Bollettino libero cristiano evangelico  della "Piccola Iniziativa Cristiana" a cui tutti possono partecipare utile per la riflessione e lo studio biblico

 

 

IL PIANTO – IL DESERTO

"Psicoflash" di Gabriella Ciampi - psicologa psicoterapeuta - 27-04-2012

 

Gesù nel deserto (olio su tela di Briton Riviere)

 

Nel Nord Africa, un missionario fu sorpreso dal curioso comportamento di un beduino. Ogni tanto l'uomo si stendeva per terra, lungo e disteso sul terreno, e premeva l'orecchio contro la sabbia del deserto. Meravigliato, il missionario gli chiese: "Che cosa fai?". Il beduino si rialzò e rispose: "Amico, ascolto il deserto che piange. Piange perché vorrebbe essere un giardino". [Il Deserto Piange – tratto da Quaranta Storie nel Deserto di Bruno Ferrero - Casa Editrice: ElleDiCi]

 

A tutti è capitato di piangere, chi tanto chi meno, così come a ben guardare tutti hanno sentito a volte dentro se stessi “il deserto”, quella sensazione di vuoto arido, silenzioso, secco, quando guardandoci dentro, ovunque giriamo lo sguardo, sembra non esserci appiglio, speranza, appoggio, ma soltanto il nulla verso tutti e quattro gli orizzonti.

La funzione del pianto è quella di eliminare l’eccesso di tensione, attenuare le sensazioni di dispiacere; è uno strumento naturale che agisce, si attiva e influisce sulla percezione del proprio dolore, quasi sempre attenuandolo o ridefinendolo. Per lo più usciamo dal pianto con uno stato d’animo leggermente migliore, sollevato, con una visione diversa, con un proposito.

 C’è il pianto di rabbia, il pianto di malinconia, quello della perdita e quello della solitudine; il pianto del senso di impotenza e quello del buio più nero. Si piange quando incontriamo il limite della nostra resistenza o delle nostre capacità, quando ci scopriamo soli al mondo o ci sentiamo soli al mondo; piangiamo quando ci arrendiamo a noi stessi e riconosciamo la nostra piccolezza. Anche quando è un pianto di rabbia, escono lacrime di resa: è il dolore che prende una forma diversa dall’aggressività ed esprime la sua forza con l’abito della fragilità, liberando l’animo dal peso dell’ingiustizia percepita. Può diventare un pianto liberatorio, e per questo fa bene piangere, perché lava l’animo portando all’esterno le emozioni negative, creando un’apertura tra il dentro e il fuori, una piccola fessura che lascia entrare luce.

A volte è un pianto senza lacrime: un pianto secco, dove il deserto interiore non lascia trasudare nemmeno una goccia, dove non c’è acqua per dissetarsi, né per purificarsi, né per esprimere la tristezza. È un pianto doloroso, muto, incapace di parlare, come fosse un piangere solo per se stessi di fronte all’infinito della sabbia arida. È l’aridità del proprio cuore che ha perso la speranza; è la solitudine dell’uomo che si è tanto chiuso in sé stesso da essersi allontanato da tutti e tutto; è la siccità dei propri sentimenti che non proiettano più i colori sul mondo.

Ma passando attraverso questo pianto si può rinascere così come attraversando il deserto si può sopravvivere ed uscirne rinato.

Per questo possiamo scoprire che esiste anche il pianto di felicità, il pianto della leggerezza, il pianto della purificazione e il pianto della preghiera.

E possiamo anche imparare a stare nel deserto, a camminarvi, a sostare in meditazione dell’assenza, del vuoto, della solitudine e del silenzio, per crescere, continuare il cammino e rafforzarci a tal punto da saper vedere un arcobaleno all’orizzonte.

 

 

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"Per chiarimenti sul contenuto, approfondimenti o domande, potete scrivere all'indirizzo mispic2@libero.it  specificando nell'oggetto "Domande alla psicologa". La d.ssa Ciampi sarà lieta di rispondere"-

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