L’ ANGOSCIA E IL VOLER ESSERE CIÒ CHE NON SI È

- di Gabriella Ciampi psicologa psicoterapeuta – 11/03/2013- 

 

 

 

LA RANA e IL BUE

[favola di Fedro] Un giorno, in un prato, una rana vide un bue. Le sembrò magnifico e provò una profonda invidia per la sua imponenza. Incominciò così a gonfiarsi quanto più poteva. Interrogò poi i suoi piccoli chiedendo loro se fosse più grande del bue. Essi risposero di no. Subito tese la pelle con sforzo maggiore e chiese di nuovo chi fosse più grande. I figli risposero: - Il bue!  Sdegnata, la rana si gonfiò ancora di più e alla fine scoppiò.

-Quando i piccoli vogliono imitare i grandi finiscono male.

 

E’ vero che la psicoanalisi si sviluppa secondo un orientamento forse lontano dall’ etica e dalla religione, tuttavia riesce alla fine ad offrire una visione dell’uomo che ci spinge alla comprensione e alla compassione verso l’ essere umano, visto perennemente alla ricerca di amore e di sicurezze,  e sempre a fare i conti con l’angoscia di vivere.

 

Freud descrive l’uomo come spinto (per lo più inconsciamente) dal bisogno di essere accettato, apprezzato, perché ha bisogno di essere amato, costruire basi per le sue sicurezze, per gonfiare sempre di più il suo Io e rafforzarsi.

Ma puntualmente ne resta deluso, frustrato, perché spesso questo amore è insufficiente, manca o viene sottratto, per vari motivi, legati agli eventi della vita. Da qui per la psicoanalisi nasce l’angoscia dell’uomo. Questa angoscia lo porterà a cercare compensazioni, quanto più si sentirà insicuro e solo, tanto più cercherà la potenza, rimedi esterni effimeri, cercherà anche di mostrarsi quale non è.

L’inaccettabilità della sua insignificanza e solitudine, lo spinge a riempirsi di ciò che non gli è proprio, gonfiandosi solo di aria tanto finanche talvolta a scoppiare.

 

Il tentativo di lenire questa angoscia è non solo un fatto privato, individuale, ma lo ritroviamo anche nella società, come un meccanismo condiviso di attenuare l’angoscia e di addirittura talvolta eliminarla. La nostra società non vuole accettare la sofferenza e non vuole vedere l’angoscia. Perché?

Perché riconoscere l’angoscia significa riconoscere di avere una coscienza e significa riconoscere la responsabilità della propria libertà.

 

Ma quindi riconoscere e accettare l’angoscia nella propria vita umana significa accettare l’uomo nella sua vera essenza e completezza. La questione allora non è nel rifiutare l’angoscia e contrastarla a tutti i costi, bensì nel come superarla.

Pensare di superarla da soli, con i propri mezzi, riempiendoci l’esistenza di beni materiali, di successi sociali, di amori e innamoramenti, porterà ancora dolore perché queste cose non durano in eterno, perché queste cose non sono la giusta risposta al nostro vero e profondo bisogno.

L’uomo o la donna che ha come obiettivo di vita il successo nel lavoro, che ha basato il senso della sua vita su un amore o sulla famiglia, colui che si è rifugiato nel denaro o nell’apprezzamento degli amici, qualora venisse a perdere tutto, a vedersi portar via ciò su cui aveva fondato la sua esistenza, sarà necessariamente disperato.

Ma questa disperazione non nascerà in quel momento di perdita, già esisteva da prima. La perdita mette l’uomo di fronte a se stesso, all’angoscia preesistente e che non voleva vedere e che non ha mai voluto risolvere.

Vorrei citare un concetto di Sòren Kierkegaard[1] :

 

quando qualcuno si dispera per qualcosa di esteriore, è indice che egli era disperato già da sempre, non aveva una buona conoscenza di se stesso, non aveva un buon rapporto con se stesso.

 

Riuscire ad ammettere questo dato di partenza, cioè che il dolore e l’angoscia abitano a priori nell’uomo e non dipendono dagli eventi e dal destino, sarebbe un buon punto di partenza per cominciare a guardare alla guarigione, seguendo quelle vie che partendo dall’interno, dall’intimo della persona, arrivino all’incontro con Dio.

 

 

 

 

[Il contenuto di questo articolo è ispirato alla lettura del testo "Psicoanalisi e teologia morale" di E. Drewermann (ed.Queriniana 1992)]

 

["Per chiarimenti sul contenuto, approfondimenti o domande, potete scrivere all'indirizzo mispic2@libero.it specificando nell'oggetto "Domande alla psicologa". La d.ssa Ciampi sarà lieta di rispondere"] 

 

 

 Indice comportamenti   -   home

 

 


 


[1] Filosofo, nato in Danimarca nel 1813 e morto nel 1855, K. vede tre stadi dell’esistenza umana e considera quello religioso lo stadio in cui l’uomo affronta fino in fondo se stesso e la sua disperazione (elemento innato del suo essere). Soltanto con il Dio della rivelazione cristiana – sec. K. – si può superare l’angoscia legata alla finitezza umana e alla indeterminatezza del futuro.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Questo sito ed ogni altra sua manifestazione non rappresentano una testata giornalistica sono scritti NON PROFIT, senza fini di lucro, per il solo studio biblico personale di chiunque lo desideri - vedi AVVERTENZE