non considera la dinamicità e la varietà degli scenari possibili ma ne vede solo uno, il peggiore; tale scenario gli appare come inevitabile e irreparabile.

Quasi sempre si tratta di un processo mentale collegato all’ansia e ne è un fattore di mantenimento poiché attiva dei correlati psicosomatici e cognitivi (= convinzioni positive e negative) che nutrono lo stesso stato ansioso. Lo si ritrova anche nelle sindromi depressive; in tal caso il contenuto del rimuginio depressivo è più legato al ricordo, a situazioni vissute,  e l’interpretazione negativa riguarda fatti passati piuttosto che previsioni negative di possibili disgrazie future.

 

Ma allora quale è la convenienza del rimuginare?

La persona che rimugina sta male eppure in modo più o meno cosciente trova un’utilità in questo stato che si può sintetizzare in tre punti:

  1. Ottiene una momentanea attenuazione dell’ansia somatica legata alle emozioni negative che prova
  2. Crede di affrontare il problema perché è attiva mentalmente -  non sa che sta scambiando una improduttiva e sterile attività mentale con un’ efficace ricerca di risoluzione del problema (che richiederebbe una visione più concreta e reale delle cose)
  3. Si costruisce uno “scudo emozionale”, cioè questo rimuginare gli dà l’idea che pur riconoscendone l’inutilità ai fini della risoluzione, la mantiene in allerta proteggendola così dai possibili risvolti negativi immaginati.

La persona ansiosa, come quella depressa,  rimugina in modo eccessivo e possiede una particolare tendenza alla valutazione negativa degli eventi. Alla base di tutto questo ci sono delle distorsioni cognitive, cioè delle convinzioni negative legate ai fatti, alla realtà, a se stessi, agli altri, convinzioni che portano a fare previsioni catastrofiche che generano sofferenza, e il rimuginare sembra un modo per gestire tale sofferenza e controllare gli eventi. In realtà la persona è irretita da questo meccanismo che si autorafforza e che riproduce sempre altra sofferenza.

A questo livello c’è bisogno di un valido aiuto psicoterapeutico.

 

 [Tratto liberamente da: La psicopatologia cognitiva del rimuginio (worry) di S. Sassaroli – G. M. Ruggiero]

 

 

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